Charles Dickens David Copperfield
miei giorni infantili, che io mi domandavo perché gli uccelli non venissero a beccargliele invece delle mele, sono aggrinzite ora; e i suoi occhi, che solevano abbuia-re tutti i dintorni del viso, sono più deboli (benché scin-tillino ancora); ma il suo indice scabro, che allora mi faceva pensare a una piccola grattugia per la noce moscata, è perfettamente lo stesso. Quando io veggo il mio ultimo nato aggrapparsi ad esso, mentre corre vacillante da mia zia a lei, ripenso al piccolo salottino di casa mia, quando io appena movevo i passi. Mia zia è finalmente consolata del suo passato disinganno: è madrina di una Betsey Trotwood in carne e ossa; e Dora (quella che vien dopo) dice che mia zia la vizia. La tasca di Peggotty è un po’ gonfia. Contiene nientemeno che il libro dei coccodrilli, ridotto in condizioni pietose, con parecchi fogli strappati e attaccati con uno spillo, ma che Peggotty mostra ai miei figli come una preziosa reliquia. È cu-riosissimo vedere il mio stesso viso di bambino levar gli occhi e guardarmi dalle storie dei coccodrilli, e ricordarmi la mia vecchia conoscenza, Brooks di Sheffield.
Fra i miei figliuoli, in queste belle giornate estive, veggo un vecchio che scioglie degli aquiloni giganteschi e li segue con l’occhio per aria con una gioia che non si può esprimere a parole. Egli mi saluta con entusiasmo, e bisbiglia con molti cenni e strizzatine d’occhio: «Trotwood, sarai contento di sapere che quando non avrò null’altro da fare finirò il memoriale, e che tua zia è la donna più straordinaria del mondo».
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Chi è quella donna curva che si appoggia a una mazza e mi mostra un viso con tracce di antico orgoglio e antica bellezza, che lottano contro l’indebolimento progressivo delle sue facoltà intellettuali, querule e distratte? Ella è in un giardino; e accanto le sta una donna appassita, fosca e aguzza, con una bianca cicatrice sulle labbra. Sentiamo ciò che dicono.
– Rosa, ho dimenticato il nome di questo signore.
Rosa si china su di lei, e le dice: «Il signor Copperfield».
– Son contenta di vedervi, signore. Mi dispiace di vedervi vestito a lutto. Spero che il tempo saprà consolarvi.
La sua compagna la sgrida, le dice che io non sono vestito a lutto, le dice di guardar meglio, tenta di scuoterla.
– Avete veduto mio figlio? – dice la vecchia signora. –
Vi siete riconciliati?
Guardandomi fisso, si porta la mano alla fronte e geme.
A un tratto, grida, con voce terribile:
«Rosa, corri, è morto!» Rosa le si inginocchia ai piedi, la carezza di tanto in tanto, e la sgrida; oppure amaramente le dice: «Gli volevo più bene di te», o cerca di farla addormentare sul suo seno, come si fa con un bimbo malato. Così le lascio; così le trovo sempre, così passano il tempo, di anno in anno.
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Ma ecco un bastimento che arriva dalle Indie. Chi è quella signora inglese, maritata a un vecchio Creso scozzese dalle orecchie immense e dall’aria di brontolo-ne? Che sia Giulia Mills?
Sì, è proprio lei, bisbetica e bella, con un negro che le porta le lettere e le carte su un vassoio d’oro, e una donna del color del bronzo vestita di bianco, con un fazzoletto rosso intorno alla testa, che le serve il caffè e latte nel gabinetto da bagno. Ma Giulia non scrive più diari, non canta più l’Agonia dell’Amore, e disputa continuamente col vecchio Creso scozzese, che è una specie d’orso giallo dalla pelle conciata. Giulia è immersa nel denaro fino al collo e non parla e non pensa ad altro.
M’era più simpatica nel deserto di Sahara.
O forse il deserto di Sahara è questo? Perché, sebbene Giulia abbia una casa sontuosa, e ospiti scelti, e magnifici pranzi ogni giorno, non le veggo intorno dei germogli verdi, nulla che un giorno possa fruttificare o fiorire.
Conosco quelli che Giulia chiama i suoi ospiti: fra essi c’è Jack Maldon che, dall’alto del suo posto, sogghigna della mano che gliel’ha dato, e parla del dottore come d’una «divertente anticaglia». Ah, Giulia, se la buona società consiste per voi di simili signore e signori futili e vuoti, e se la sua educazione consiste nella confessata indifferenza per tutto ciò che può dare incremento o ri-tardare il progresso dell’umanità, credo che dobbiamo esserci perduti nel deserto di Sahara, e che faremo bene 1557
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a cercar d’uscirne!
Ed eccolo, il dottore, il nostro eccellente amico, occupato a lavorare al Dizionario (è arrivato alla lettera D), e felice fra sua moglie e i libri. Ecco anche il Vecchio Soldato, con un andamento un po’ più dimesso e certamente molto meno influente che in passato.
Ed ecco il mio caro Traddles, che lavora al Temple nel suo gabinetto, ed è sempre pieno d’affari, ed ha i capelli (dove non è calvo) sempre più ribelli per la continua frizione della sua parrucca d’avvocato. Ha il tavolino coperto da grossi pilastri d’incartamenti; e io dico, come mi guardo attorno:
– Se Sofia fosse il tuo scrivano, ora, avrebbe un bel da fare, Traddles.
– Puoi esserne certo, mio caro Copperfield. Ma pure erano bei tempi quelli di Holborn Court. Non è vero?
– Quando ella ti diceva che saresti diventato giudice? Ma allora non se ne parlava in città.
– In tutti i casi, se mai sarò giudice... – disse Traddles.
– Sì, che lo sarai.
– Ebbene, mio caro Copperfield, quando sarò giudice, narrerò la storia, come promisi di fare.
Usciamo a braccetto. Vado a pranzo in casa di Traddles. È il genetliaco di Sofia; e in cammino Tradd-1558
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les mi discorre della sua buona fortuna.
– Veramente, mio caro Copperfield, io ho potuto fare tutto quello che m’era più a cuore. Il reverendo Orazio è stato promosso a un beneficio di quattrocento-cinquanta sterline all’anno. Poi ci sono i nostri due figli che ricevono una eccellente educazione e si segnalano nello studio e nella condotta. Tre delle ragazze si sono maritate molto bene; vi sono altre che stanno con noi; e altre tre dirigono la casa del reverendo Orazio, dopo la morte della signora Crewler; e tutte sono perfettamente felici.
– Eccetto... – suggerisco.
– Eccetto la Bellezza – dice Traddles. – Sì. Fu per lei veramente una disgrazia sposare quel vagabondo.
Egli aveva certi modi, certo splendore e certa aria di grandezza, che qualunque ragazza ci sarebbe cascata.
Ma ora ch’essa è con noi, e l’abbiamo sbarazzata di lui, le faremo riprender coraggio.