Charles Dickens David Copperfield
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– Ebbene, signore e signora Micawber! – disse mia zia, quando essi entrarono. – Noi abbiamo parlato della vostra risoluzione di emigrare, e vi domandiamo scusa d’avervi lasciato fuori per tanto tempo. Vi dirò le nostre condizioni.
E spiegò, con infinita soddisfazione della famiglia, presente tutta quanta, fra grandi e piccoli, ciò che era stato convenuto. Il signor Micawber, specialmente, si sentì così ridestato alle sue abitudini di regolarità e puntualità nelle fasi iniziali di tutte le transazioni commerciali, che non poté esser dissuaso dal precipitarsi immediatamente fuori, col massimo ardore, a comprare la carta da bollo necessaria. Ma la sua gioia doveva essere a un tratto soffocata: perché, dopo cinque minuti, egli ritornò scortato da un usciere dello sceriffo, annunciandoci, tra un fiotto di lagrime, che tutto era perduto. Noi, già preparati a questo evento, che era naturalmente una vendetta di Uriah Heep, pagammo subito la somma dovuta; e dopo altri cinque minuti il signor Micawber era a tavolino occupato a riempire i candidi fogli di carta bollata con un’espressione di perfetta gioia, che solo quell’occupazione, interamente di suo gusto, e la fabbricazione del ponce potevano dargli in tutta la sua pienezza. Era veramente uno spettacolo vederlo lavorare sui fogli di carta bollata con la delizia d’un artista, ritoccarli come quadri, guardarli con la coda dell’occhio, prendendo nel suo 1389
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taccuino diligente nota delle date e dei totali, e contemplarli, dopo aver finito, con un alto sentimento del loro prezioso valore.
– Ora, la miglior cosa che potreste fare, signore, se mi permettete di darvi un consiglio – disse mia zia, dopo averlo osservato in silenzio – sarebbe di rinunziare per sempre a questo divertimento.
– Signora – rispose il signor Micawber – è mia intenzione di registrare questo voto sulla pagina vergine del nostro avvenire. La signora Micawber può attestarvelo. Io confido – disse il signor Micawber solennemente – che mio figlio Wilkins non dimenticherà mai che farebbe in finitamente meglio a metterla mano sul fuoco, che usar-la a maneggiare i serpenti che hanno avvelenato il sangue e la vita del suo infelice genitore! – Profondamente commosso, e trasformato subito nell’immagine della disperazione, il signor Micawber contemplò i serpenti con uno sguardo fosco di ribrezzo (nel quale non era svanita tutta l’ammirazione di poco prima), li piegò accuratamente e se li mise in tasca.
Con questo si finì la serata. Eravamo tutti stanchi d’affanni e di fatica, e mia zia ed io dovevamo ritornare a Londra. Fu stabilito che i Micawber ci avrebbero seguito, dopo aver venduto i loro mobili a un rigattiere; che al più presto possibile, sotto la direzione del signor Traddles, sarebbero stati riordinati gli affari del signor Wickfield, e che Agnese, nel frattempo, sarebbe venuta a 1390
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Londra. Noi passammo la notte nella vecchia casa, la quale, liberata della presenza degli Heep, sembrava pur-gata da una pestilenza; e io mi coricai nella mia antica cameretta, come un naufrago errante arrivato sotto il tetto della sua infanzia.
Il giorno dopo tornammo a casa di mia zia... non nella mia; e quando io e lei fummo soli, come una volta, prima di andare a letto, mi disse:
– Trot, veramente hai voglia di sapere ciò che m’ha affannato ultimamente?
– Sì, zia. Oggi, più che mai, non posso non desiderare di prender parte ad ogni vostro affanno, ad ogni vostro dolore.
– Ne hai avuti abbastanza per conto tuo, figlio mio –
disse mia zia, affettuosamente – perché sia necessario aggiungervi le mie piccole mi serie. Non ho avuto altro motivo, Trot, per celartele.
– Lo so – dissi – ora ditemele.
– Vuoi venir con me domani mattina? – chiese mia zia.
– Naturalmente.
– Alle nove – ella disse. – Ti dirò tutto, caro.
Alle nove, puntualmente, salimmo in un carrozzino, diretti a Londra. Passammo per molte vie, finché non arrivammo presso uno dei maggiori ospedali. Vicinissimo all’edificio attendeva un modesto carro funebre. Il coc-1391
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chiere riconobbe mia zia, e obbedendo a un cenno della mano di lei allo sportello, si mise lentamente in cammino. Noi lo seguimmo.
– Comprendi, ora, Trot – disse mia zia. – Egli è morto. .
– Morto all’ospedale?
– Sì.
Ella ora se ne stava immobile, accanto a me; ma, di nuovo, vidi qualche lagrima rigarle il volto.
– V’era già venuto una volta – riprese subito mia zia. –
Era malato da lungo tempo; era, da molti anni, una rovina d’uomo. Nella sua ultima malattia, quando seppe le sue condizioni, mi fece chiamare. Era pentito; pentitissi-mo.
– E voi andaste, zia?
– Sì. E ho passato molte ore accanto al suo letto.
– Ed è morto la sera prima che noi andassimo a Canterbury? – dissi.
Mia zia accennò di sì.
– Nessuno può fargli male, ora – ella disse. – Fu una vana minaccia.
Arrivammo fuori nel cimitero di Hornsey.
– Meglio che riposi qui che in città – disse mia zia. –
Era nato qui.
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Scendemmo; e seguimmo il modesto feretro in un angolo che ricordo bene, e lì fu letto il servizio dei morti.
– Oggi fan trentasei anni, mio caro – disse mia zia, dirigendoci verso il carrozzino – che io mi sposai. Dio ci perdoni tutti!
Riprendemmo i nostri posti in silenzio; ella mi tenne a lungo la mano nella sua. Finalmente scoppiò in pianto e disse:
– Era un bell’uomo quando lo sposai, Trot... ed era tanto, tanto cambiato!
Quel pianto non durò a lungo. Sollevata dalle lagrime, si calmò e riprese la sua serenità. I suoi nervi erano un po’
scossi, mi disse, altrimenti non avrebbe avuto quel momento di debolezza. Dio ci perdoni tutti!
Così tornammo al suo piccolo villino di Highgate, dove trovammo la seguente breve lettera del signor Micawber, arrivata con la posta della mattina.
«Canterbury,
«Venerdì
« Mia cara signora, e Copperfield,
«La bella Terra Promessa recentemente apparsa sull’orizzonte è di nuovo avviluppata in nebbie impenetrabili, e per sempre scomparsa dagli occhi d’un miserabile naufrago, la cui condanna è suggellata.