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Rosa si mosse, ma senza simpatia e di cattiva grazia. Gli occhi le lucevano come fuoco, di fronte alla signora, e fece udire un terribile riso.

– Finalmente – ella disse – il tuo orgoglio è soddisfatto, folle! Ora che t’ha chiesto perdono... con la vita... Con la vita, intendi?

La signora Steerforth, caduta indietro nella poltrona, e 1421

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non dando altro segno di vita che con un gemito, la guardava con gli occhi spalancati.

– Sì! – esclamò Rosa, battendosi violentemente il petto

– guardami! Piangi, e gemi, e guardami! Guarda qui! – e si toccava la cicatrice – l’opera di tuo figlio morto!

Il gemito che cacciava di tanto in tanto la madre mi toccava il cuore. Ed era sempre lo stesso, sempre inartico-lato e soffocato, sempre accompagnato da un debole movimento del capo, ma senza alcun mutamento nel viso; sempre proferito dalla bocca semichiusa e dai denti stretti, come se la mascella fosse inchiodata e il volto irrigidito dal dolore.

– Ricordi quando me la fece? – continuò Rosa. – Ricordi quando me la fece, seguendo l’istinto che tu gli avevi dato, e l’orgoglio che tu secondavi? Ricordi che mi sfigurò per sempre? Guardami, morrò con l’impronta della sua collera; e piangi e gemi sul modo come tu lo avevi allevato.

– Signorina Dartle – supplicai. – Per l’amor del cielo...

– Debbo parlarle! – ella disse, volgendosi a me e sfolgo-randomi dagli occhi. – State zitto, voi. Guardami, dico, madre orgogliosa di un orgoglioso e perfido figlio! Piangi sul modo come l’avevi allevato, piangi per averlo corrotto, piangi perché l’hai perduto e perché l’ho perduto io!

Ella stringeva il pugno, e tremava in tutto il corpo graci-1422

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le e smilzo, come se la sofferenza la consumasse a poco a poco.

– E tu ti offendevi del suo orgoglio – ella esclamò. – E

tu non potevi perdonargli la sua superbia. E tu opponevi all’orgoglio e alla superbia, quando i tuoi capelli erano diventati grigi, le qualità che li avevano creati il giorno che lo desti alla luce. Tu che dalla culla cominciasti a farlo ciò che era diventato, e impedisti il germoglio di ciò che sarebbe stato! E ora hai il compenso di tanti anni d’educazione!

– Oh, signorina Dartle, non vi vergognate d’esser così crudele?

– Vi ripeto – essa rispose – che debbo parlare. Nessuno al mondo me lo impedirà mentre son qui. Gli volevo più bene io di quanto gliene volevi tu! – soggiunse, volgendosi a lei con aria selvaggia. – Io avrei potuto volergli bene, senza domandargli d’esserne ricambiata. Se fossi stata sua moglie, sarei stata la schiava dei suoi capricci per una sola parola d’amore ogni anno. Sì, proprio. Chi può saperlo meglio di me? Tu eri esigente, orgogliosa, puntigliosa, egoistica. Il mio amore sarebbe stato devoto... si sarebbe messo sotto i piedi i vostri miserabili rancori.

Con gli occhi lampeggianti, batteva col piede il pavimento come se veramente facesse l’atto di calpestar quei rancori.

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– Guarda qui! – ella disse, battendosi di nuovo la cicatrice con mano spietata. – Quando egli fu in grado di comprendere ciò che aveva fatto, la vide, e se ne pentì.

Io potevo cantare per divertirlo, e conversar con lui, e mostrargli con quale ardore m’interessavo a tutto ciò che faceva, e arrivai perfino a istruirmi per fargli piacere, e mi feci voler bene. Quando egli era più giovane e fedele, m’amò. Sì, m’amò! Molte volte, quando tu eri messa da parte con una parola di spregio, egli si strinse al mio cuore.

