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Charles Dickens David Copperfield

«Un altro mandato di cattura è stato lanciato (nell’Alta Corte di King’s Bench a Westminster) in un’altra causa di Heep contro Micawber, e il convenuto è in preda dello sceriffo che ha legale giurisdizione in questo distretto.

Ecco il giorno ed ecco l’ora.

La battaglia esita ancora.

Edoardo

vien

quaggiù

Con catene e schiavitù.

Consegnato alle quali e a una rapida fine (perché le intime angosce non sono sopportabili oltre un certo grado, e quel grado io l’ho raggiunto), la mia carriera è chiusa.

Che Dio vi benedica! Qualche futuro pellegrino, visitan-do per motivi di curiosità, non disgiunti, lasciatemi sperare, da simpatia, il luogo ove si rinchiudono i debitori in questa città, rifletterà a lungo, leggendo inciso sul muro con un chiodo rugginoso

«Queste oscure iniziali «W. M.».

«P. S. Riapro la presente per dirvi che il nostro comune amico, signor Tommaso Traddles (che non ancora ci ha lasciati ed è in ottima salute) ha pagato i debiti e le spese, nel nobile nome della signora Trotwood: e che io e la mia famiglia siamo al colmo della terrestre felicità».

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LV.

LA TEMPESTA

M’avvicino ora nella mia storia a un fatto così grave, così terribile, così legato per una infinita varietà di rapporti a quanto lo ha preceduto in queste pagine, che fin dal principio della mia narrazione l’ho visto, man mano che andavo innanzi, diventar sempre più grande, come una torre in una pianura, e proiettar la sua lunga ombra perfino sugli episodi dei miei giorni d’infanzia.

Ancora dopo molti anni dall’avvenimento, me lo son sognato spesso. Ne avevo avuto una così forte impressione, che la sua violenza sembrava infuriasse ancora nella mia tranquilla stanza, nella notte cheta. A volte, anche ora, benché a rari e irregolari intervalli, lo sogno. Nel mio spirito esso è strettamente associato a un vento tempestoso o alla più semplice menzione della spiaggia del mare. Tenterò di scrivere ciò che accadde con la stessa chiarezza con cui la veggo; perché non lo ricordo, no, ma lo veggo in atto, quasi si svolga di nuovo innanzi ai miei occhi.

Avvicinandosi rapidamente il giorno della partenza degli emigranti, la mia cara Peggotty (quasi straziata per me, al momento del nostro incontro) venne a Londra. Io 1395

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ero continuamente con lei, suo fratello e i Micawber (che già s’erano legati con essi in amicizia); ma non vedevo mai l’Emilia.

Una sera che mancava pochissimo alla data fissata per la partenza, ero solo con Peggotty e suo fratello. La nostra conversazione s’aggirava su Cam. Ella ci narrava con quanto affetto egli le aveva detto addio, e con quanta forza e tranquillità s’era sempre comportato; specialmente negli ultimi tempi che la sua segreta ambascia si era rincrudita. Era un soggetto sul quale quella buona creatura parlava di continuo; e il nostro interesse nell’ascoltare le tante cose che aveva da dirci non era inferiore al suo nel narrarmelo.

Mia zia e io stavamo allora sgomberando dai due villini di Highgate: io avevo l’intenzione di fare un viaggio al-l’estero, e lei di ritornare nella sua villetta di Dover.

Temporaneamente ci eravamo stabiliti in un albergo di Covent Garden. Mentre mi dirigevo all’albergo, ripensando, dopo la conversazione di quella sera, a ciò che s’era svolto nell’ultima mia visita a Yarmouth, fra Cam e me, esitai nel primo proposito di lasciare una lettera per l’Emilia nell’atto di congedarmi da suo zio a bordo del bastimento, e pensai che sarebbe stato meglio scriverle subito. Ella avrebbe potuto desiderare, dopo aver ricevuto quella comunicazione, di mandar per mezzo mio qualche parola d’addio al suo infelice innamorato.

E io non dovevo farle mancare simile occasione.

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Perciò mi sedetti a tavolino nella mia stanza, prima d’andare a letto, e le scrissi. Le dissi che avevo veduto Cam, e ch’egli m’aveva pregato di dirle ciò che ho già scritto a suo luogo in questi fogli. Fedelmente le ripetei tutto. Non avevo alcuna necessità di diffondermi in altre parole, anche se ne avessi avuto il diritto. La profonda fedeltà e la bontà dei detti di Cam non avevano bisogno d’essere abbellite da me e da nessuno. Chiusi la lettera per spedirla la mattina appresso, pregando con una riga il pescatore Peggotty di consegnarla ad Emilia e andai a letto all’alba.

Ero più debole di quel che m’immaginassi, e non pigliando sonno fino a giorno chiaro, mi trattenni a letto, stanco e non riposato, fino al giorno appresso. Fui destato dalla silenziosa presenza di mia zia accanto al letto.

La sentii in sonno, come spesso avviene in simili casi.

– Trot, mio caro – ella disse, quando apersi gli occhi. –

Non mi sapevo decidere a disturbarti. È qui il pescatore Peggotty. Lo faccio venir su?

Risposi di sì, ed egli subito apparve.

– Signorino Davy – egli disse, quando mi ebbe stretto la mano – ho dato a Emilia la vostra lettera, ed ella ha scritto quest’altra, pregandomi di farvela leggere, e di domandarvi se non vi dispiace di curarne la consegna,

– L’avete letta? – dissi.

Accennò di sì melanconicamente. L’apersi, e lessi ciò 1397

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che segue:

«Ho avuto la vostra lettera. Oh, che posso scrivere per ringraziarvi della vostra santa bontà per me? Mi son messa le vostre parole sul cuore. Ve le terrò fino al giorno della morte. Esse sono spine acute, ma sono anche un balsamo. Ho pregato su di esse, oh, ho pregato tanto!

Quando penso ciò che siete e ciò che è lo zio, penso che cosa deve essere il Signore, e posso invocarlo.

«Addio per sempre. Oh, caro, mio caro amico, addio per sempre in questo mondo! In un altro mondo, se sarò perdonata, potrò destarmi bambina e venire a voi. Mille benedizioni e grazie. Addio per sempre».

Questa, macchiata dalle lagrime, era la lettera.

– Posso dirle che voi non vedete alcun male a curarne la spedizione, signorino Davy? – disse il pescatore Peggotty, quando l’ebbi letta.

– Senza dubbio – dissi – ma pensavo...

– Che cosa, signorino Davy?

– Pensavo – dissi – d’andare a Yarmouth un’altra volta.

Ve tempo, e a sufficienza, d’andare e tornare prima che salpi il bastimento. La mia mente non fa che pensare a lui, così solo; mettergli in mano questa lettera di lei, ora, e mettervi in grado di dire a Emilia, al momento della partenza, che egli l’ha ricevuta, sarà un conforto per tutti e due. Accettai solennemente l’incarico di quel povero 1398

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giovane e farò del mio meglio per eseguirlo a dovere. Il viaggio per me non è un fastidio. Mi sento irrequieto, e muovermi mi farà bene. Parto stasera stessa.

Are sens