Giudicammo nobile questo proposito di Steerforth, che aveva la madre vedova, e ricca, e disposta a fare, si diceva, tutto ciò ch’egli volesse. Fummo tutti arcicon-tenti di veder Traddles messo a posto e Steerforth levato ai cieli; specialmente quando questi ci disse, perché si degnò di dircelo, che ciò che aveva fatto era stato fatto a bella posta per noi, e per la nostra causa, e ch’egli aveva inteso di giovarci col maggior disinteresse.
Ma io debbo dire che mentre quella sera narravo al buio il seguito d’un racconto, mi parve che il vecchio flauto del signor Mell sonasse più d’una volta dogliosamente al mio orecchio; e che quando finalmente Steerforth fu stanco, e io mi stesi nel letto, immaginai che sonasse con tanta afflizione in qualche parte che mi sentii completamente angosciato.
Presto dimenticai il signor Mell nella contemplazione di Steerforth, che diresse alcuni corsi con disinvoltura da dilettante e senza libri (egli mi diceva di saper tutto a memoria), finché non fu trovato un nuovo insegnante. Il nuovo insegnante veniva da una scuola di grammatica, e prima che assumesse il suo ufficio, desinò un giorno nel salotto per esser presentato a Steerforth. Steerforth gli diede la sua approvazione, e ci disse che era una brava persona. Senza comprendere esattamente quale abile di-stinzione fosse in questi termini, lo rispettai molto perciò, e non ebbi il minimo dubbio della sua dottrina superiore; benché egli non si prendesse per me la cura – non 184
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che io valessi nulla – che il signor Mell s’era preso.
Vi fu solo un altro avvenimento in quel semestre, al-l’infuori della vita scolastica quotidiana, che mi fece un’impressione che mi dura ancora. Mi dura per molte ragioni.
Un pomeriggio, che eravamo tutti in uno stato di terribile agitazione, e il signor Creakle colpiva in furia a destra e a sinistra, entrò Tungay gridando con la sua voce rimbombante: «Visite per Copperfield!»
Fra lui e il signor Creakle furono scambiate poche parole sul genere dei visitatori, sul perché della loro visita e sulla stanza dove riceverli; e poi a me, che m’ero levato in piedi, secondo s’usava, all’annuncio, e mi sentivo agitato dalla curiosità, fu ordinato di correr su a indossare una camicia di bucato, e poi di recarmi nel refettorio. A questi ordini obbedii a precipizio, con un’agitazione e una celerità insolite, e quando giunsi alla porta della stanza, e pensai che potesse essere mia madre – avevo pensato fino allora soltanto al signore e alla signorina Murdstone – ritirai la mano dal saliscendi, e mi fermai per reprimere un singhiozzo.
In principio non vidi nessuno; ma sentendo una pressione contro la porta, guardai di fuori, e vidi, con mia grande meraviglia, il pescatore Peggotty e Cam, che col cappello in mano mi facevano dei profondi inchini e si spingevan l’un l’altro contro la parete. Non potei fare a 185
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meno dal ridere; ma più per il piacere di vederli che per lo spettacolo che m’offrivano. Ci stringemmo le mani con molta cordialità; e risi e risi, finché cavai di tasca il fazzoletto e m’asciugai gli occhi.
Il pescatore Peggotty (che, ricordo, non chiuse mai la bocca una volta durante la visita), si mostrò molto preoccupato quando mi vide in quell’atto e urtò col gomito Cam perché dicesse qualche cosa,
– Allegro, signorino Davy – disse Cam nella sua ingenuità. – Come siete diventato grande!
– Sono diventato grande? – dissi, asciugandomi gli occhi. Non piangevo per nessun motivo particolare, che io mi sapessi; ma mi faceva piangere, a ogni modo, il rivedere dei vecchi amici.
– Grande, caro signorino Davy! Sì che siete diventato grande! – disse Cam.
– Sì che siete diventato grande! – disse il pescatore Peggotty.
Mi fecero di nuovo ridere col ridere l’un dell’altro, e poi tutti e tre ridemmo a rischio di farmi piangere di nuovo.
– Sapete come sta la mamma, signor Peggotty? – io dissi. – E come sta la mia cara, cara Peggotty?
– Benissimo – disse il pescatore Peggotty.
– E l’Emilietta, e la signora Gummidge?
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– Be... nissimo – disse il pescatore Peggotty. Vi fu un istante di silenzio. Per romperlo, il pescatore Peggotty cavò dalle tasche due aragoste colossali, e un enorme granchio, e un grosso sacco di gamberi, e li ammucchiò sulle braccia di Cam.
– Vedete – disse il signor Peggotty: – sapendo che vi piaceva questo genere di frutti di mare quando eravate insieme con noi, ci siamo presi questa libertà. Li ha cotti la sposina, li ha cotti. Li ha cotti la signora Gummidge.
Sì – disse il pescatore Peggotty, che mi parve s’attaccas-se a quell’argomento perché non ne aveva pronto uno diverso – vi assicuro che li ha cotti la signora Gummidge.
Gli espressi i miei ringraziamenti. Il pescatore Peggotty, dopo aver guardato Cam, che sorrideva scioccamente sui crostacei, senza tentare affatto di venirgli in aiuto, disse:
– Siamo venuti, vedete, col vento e la marea favorevoli, in barca da Yarmouth a Gravesend. Mia sorella mi aveva scritto il nome di questo posto qui, dicendomi che se mai fossi giunto fino a Gravesend, sarei dovuto venire qui a cercare del signorino Davy, per dargli i suoi rispetti, umilmente augurandogli bene, e dicendogli che in famiglia stavano certo tutti benissimo. L’Emilietta, sapete, al mio ritorno scriverà a mia sorella che io vi ho visto, e che state anche voi benissimo, e così facciamo addirittura una giostra.
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Fui costretto a meditare un poco prima di capire che intendesse il pescatore Peggotty con questa immagine, che esprimeva il giro completo d’una notizia. Lo ringraziai cordialmente; e dissi, con la coscienza di diventar rosso in viso, che speravo che anche l’Emilietta fosse cambiata da quando solevamo raccogliere conchiglie e sassolini sulla spiaggia.
– Sta diventando una donna, sta diventando – disse il pescatore Peggotty, – Domandate a lui.
Intendeva Cam, che raggiava di piacere, e diceva di sì sul sacco dei gamberi.
– Che bel viso! – disse il pescatore Peggotty, e il suo risplendeva come il sole.
– E come è istruita! – disse Cam.
– E che bella scrittura! – disse il pescatore Peggotty. –
Nera come il catrame; e così grande che si può vederla da un miglio distante.