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TOMMASO TRADDLES

Fosse in conseguenza del consiglio della signora Crupp, o perché mi ricordai d’aver giocato molte partite a birilli con Traddles, il fatto sta che pensai, il giorno dopo, d’andare a trovare il mio amico. Il mese della sua assenza era trascorso da un pezzo, ed egli abitava in una via nei pressi del Collegio di Veterinaria a Camden Town, che era principalmente abitata, come m’informò un nostro impiegato, il quale dimorava in quelle vicinanze, da studenti che compravano degli asini vivi, per fare con essi degli esperimenti nel segreto delle loro camere. Lo stesso impiegato mi diede delle indicazioni intorno a quella regione accademica, e partii nello stesso pomeriggio per una visita al mio antico compagno di scuola.

Trovai che la via non era quale si sarebbe, per il bene di Traddles, desiderata. Pareva che gli abitanti coltivassero certa propensione a riempirla di tutte le cianfrusaglie delle quali non avevano bisogno: cosa che la rendeva non soltanto male odorante e fangosa, ma, per tutte le foglie di cavolo che v’erano disseminate, perfino nau-seabonda. I rifiuti non erano tutti di natura vegetale, perché, cercando il numero che mi occorreva, notai una 710

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scarpa, una casseruola sfondata, un cappellino nero, e un ombrello, in varie fasi di decomposizione.

– L’aspetto generale del luogo mi ricordava fatalmente i giorni in cui abitavo col signore e la signora Micawber.

Certo carattere di nobiltà decaduta, non interamente scomparso dalla casa che cercavo, e che la faceva diversa da tutte le altre – benché fossero tutte costruite su un tipo uniforme e sembrassero i primi tentativi d’un ragazzo poco abile che imparasse a far case, quasi primi saggi d’una scrittura di calce e mattoni – mi rammentò più vivamente ancora il signore e la signora Micawber. Arrivando alla porta, mentre s’apriva al lattaio, che faceva il suo giro pomeridiano, mi ricordai più fatalmente ancora del signore e della signora Micawber.

– Bene – diceva il lattaio a una domestica giovanissima.

– S’è pensato al mio conticino?

– Oh, il signore dice che se n’occuperà subito – fu la risposta.

– Perché – disse il lattaio, continuando come se nessuno gli avesse risposto, e parlando, a giudicar dal suo tono, piuttosto per l’edificazione di qualcuno chiuso in casa che per la giovanissima domestica: impressione questa che mi fu confermata dalla maniera con cui fulminava occhiate su per il corridoio – perché quel conto s’è spinto tanto innanzi, che comincio a credere se la voglia svignare addirittura, e che un bel giorno non se ne senta più 711

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nuova. Ora, sai, io non potrei sopportarlo! – disse il lattaio, levando sempre più la voce, perché di dentro si sentisse, e fulminando il corridoio.

C’era un aspro contrasto tra il mite soggetto del suo commercio e i suoi modi, che sarebbero stati meno violenti in un macellaio o in un liquorista.

La voce della piccola domestica divenne fioca, ma, dal moto delle labbra, mi parve ancora che mormorasse che al conto si sarebbe pensato subito.

– Ti dico una cosa – disse il lattaio, fissandola per la prima volta e prendendola per il mento: – ti piace il latte? –

Sì, mi piace – ella rispose.

– Bene – disse il lattaio: – allora domani non lo avrai.

Hai capito? Domani non avrai una goccia di latte.

Mi parve ch’ella sembrasse lieta, dopo tutto, di averlo in quel momento. Il lattaio, dopo avere scosso il capo in modo minaccioso, le lasciò il mento, aprì con mal garbo il suo vaso di latte, ne versò la solita quantità in quello della famiglia, e se ne andò borbottando, a ripetere il verso del suo mestiere alla porta seguente, con un grido che fremeva di sdegno.

– Sta qui il signor Traddles? – chiesi allora.

