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GLI EMIGRANTI

Non avevo che un’altra cosa da fare prima di cedere alla stretta di tante ambasce: nascondere ciò che era avvenuto alla conoscenza di quelli ch’erano in procinto d’emigrare; e farli viaggiare felicemente ignari. Perciò non c’era tempo da perdere.

Quella stessa sera presi a parte il signor Micawber, e gli affidai il compito di frapporsi tra il pescatore Peggotty e la notizia della recente catastrofe. Egli se l’assunse con tutto il cuore, promettendo d’intercettare qualunque giornale che, senza quella precauzione, avrebbe potuto rivelargliela.

– Prima di arrivare a lui – disse il signor Micawber, battendosi il petto – deve passare su questo corpo!

Il signor Micawber aveva inaugurato, per adattarsi al suo nuovo stato sociale, certa baldanzosa aria d’avventuriero, non ancora ribelle alla legge, ma alquanto vivo e aggressivo. Poteva essere scambiato per un figlio del deserto, avvezzo a vivere fuori dei confini della civiltà, e in procinto di ritornare nelle foreste natie.

S’era munito, fra l’altro, d’un abito completo di tela ce-1428

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rata, e d’un cappello basso di paglia, incatramato all’esterno. In quella grossolana acconciatura, con un telescopio ordinario da marinaio sotto l’ascella, e la sagace abitudine già contratta d’interrogare il cielo come in sospetto di una burrasca, egli si reputava molto più nautico del pescatore Peggotty. Tutta la sua famiglia si era con-formata, per dir così, alle circostanze. Trovai la signora Micawber coperta del più discreto cappellino immagina-bile, ermeticamente chiuso e legato sotto il mento, e av-volta in uno scialle, assicurato con un grosso nodo alla cintura, che la legava (come ero stato legato io, il giorno che arrivai in casa di mia zia) come una specie di fagotto. Allo stesso modo trovai la signorina Micawber equi-paggiata da affrontare la burrasca, con nulla di superfluo addosso. Il signorino Micawber era appena visibile in una giubba di Guernesey e nel più villoso costume da marinaio che mi fossi mai veduto; e i bambini erano chiusi, come carni in conserva, in una specie di astucci o di guaine impermeabili. Ma il signor Micawber e il figliuolo maggiore avevano le maniche rimboccate ai polsi, come per esser pronti a prestar la loro opera in tutto, a salir sul ponte, o a cantar in coro con l’equipaggio per levar l’ancora: «Yeo – sciogli – Yeo!» al primo segnale.

Così li trovammo io e Traddles la sera, tutti raccolti sulla scala di legno, nota allora col nome di Scala di Hungerford, ad assistere alla partenza di una barca che trasportava una parte dei loro bagagli. Avevo narrato a Traddles il terribile evento, ed egli n’era rimasto molto 1429

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addolorato. Persuaso anche lui della carità di tenerlo segreto, era venuto ad aiutarmi nell’adempimento di quest’ultimo dovere. Era stato lì che avevo chiamato il signor Micawber da parte, ottenendo da lui la promessa di non far giungere la notizia al pescatore Peggotty.

La famiglia Micawber alloggiava nelle vicinanze della Scala di Hungerford, in un sudicio alberghetto, le cui stanze di legno si sporgevano fin sul fiume. La famiglia degli emigranti suscitava tanta curiosità negli abitanti del vicinato e faceva fermar tanta gente, che noi fummo lieti di rifugiarci nella loro camera, che era una di quelle sotto le quali scorreva il fiume. C’erano mia zia e Agnese affaccendate a tagliare e a cucire qualche indumento in più per i bambini. Peggotty le aiutava tranquillamente, e aveva innanzi la vecchia scatola da lavoro, la fettuccia della misura e il moccolo di cera, superstiti insensibili di tanti eventi.

Non era facile rispondere alle sue domande, ancora meno bisbigliare al pescatore Peggotty, quando il signor Micawber lo condusse di sopra, che la lettera era stata consegnata e che tutto andava benissimo. Ma me la cavai alla meglio, e il poveretto ne fu contento. Il mio aspetto, non perfettamente allegro, veniva attribuito alle mie disgrazie personali.

– E quando parte il bastimento, signor Micawber? –

chiese mia zia.

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Il signor Micawber credette necessario preparare mia zia o sua moglie gradatamente e disse che sarebbe partito più presto di quanto s’era creduto la sera innanzi.

– Ve n’ha avvertito la barca, immagino? – disse mia zia.

– Sì, signora – egli rispose.

– Bene – disse mia zia – e allora parte?...

– Signora – egli rispose – sono informato che noi dobbiamo positivamente essere a bordo prima delle sette di domani mattina.

– Ah si? – disse mia zia. – Presto dunque... È certo, signor Peggotty?