Ella parlava con alterigia di scherno che era quasi frene-sia, ma anche col vivo ricordo di un amore le cui ceneri addormentate lasciavano sprizzare qualche favilla d’un più dolce sentimento.

– Io diventai... come avrei dovuto immaginare che sarei diventata, quando m’affascinò con la sua devozione infantile... diventai un balocco, una bambola per l’occupazione d’un’ora di ozio, per esser buttata, ripresa e buttata di nuovo, secondo il ghiribizzo che lo prendeva.

Quand’egli si stancò, io mi stancai. Passatogli il capriccio, non volli neanche tentare di rafforzare quel po’ di potere che avevo su di lui, come non avrei pensato a sposarlo, se fosse stato costretto ad ammogliarsi con me.

Noi ci separammo senza una parola. Forse tu lo capisti e non te ne dolse. D’allora, sono stata fra voi due come una specie di mobile rotto, senza occhi, senza orecchi, senza sentimenti, senza ricordi. Piangi? Piangi per ciò 1424

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che tu lo avevi fatto diventare, non per il bene che gli volevi. T’ho detto che vi è stato un tempo in cui gli volevo molto più bene di te.

Ella stava con gli occhi lucenti di collera di fronte a quel viso immobile, a quello sguardo vuoto; e non s’inteneriva, a quel pianto, come se quel viso fosse stato un ritratto.

– Signorina Dartle – dissi – se voi potete esser così crudele da non aver pietà di questa madre angosciata...

– E di me chi ha pietà? – ella aspramente ribatté. – È lei che ha seminato tutto. Che pianga per ciò che oggi raccoglie.

– E se i difetti di suo figlio... – cominciai.

– I difetti! – ella esclamò, scoppiando in pianto disperato. – Chi osa dir male di lui? Egli aveva un’anima che valeva milioni di volte più degli amici ai quali s’era degnato di abbassarsi.

– Nessuno gli voleva bene più di me, nessuno può avere un miglior ricordo di lui – risposi. – Intendevo dire, se voi non avete compassione per la madre, o se i difetti del figlio... perché voi non li avete risparmiati...

– È falso – ella gridò strappandosi i capelli – io gli volevo bene!

– ... se i suoi difetti – continuai – non possono essere cancellati dalla vostra memoria, in questo momento; 1425

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considerate questa poveretta almeno come una persona che non avete mai conosciuta, e soccorretela.

In tutto quel tempo, la signora Steerforth era rimasta immutata, e sembrava immutabile. Immobile, rigida, fissa; gemente di tanto in tanto nella stessa sorda maniera, con un disperato cenno del capo, ma con nessun altro segno di vita. Improvvisamente la signorina Dartle le s’inginocchiò accanto, e cominciò a scioglierle le vesti.

– Siate maledetto! – disse, guardandomi con un’espressione di rabbia e insieme di dolore. – Maledetta quell’o-ra che entraste qui la prima volta! Siate maledetto! Andatevene.

Dopo esser uscito dalla stanza, rientrai per sonare e avvertire i domestici. Ella teneva nelle braccia la signora impassibile, e la baciava piangendo, e la chiamava, e la cullava sul suo seno come una bambina, tentando ogni mezzo per svegliarle i sensi assopiti. Non temei più di lasciarle sole, e ridiscesi senza rumore, avvertendo, nell’uscire, i familiari.

Più tardi, durante il giorno, ritornai, e lo deponemmo nella stanza di sua madre. Mi fu detto ch’ella stava sempre nelle stesse condizioni; la signorina Dartle non la lasciava un istante; i medici le erano intorno, tentando vari rimedi; ma ella rimaneva come una statua, e soltanto gemeva di tanto in tanto.

Traversai quella triste casa, e chiusi le imposte delle fi-1426

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nestre. Chiusi per ultimo la finestra dov’egli riposava.

Sollevai la mano di piombo e me la misi sul cuore, e il mondo intero mi parve morte e silenzio, interrotti solo dal gemito della madre.

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LVII.

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