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– Non so – e scosse i riccioli della testa, come una volta.

– Forse, se avessi avuto le qualità per maritarmi, avrei 1364

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reso anche te più adatto al matrimonio. E poi tu hai tanta intelligenza, e io non ne avevo.

– Noi siamo stati molto felici, mia cara Dora.

– Sì, sono stata molto felice, molto. Ma, passando gli anni, il mio caro marito si sarebbe stancato di sua moglie-bimba. Ella sarebbe stata sempre meno la sua compagna; e lui si sarebbe sempre più accorto di ciò che gli mancava in casa. Ed ella non avrebbe migliorato. Meglio così.

– Oh, Dora, cara, cara, non parlarmi così! Ogni tua parola mi sembra un rimprovero.

– Neppure una sillaba – ella mi risponde, baciandomi. –

Oh, mio caro! Tu non la meritavi, ma io ti volevo bene troppo per dirti sul serio una sola parola di rimprovero.

Era il mio solo merito, tranne quello d’esser bella... almeno tu credevi così. Ti senti molto solo da basso, Doady?

– Oh, sì, sì!

– Non piangere! La mia poltrona è da basso? – Al suo antico posto.

– Oh, come piange il mio povero marito! Zitto, zitto.

Ora, fammi una promessa. Io voglio parlare ad Agnese.

Quando vai da basso, di’ ad Agnese che venga su; e mentre le parlo, che non venga nessuno, neanche la zia.

Voglio parlare da sola a sola con Agnese. Voglio parlare 1365

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con lei da sola a sola.

Le prometto di mandarle subito Agnese; ma non posso lasciarla, tanta è la mia ambascia.

– Ho detto: meglio così! – ella mi bisbiglia, abbraccian-domi. – Oh, Doady! Dopo qualche altro anno, tu non avresti potuto voler bene a tua moglie-bimba più di quanto gliene vuoi ora; e dopo qualche altro anno, ella ti avrebbe annoiato e deluso in modo che non avresti potuto volerle bene la metà di quanto gliene vuoi ora. Ero troppo ragazza e troppo sciocca, lo so. Molto meglio così.

Agnese è giù, quando io entro nel salotto; ed io le do il messaggio. Ella scompare, e mi lascia solo con Jip.

La sua pagoda cinese è accanto al fuoco. Esso se ne sta allungato all’interno, sul suo letto di flanella, e geme tentando di addormentarsi. La luna splende in cielo con la sua luce più chiara. Mentre contemplo la notte, le lagrime mi scorrono rapide, e il mio cuore indisciplinato è messo a dura prova, a durissima prova.

Seggo accanto al fuoco, pensando con cieco rimorso a tutti quei sentimenti che ho alimentato in segreto, dopo il mio matrimonio. Penso a ogni più futile inezia svolta-si fra me e Dora, e sento la forza della verità che son le inezie che fanno la somma della vita. Dal mare della mia memoria, si leva l’immagine della mia diletta fanciulla come io la conobbi la prima volta, abbellita dal 1366

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mio e dal suo giovane amore, con tutto il fascino di cui simile amore è capace. Sarebbe stato meglio se noi ci fossimo amati come due ragazzi, e poi ce ne fossimo dimenticati? Cuore indisciplinato, rispondi!

Come passi il tempo, non so. Finalmente son riscosso dal vecchio compagno di mia moglie-bimba. Più irrequieto di me, esso si trascina fuor della pagoda, e mi guarda, e va alla porta, e geme per andar su.

– Stasera, no, Jip. Stasera, no.

Mi si avvicina lentamente, mi lecca la mano, e leva gli occhi velati al mio viso.

– O Jip, forse mai più.

Si stende ai miei piedi, si stende come per dormire, e con un gemito lamentoso, è spirato.

– O Agnese! Venite, venite qui!

... Ahi, il viso d’Agnese, così pieno di pietà e d’angoscia, quel torrente di lagrime, quel terribile muto cenno che mi fa, quella mano levata verso il Cielo!

– Agnese?

È finita. Gli occhi mi si riempiono di tenebre; e, per un istante, tutto si dilegua dal mio spirito.

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LIV.

LA TRANSAZIONE DEL SIGNOR MICAW-

BER

Non è questa l’ora di ritrarre le condizioni dell’animo mio sotto il colpo della sventura. Giunsi a credere che l’avvenire mi si fosse murato innanzi agli occhi, che l’energia e l’attività della mia vita fossero schiantate, che non ci fosse altro scampo per me che nella morte. Giunsi a pensar così, ripeto, ma non al primo scoppio della mia angoscia. Ci arrivai pian piano. Ci sarei arrivato prima, forse, se gli eventi che m’accingo a narrare non mi si fossero così addensati intorno da confondere al principio e da aumentare, alla fine, l’ambascia che mi premeva. Il fatto sta che prima che io la comprendessi pienamente ci fu un intervallo, durante il quale potei pensare che le più crudeli trafitture fossero finite, e che il mio spirito potesse consolarsi col posar su quanto era innocente e bello nel romanzo d’amore e di tenerezza che s’era chiuso per sempre. Non ricordo più, neppur ora, distintamente quando mi fu proposto di andare all’estero, e come venisse stabilito fra noi che dovevo cercare di riacquistar la pace dello spirito nei mutamenti d’un viaggio. Il cuore di Agnese penetrava tanto in tutto ciò 1368

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che si pensava, si diceva, si faceva in quell’ora d’ambascia, che potrei certamente attribuire il progetto alla sua influenza. Ma la sua influenza era così calma che più non poteva essere.

E ora veramente comincio a pensare che immaginandola anticamente come una figura dipinta sui vetri d’una cattedrale, avessi come quasi uno strano presentimento di ciò che ella sarebbe stata per me nella calamità alla quale dovevo nel fior degli anni soggiacere. In tutto quel periodo doloroso, dall’istante indimenticabile che mi stette innanzi con la mano levata, ella mi fu come un’immagine sacra nella mia casa solitaria. Quando era disceso l’Angelo della Morte, mia moglie-bimba chinò

– come mi disse, allorché fui in grado d’ascoltare – la testa sul seno con un sorriso. M’ero riscosso dallo svenimento per assistere alle pietose lagrime di Agnese, per sentire le sue parole di speranza e di pace, per vedere il suo bel viso discendere da una regione più pura nei pressi del Cielo, e chinarsi sul mio cuore indisciplinato ad addolcirne lo strazio.

Continuiamo.

Dovevo andar fuori. Sembrava che questo tra noi fosse fin dal bel principio stabilito. Gettata la terra su tutto ciò che poteva perire della mia perduta moglie, aspettavo soltanto ciò che il signor Micawber chiamava la «polve-rizzazione finale di Heep», e la partenza degli emigranti.

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A richiesta di Traddles, il più affettuoso e devoto degli amici nella mia disgrazia, noi tornammo a Canterbury; e intendo con noi mia zia, Agnese ed io. Ci recammo direttamente dal signor Micawber che ci aspettava. Dopo l’esplosione della nostra ultima riunione, il mio amico Traddles non aveva cessato dal dividere le sue cure fra la casa del signor Wickfield e quella del signor Micawber. Quando la povera signora Micawber mi vide entrare vestito a lutto, si commosse profondamente. Nel cuore della signora Micawber v’era una bontà che aveva resistito alle prove di tanti anni.

– Bene, signore e signora Micawber – furono le prime parole di mia zia, dopo che ci fummo seduti: – avete poi riflettuto alla proposta che vi feci d’emigrare?

Are sens