– Sì, signora. Il bastimento discenderà il fiume con la prossima marea. Se il signorino Davy e mia sorella ver-ranno fino a Gravesend, domani nel pomeriggio ci daranno l’addio.

– Sì che verremo – dissi.

– Fino allora, e finché non saremo in mare – osservò il signor Micawber, dandomi un’occhiata d’intelligenza –

il signor Peggotty e io sorveglieremo costantemente insieme le nostre masserizie e i nostri effetti. Emma, amor mio – disse il signor Micawber, schiarendosi la gola con la sua solennità ordinaria – il mio amico Tommaso Traddles è così gentile da suggerirmi all’orecchio di permettergli di ordinare gl’ingredienti necessari alla composizione di una modesta quantità di quel beveraggio 1431

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che è particolarmente congiunto, nel nostro spirito, al rosbiffe della Vecchia Albione. Alludo... insomma, al ponce. In altre circostanze, mi farei uno scrupolo di sollecitare il permesso della signora Trotwood e della signorina Wickfield...

– Per me posso dire – disse mia zia – che brinderò col massimo piacere alla vostra salute e al vostro avvenire, signor Micawber.

– Anch’io – disse Agnese, con un sorriso.

Il signor Micawber discese immediatamente al banco, dove pareva perfettamente di casa, e ritornò, nell’istante dovuto, carico d’un boccale fumante. Io non potevo non osservare ch’egli aveva sbucciato i limoni col suo coltello a scatto, che, come coltello d’un perfetto colono, era di una lunghezza di tre spanne, e che egli andava asciugando, non senza qualche ostentazione, sulla manica della giacca. Anche la signora Micawber e i due figliuoli maggiori erano muniti di simili strumenti formidabili, mentre i piccini avevano ciascuno un cucchiaio di legno legato con uno spago alla cintura. Così, forse per avere un saggio anticipato della vita di bordo o della vita coloniale, il signor Micawber, invece di versare il ponce alla signora Micawber e agli adolescenti in bicchieri da vino, dei quali c’era uno scaffale pieno nella stanza, lo servì in alcune orribili tazzette di stagno. Per quanto riguardava lui, non l’avevo mai visto più entusiasta di quella sera, nell’atto di bere a certa ciotola di 1432

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stagno, che poi alla fine si cacciò accuratamente in tasca.

– Noi abbandoniamo – disse il signor Micawber, con una intensa soddisfazione nella rinuncia – il lusso dell’antica patria. I cittadini della foresta non possono, generalmente, sperar di partecipare alle raffinatezze della terra della Libertà.

A questo punto entrò un ragazzo per dire che da basso si chiedeva del signor Micawber.

– Ho il presentimento – disse la signora Micawber, deponendo la tazza di stagno – che sia una persona della mia famiglia.

– Se è così, mia cara – osservò il signor Micawber con la calorosa vivacità che sempre mostrava su quel soggetto – siccome la persona della tua famiglia, chiunque sia, maschio o femmina, ci ha fatto aspettare parecchio tempo, è giusto che essa ora aspetti che io la riceva quando farà comodo a me.

– Micawber – disse sua moglie sottovoce – in un momento come questo...

– Non è generoso – disse il signor Micawber, levandosi

– vendicarsi delle offese. Emma, comprendo il mio torto.

– Chi ci ha rimesso, Micawber – osservò la moglie –

non sei stato tu, ma la mia famiglia. Se la mia famiglia 1433

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ha finalmente compreso i vantaggi di cui s’è privata con la sua condotta in passato, e ora desidera tender la mano dell’amicizia, non la respingere.

– Mia cara – egli rispose – sia come tu dici.

– Se, non lo fai per loro, fallo per me – disse la moglie.

– Emma – egli rispose – a questa tua ragione non si può, in questo momento, resistere. Non posso, neanche ora, prometterti veramente di saltare al collo della tua famiglia; ma la persona della tua famiglia, che aspetta giù in questo momento, non si vedrà raffreddata da un’accoglienza glaciale.

Il signor Micawber scomparve e rimase per qualche tempo assente. Intanto la signora Micawber non era assolutamente libera dal timore che potesse nascere qualche disputa fra il marito e la Persona. Finalmente riapparve il ragazzo prima e mi presentò un biglietto scritto a matita con una intestazione forense: «Heep contro Micawber». Da quel documento appresi che il signor Micawber, arrestato di nuovo, era piombato nel parossismo della disperazione. Egli mi pregava di mandargli il coltello e il bicchierone di stagno, per il latore, giacché gli potevano essere utili in prigione, per quei pochi giorni di vita che gli rimanevano. Mi domandava anche, come ultima prova di amicizia, di accompagnare la sua famiglia all’ospizio della parrocchia, e di dimenticare che un 1434

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