Una voce misteriosa dal fondo del corridoio mi rispose:

«Sì». E la piccola domestica fece da eco: «Sì».

– È a casa? – domandai.

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Di nuovo la voce misteriosa rispose affermativamente, e di nuovo la domestica fece da eco. Dopo di che entrai, e, seguendo le indicazioni della domestica, salii la scalinata; accorgendomi, mentre passavo innanzi a una porta, d’esser seguito da un occhio misterioso, probabilmente in istrettissima parentela con la voce misteriosa.

Quando arrivai su – la casa aveva un sol piano su quello terreno – Traddles m’era uscito incontro sul pianerottolo. Fu lietissimo di vedermi, e, con gran cordialità, mi diede il benvenuto nella sua cameretta, ch’era sulla facciata dell’edificio, e pulitissima, benché modestamente arredata. Componeva tutta la sua casa, vidi; perché v’era un canapè a letto, e tra i libri, il lucido e le spazzole per le scarpe – alti su uno scaffale, dietro un dizionario. Il tavolino era coperto di carte. Egli era vestito d’un vecchio abito, e s’era staccato proprio allora dal lavoro.

Non osservai nulla di particolare, ma notai tutto, perfino, mentre mi sedevo, l’immagine d’una chiesa sul calamaio di porcellana – ché la mia facoltà di osservazione s’era esercitata fin dal tempo dei Micawber. Egli aveva preso delle ingegnose disposizioni per dissimulare il canterano, il cantuccio ove teneva le scarpe, lo specchietto per la barba, e così via; e tutto mi provava che era ancora quello stesso Traddles il quale usava di fare, con la carta dei quaderni, modelli di serragli che potevano contenere delle mosche, e consolarsi dei maltratta-menti coi memorabili lavori d’arte che spesso ho ricordato.

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In un angolo della stanza v’era qualche cosa di accuratamente coperto con una grande tovaglia bianca. Non potei capir che fosse.

– Traddles – dissi stringendogli di nuovo la mano, dopo che mi fui accomodato, – sono felice di rivederti.

– Anch’io sono felice di riveder te, Copperfield – egli rispose. – Sono contento davvero. Appunto perché sarei stato veramente contento di stare un po’ insieme con te, quando c’incontrammo in Ely Place, ed ero certo che ne avresti avuto piacere anche tu, ti diedi questo indirizzo e non quello dello studio.

– Che, hai uno studio? – dissi.

– Sì, il quarto d’una stanza e d’un corridoio, e il quarto d’uno scrivano – rispose Traddles. – Ci siamo uniti in quattro per avere uno studio, e darci l’aria di aver degli affari, e dividiamo in quattro anche la spesa dello scrivano, che a me costa mezza corona la settimana.

Il suo antico ingenuo carattere e la sua antica giovialità, e qualche cosa della sua cattiva sorte inoltre, parvero sorridermi nel sorriso col quale mi fece questa spiegazione.

– Non perché io abbia il minimo orgoglio, Copperfield, tu mi capisci – disse Traddles – io non son solito di dare il mio indirizzo qui, ma per rispetto di quelli che mi vengono a trovare, che qui non verrebbero volentieri. Ho già da far molto a lottare contro le difficoltà 714

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per farmi un po’ di strada nel mondo, e sarebbe ridicolo se facessi le viste di pensare ad altro.

– Il signor Waterbrook mi disse che tu ti prepari per essere avvocato.

– Ebbene, sì – disse Traddles, stropicciandosi lentamente le mani, l’una sull’altra. – Mi sto preparando per il foro. È da poco veramente che ho cominciato, dopo un lungo intervallo, a frequentare i corsi. Da parecchio ero iscritto, ma le cento sterline da pagare rappresentavano una fatica erculea. Una fatica erculea – disse Traddles con una smorfia, come se stesse per cacciarsi un dente.

– Sai a che penso, Traddles, stando qui a guardarti?

– gli chiesi.

– No – disse.

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