La signora Crupp fu assalita da una tosse fastidiosa, in mezzo alla quale articolò con grande difficoltà:
– S’ammalò, signora, e... uc!... uc.!.. uc!... poveretta me!... ed è morto!
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– Ahi! Di che è morto? – chiese mia zia. – Ah, signora, per il troppo bere – disse la signora Crupp, in confidenza – e per il fumo!
– Per il fumo? Non volete dire per i caminetti? – disse mia zia.
– No, signora – rispose la signora Crupp. – Il fumo dei sigari e delle pipe.
– Allora, Trot, non è contagioso – disse mia zia verso di me.
– No, veramente – dissi.
In breve, mia zia, vedendomi entusiasta dell’appartamentino, lo appigionò per un mese, con la facoltà di tenerlo per un anno, dopo scaduto il mese. La signora Crupp doveva provvedermi la biancheria e farmi da mangiare; tutto l’altro necessario c’era già; e la signora Crupp accennò particolarmente che si sarebbe comportata con me come verso un figlio. Dovevo occupare l’appartamentino due giorni dopo, e la signora Crupp disse che ringraziava il Cielo di aver trovato qualcuno al quale accudire.
In via verso l’albergo, mia zia m’informò che essa fidava sicuramente che la mia nuova vita m’avrebbe ispirato fermezza e fiducia in me stesso, le sole cose che m’erano necessarie. Ripeté questo parecchie volte il giorno dopo, negl’intervalli delle nostre disposizioni per il trasporto della mia biancheria personale e dei miei libri 630
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dalla casa del signor Wickfield. Intorno a questo e al mio recente viaggio di diporto, scrissi ad Agnese una lunga lettera della cui consegna s’incaricò mia zia, la quale doveva partire il giorno appresso. Per non allun-gare questi particolari, basterà solo aggiungere che ella mi provvide largamente di quanto poteva occorrermi per tutte le necessità durante il mese di prova; che Steerforth, con gran mio rammarico e di mia zia, non si fece vedere prima della partenza di lei; che io vidi mia zia sicuramente insediata nella diligenza di Dover, esultante, con Giannina al fianco, all’imminente cacciata degli asini trasgressori; e che quando la diligenza si mosse, volsi i miei passi verso l’Adelphi, pensando al tempo in cui m’aggiravo intorno ai suoi sotterranei e ai fortunati eventi che m’avevano tratto felicemente alla superficie.
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XXIV.
IL MIO PRIMO BAGORDO
Era meravigliosamente bello possedere quel superbo castello, e provare, chiudendo la porta, lo stesso sentimento di Robinson Crusoe, che si chiudeva nella sua fortez-za, tirandosi dietro la scala. Era meravigliosamente bello passeggiar per le vie con la chiave di casa in tasca, e la certezza di poter, volendo, invitarvi chiunque, senza timore d’incomodar nessuno. Era meravigliosamente bello andare e venire, entrare e uscire, senza chieder permesso a nessuno, e, sonando il campanello, far salire dalle viscere della terra la signora Crupp tutta ansante e sudata, quando io volevo... e quando essa era disposta a salire. Tutto questo, ripeto, era meravigliosamente bello; ma debbo dire, anche, che v’erano dei momenti ch’era assai triste.
Era bello la mattina, specialmente nelle belle mattine.
Con la luce del giorno la vita mi pareva libera e fresca; con quella del sole anche più fresca e libera. Ma come il giorno declinava, la vita sembrava declinare anch’essa.
Non so perché; ma di rado mi sembrava attraente a luce di candela. A quell’ora, sentivo il bisogno di qualcuno con cui conversare. Sentivo la mancanza di Agnese.
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Trovavo un gran vuoto al posto di quella sorridente custodia delle mie confidenze. Pareva che la signora Crupp se ne stesse appartata in una lontananza remota, ed io pensavo al mio predecessore, morto di bevande e di fumo, che avrei desiderato ancor vivo, perché non mi molestasse col ricordo della sua morte.
Dopo due giorni e due notti, mi sembrò che avessi passato due anni in quell’appartamentino; e pure non ero ancora invecchiato d’un’ora, e ancora mi tormentava la coscienza della mia estrema giovinezza.
Non rivedendo più Steerforth, pensai che stesse male. Il terzo giorno uscii presto dal Commons, e presi la via di Highgate. La signora Steerforth, che si mostrò lieta di rivedermi, mi disse che il figliuolo era andato via con un suo compagno d’Oxford a trovare un altro che stava nei pressi di Saint Alban, ma che sarebbe ritornato la sera.
Io gli volevo tanto bene che mi sentii veramente geloso di quei suoi amici di Oxford.
Siccome ella mi sollecitò di trattenermi a desinare, mi trattenni, e non parlammo d’altro che di lui tutto il giorno. Le dissi del bene che gli volevano i marinai di Yarmouth, e della bella compagnia ch’egli m’aveva fatta.
La signorina Dartle, ch’era piena d’accenni e di domande misteriose, s’interessò grandemente a tutta la nostra vita laggiù, dicendo con tanta frequenza: «Veramente così?... Proprio!» e altre simili esclamazioni, che riuscì a farmi dire tutto ciò che voleva sapere. Ella era precisa-633
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mente la stessa di quella che m’era apparsa la prima volta; ma la compagnia delle due donne, improntata a tanta benevolenza, mi riuscì così gradita, che mi sentii un po’
innamorato della signorina Dartle. Non potei non pensare, parecchie volte nel corso della sera, e specialmente nell’ora che mi dirigevo a casa, che ella sarebbe stata una deliziosa compagna nell’appartamentino di Buckingham Street.
La mattina appresso, stavo prendendo, prima di recarmi al Commons, il mio solito caffè con un panino – a questo punto posso notare di passaggio che era strano che fosse così debole con la quantità che ne macinava la signora Crupp, – quando, con mia grandissima gioia, vidi entrare Steerforth.
– Mio caro Steerforth, – esclamai, – cominciavo a pensare che non t’avrei rivisto più.
– Fui rapito a forza di braccia, – disse Steerforth, – il giorno dopo il mio ritorno a casa. Oh, Margheritina, mi sembra che tu abbia qui un bel ritiro di scapolo impeni-tente!