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Così quando una volta dissi a Dora, con un’occhiata al Libro di cucina, che cosa avrebbe fatto, se fossimo già sposati, quando io le avessi chiesto di farmi un buon stufato all’irlandese, essa mi rispose che lo avrebbe detto alla domestica; e poi mi afferrò fra le manine le braccia, e rise con tanta grazia che era una vera delizia vederla;

Per conseguenza, il principale uso al quale servì il Libro di cucina, fu di esser messo in un angolo per far da piedistallo a Jip. Ma Dora fu così lieta, quando esso imparò a starvi di sopra, senza tentar di andarsene, o nello stesso tempo a tener il portamatita in bocca, che io fui soddisfatto di aver fatto quella spesa.

E ritornammo alla custodia della chitarra, e al disegno dei fiori, e alle canzonette sulla gioia di danzar sempre, tra la là! ed eravamo felici tutta la settimana. Di tanto in tanto pensavo di avventurarmi a dire alla signorina Lavinia, che essa trattava la diletta del cuor mio un po’

troppo come un balocco; e a volte mi ridestavo, per dir così, meravigliandomi di scoprire che ero caduto nel difetto generale, trattandola anch’io come un balocco. – a volte, ma non spesso.

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XLII.

MALVAGITÀ

So bene che non starebbe a me, anche se questo manoscritto non fosse destinato che a me solo, ricordare con quanta tenacia continuassi ad applicarmi alla terribile arte della stenografia, cercando di progredirvi sempre, per corrispondere all’attesa di Dora e alla fiducia delle sue zie. Aggiungerò soltanto a ciò che ho già scritto della mia perseveranza al lavoro in quel periodo, e della paziente e instancabile energia che allora cominciavano a maturarsi in me, e che so ora formano la parte solida del mio carattere, se si può parlare di solidità, che proprio in quelle qualità io trovo le basi della mia buona riuscita. Io sono stato molto fortunato nelle cose di questo mondo; molti hanno speso la stessa somma di energia e non hanno avuto lo stesso esito; ma non avrei potuto mai fare ciò che ho fatto, senza le abitudini della puntualità, dell’ordine e della diligenza, senza la determinazione di concentrarmi su un solo oggetto alla volta, e il proposito di non curarmi di quello che doveva immediatamente succedergli. Il Cielo sa che io non scrivo questo con uno scopo di autoincensamento. Chi passa, come me, in rassegna la propria vita, dev’essere stato, 1079

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per risparmiarsi il rimorso di molte qualità neglette, di molte occasioni trascurate, di molti cattivi sentimenti lottanti e trionfanti di continuo negl’imi recessi del cuore, veramente e profondamente buono. Io posso dire di non possedere un solo dono naturale, del quale non abbia abusato. Ma ciò che semplicemente voglio affermare si è che tutto quello che cercavo di fare, cercavo con tutte le forze di farlo bene; che mi dedicavo interamente a ciò che intraprendevo; e che nelle grandi come nelle piccole cose, miravo sempre seriamente allo scopo. Io non ho mai creduto possibile che un’abilità naturale o acquisita raggiunga il suo fine senza un lavoro costante, fermo, tenace. Non si può trionfare al mondo senza il lavoro. L’ingegno svegliato e qualche occasione fortunata possono formare i due lati della scala sulla quale alcuni salgono, ma i pioli della scala debbono esser fatti di materia resistente, e nulla potrebbe sostituire una completa, ardente, sincera volontà di riuscire. Non mai metter mano a nulla che non mi potesse occupare completamente, e non mai affettare di deprezzare il mio lavoro, quale che si fosse, per me sono state sempre norme di aurea saggezza.

Quanto della pratica di questi precetti io debba ad Agnese, è inutile ripetere qui. La mia narrazione torna ad Agnese con amore devoto.

Ella venne a stare col dottore una quindicina di giorni. Il signor Wickfield era vecchio amico del dottore, e questi 1080

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desiderava di parlar con lui e giovargli. Se n’era discusso con Agnese nella sua ultima visita a Londra, e la sua venuta era il risultato della conversazione. Giunsero insieme lei e suo padre. Io non mi sorpresi a sentir da lei che era affaccendata a trovare un alloggio nel vicinato per la signora Heep, la quale aveva, per i suoi reumi, bisogno di cambiare aria, e sarebbe stata felice in loro compagnia. Né mi sorpresi quando il giorno dopo, da figlio rispettoso, apparve Uriah per l’insediamento della sua degna madre.

– Vedete, signorino Copperfield – egli disse, accompa-gnandomisi, senza essere invitato, in una passeggiata nel giardino del dottore – una persona innamorata è sempre un po’ gelosa... ansiosa, almeno, di dare un’occhiata all’oggetto amato.

– Di chi siete geloso, ora? – dissi.

– Grazie a voi, signorino Copperfield – egli rispose – di nessuno in particolare ora... di nessun uomo almeno.

– Volete dire che siete geloso d’una donna? Dai sinistri occhi rossi egli mi dardeggiò un’occhiata obliqua, e si mise a ridere.

– Veramente, signorino Copperfield – egli disse – ... dovrei dire signore, ma so che mi scuserete per l’abitudine che ho contratta... voi siete così insinuante che mi tirate come un cavatappi! Bene, non esito a dire – aggiunse, mettendo sulla mia la sua mano viscida – che io non son 1081

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mai piaciuto alle donne in generale, e non son mai piaciuto alla signora Strong.

I suoi occhi in quell’istante apparivano verdi, e guardavano nei miei con maligna scaltrezza.

– Che intendete dire? – domandai.

– Ebbene, benché io sia procuratore, signorino Copperfield – egli rispose, con una smorfia – ora intendo appunto ciò che dico.

– E che intendete con quello sguardo? – soggiunsi con calma.

– Col mio sguardo? Santo Cielo, Copperfield, siete veramente furbo! Che intendo con questo sguardo?

– Sì, con codesto sguardo?

Egli sembrava molto divertito, e rideva con la maggiore cordialità che gli era possibile. Dopo essersi stropicciato un po’ il mento con la mano, continuò a dire, tenendo gli occhi bassi, e stropicciandosi ancora lentamente:

– Quando non ero che un umile impiegato ella non faceva che disprezzarmi. Voleva sempre che la mia Agnese andasse innanzi e indietro in casa sua, e con voi si mostrò sempre gentile, signorino Copperfield, ma io ero troppo al di sotto di lei per esser, non dico altro, preso da lei in considerazione.

– Bene – dissi: – e se anche fosse stato così?

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– E al disotto di lui pur anche – continuò Uriah, molto distintamente, e con un tono di meditazione, mentre continuava a stropicciarsi il mento.

– Dovreste conoscere abbastanza il dottore – io dissi

– per sapere che non poteva pensare a voi, quando non gli eravate dinanzi.

Mi diede un’altra occhiata obliqua, allungò la faccia per grattarsi meglio, e rispose:

Oh, io non parlo del dottore! Oh no, pover’uomo! Parlo del signor Maldon.

Mi si strinse il cuore. Vidi a un tratto in mano di quel miserabile tutti i miei antichi dubbi, tutti i miei timori a quel riguardo, tutta la felicità e la pace del dottore, tutto quel groviglio di innocenza e di colpa probabile che io non avevo saputo distrigare.

– Non lo vidi mai venire nello studio senza mostrar un’aria di autorità e di superiorità su di me – disse Uriah. – Veramente un bel tomo! Io ero mitissimo e umilissimo... e lo sono. Ma quella sua aria non mi piaceva... e non mi piace.

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