Dopo un istante, cantava allegramente la canzone del pescatore Peggotty, mentre camminava a rapidi passi sulla strada di Yarmouth.
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XXII.
SCENE VECCHIE E PERSONE NUOVE
Steerforth e io rimanemmo più di quindici giorni a Yarmouth. È inutile dire che passammo gran tempo insieme; ma di tanto in tanto si stava delle ore senza vederci.
Egli era un buon marinaio; e quando andava in barca col pescatore Peggotty, divertimento suo preferito, io rimanevo quasi sempre a terra. La camera che occupavo in casa della mia Peggotty, mi metteva un freno dal quale egli era libero: perché sapendo con quanta assiduità ella accudiva Barkis tutto il giorno, non mi piaceva rimaner fuori di casa tardi; mentre Steerforth, che dormiva al-l’albergo, poteva non ubbidire che al proprio capriccio.
Così mi avvenne d’apprendere ch’egli, dopo ch’io ero andato a letto, convitava a delle cene i pescatori nostri amici nell’osteria «Lo spirito compiacente» frequentata dal pescatore Peggotty; o che, vestito da marinaio, andava a passare le notti in mare al chiaro di luna, per rientrare con la marea del mattino. Ma già sapevo, a ogni modo, che la sua indole irrequieta e la sua ardente attività si compiacevano di rudi esercizi e di lotte con gli elementi e di qualunque nuova maniera d’eccitazione; così non mi meravigliavo affatto di queste sue imprese parti-566
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colari.
Un’altra ragione del nostro distacco consisteva nel fatto ch’io naturalmente avevo interesse di recarmi spesso a Blunderstone per rivedere i luoghi della mia infanzia; mentre Steerforth, dopo avermici accompagnato una volta, non aveva alcun motivo per ritornarci volentieri.
Così in tre o quattro occasioni, che ricordo benissimo, dopo una rapida colazione la mattina, ci separavamo per vie diverse, per ritrovarci solo la sera tardi a desinare.
Non avevo alcuna idea precisa di com’egli impiegasse frattanto il suo tempo, salvo che sapevo vagamente ch’egli era diventato popolarissimo sulla spiaggia, e che aveva venti maniere di divertirsi attivamente, dove un altro non avrebbe potuto trovarne mezza.
Dal canto mio, la mia occupazione nei miei pellegrinaggi solitarî era di osservare ogni passo dell’antica strada che percorrevo, e di rivedere, a parte a parte, gli antichi luoghi della mia infanzia, senza stancarmi mai. E vi erravo come avevo fatto spesso mentalmente, e mi vi indugiavo come vi s’erano indugiati i miei pensieri, quando n’ero stato lontano. La tomba sotto l’albero, nella quale i miei genitori erano sepolti – la tomba che io avevo considerata, quando era soltanto di mio padre, con tale curioso sentimento di pietà, e che m’aveva visto desolato quando s’era aperta a ricevere la mia cara mamma e il suo bambino – la tomba che Peggotty, con fedele devozione, aveva d’allora tenuta sempre pulita e trasfor-567
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mata in giardino, attirava sempre i miei passi, e mi teneva accanto a sé per ore ed ore. Era un po’ discosta dal viale, in un cantuccio tranquillo, ma non così che non potessi leggere i nomi sulla pietra mentre vi andavo o ne venivo, scosso dal suono della campana che batteva le ore, facendomi l’effetto d’una voce improvvisamente ri-sorta. Le mie riflessioni allora volgevano sempre sul mio avvenire, e sulle cose grandi che avrei certamente compiute. I miei passi, che destavano gli echi dormienti, non avevano altro accompagnamento; e se ne compiacevano tanto, che mi sembrava quasi d’esser tornato lì a fabbricare i miei castelli in aria accanto a mia madre ancora viva.
V’erano grandi mutamenti nella mia vecchia casa. I vecchi nidi, abbandonati da lungo tempo dalle cornacchie, erano completamente scomparsi; e gli alberi erano stati tagliati e trasformati in modo che non li riconoscevo più. Il giardino era inselvatichito, e metà delle finestre del villino erano chiuse. Esso era abitato soltanto da un povero pazzo, e dalle persone che lo custodivano. Lo vedevo seduto sempre alla finestra della mia cameretta, con lo sguardo fisso sul cimitero; e mi domandavo se i suoi pensieri erranti vagassero mai dietro le fantasie che avevano attratti i miei in certe mattinate rosee, quando m’affacciavo alla stessa finestra in camicia da notte per seguir con l’occhio le pecore che brucavano tranquillamente nella luce del sole mattutino.
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I nostri antichi vicini, il signore e la signora Grayper, se n’erano andati nell’America meridionale, e la pioggia si era aperta una via a traverso il tetto della loro casa vuota, lasciando delle larghe chiazze d’umido sui muri esterni. Il signor Chillip s’era ammogliato una seconda volta, e s’era preso un donnone alto, ossuto e dal naso grosso; ed essi avevano un bambino gracile, con una testa grossa che non poteva star ritta, e due occhi opachi e fissi, coi quali pareva domandare continuamente perché fosse nato.
Vagavo per il mio villaggio natìo con un misto singolare di tristezza e di piacere, finché il sole rosso dell’inverno non m’avvertiva ch’era tempo di ripartire. Ma quando m’ero allontanato, e specialmente quando sedevo a desinare con Steerforth innanzi a un fuoco fiammeggiante, era delizioso pensare che c’ero stato. Ed era quasi delizioso allo stesso grado, la sera (quando rientravo nella mia linda cameretta), voltando le pagine del Libro dei coccodrilli (che era sempre lì, su un tavolino) pensare d’avere un amico come Steerforth, un’amica come Peggotty, e una zia eccellente e generosa, come la mia, la quale sostituiva perfettamente la madre che avevo perduta.
La via più breve per ritornare a Yarmouth da quelle mie passeggiate era per acqua. Approdavo sul piano che si stende fra la città e il mare, e l’attraversavo, risparmian-do un bel tratto di strada. L’abitazione del pescatore 569
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Peggotty era su quel piano, e non discosta più di un centinaio di passi dal mio sentiero; di modo che vi davo sempre una capatina. Ero quasi certo di trovarvi Steerforth, e poi ce ne andavamo insieme nella notte gelida, avvolti nella nebbia, verso i lumi accesi della città.
Una sera, che avevo fatto più tardi del solito – ché quel giorno, essendo in procinto di ripartire, ero andato in visita di congedo a Blunderstone – lo trovai solo in casa del pescatore Peggotty, in atteggiamento pensoso innanzi al fuoco. Era così assorto nelle sue meditazioni, che non s’era accorto affatto del mio arrivo. Non se ne sarebbe accorto anche se fosse stato meno assorto, perché i piedi toccavano in silenzio il terreno sabbioso; ma neppure il mio ingresso ebbe il potere di riscuoterlo. Stavo già ritto accanto a lui, guardandolo; e pur tuttavia se ne rimaneva ancora grave e accigliato, smarrito dietro chi sa quali pensieri.
Diede un tal balzo quando gli misi la mano sulla spalla, che fece balzare anche me.
– M’arrivi addosso – egli disse, con risentimento –
come uno spettro adirato.
– Dovevo pure annunziarmi in qualche modo – risposi. – Ti distraggo da una passeggiata nelle nuvole, forse? _
– No – rispose – no.
– E da che cosa, allora? – dissi, sedendogli accanto.
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– Guardavo le figurazioni dei carboni – rispose.