Ebbi molti sonni interrotti nella diligenza di Yarmouth, e molti sogni incoerenti su tutte queste cose. Ma ne-gl’intervalli di risveglio, vedevo che il suolo fuori dello sportello non era la palestra di Salem House, e sapevo che lo strepito nelle mie orecchie non era prodotto dai colpi del signor Creakle sulla schiena di Traddles, ma dalle staffilate del cocchiere che incitava i cavalli.
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VIII.
LE MIE VACANZE
UN POMERIGGIO PARTICOLARMENTE
BEATO
Arrivato, prima di giorno, all’albergo dove la diligenza si fermava – non era quello in cui serviva il cameriere mio amico – fui condotto in una bella camera, che aveva il nome di Delfino dipinto sull’uscio. Nonostante il tè servitomi innanzi a un gran fuoco nella sala da basso, sentivo molto freddo; e fui lieto di coricarmi nel letto di Delfino, avvolgermi intorno alla testa le lenzuola di Delfino e addormentarmi.
Barkis, il vetturale, doveva venire a chiamarmi la mattina alle nove. Mi levai alle otto, un po’ intontito per aver riposato così poco in una notte, ed ero già pronto a rimettermi in viaggio prima del tempo stabilito. Egli mi ricevé precisamente come se lo avessi lasciato per andare a cambiare uno scellino, o per un’inezia dello stesso genere.
Non appena io e il mio baule fummo sul carro, e il vetturale fu seduto, il pigro cavallo si mise in moto al solito passo.
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– Tu stai molto bene, Barkis – dissi, credendo che gli facesse piacere sentirselo dire.
Barkis si fregò la guancia con una manica, e poi si guardò la manica, come se s’aspettasse di le tracce della sua salute in fiore; ma non diede altro segno d’aver capito il complimento.
– Il tuo messaggio io lo mandai, Barkis – dissi – e scrissi a Peggotty.
– Ah! – disse Barkis.
Barkis pareva di cattivo umore, e dava delle risposte secche.
– Non andava bene, Barkis? – chiesi, dopo un po’
d’esitazione.
– Ebbene, no – disse Barkis.
– Il messaggio non è andato bene?
– Il messaggio è andato abbastanza bene, forse – disse Barkis; – ma poi è finito così.
Non comprendendo ciò che intendeva, ripetei per avere una spiegazione:
– Come, finito così?
– Non è venuto nulla – mi disse, guardandomi di sbieco. – Nessuna risposta.
– Si aspettava una risposta, dunque? – domandai, 195
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aprendo gli occhi, perché vedevo il messaggio sotto una nuova luce.
– Quando uno dice che ha intenzione – disse Barkis, volgendo lo sguardo lentamente verso di me – è più che naturale che s’aspetti una risposta.
– Ebbene, Barkis?
– Ebbene – disse Barkis, riportando gli sguardi sulle orecchie del cavallo – d’allora son sempre stato in attesa d’una risposta.
– E tu glielo hai detto, Barkis?
– N... no – borbottò Barkis in aria meditabonda. – Io non sono andato a dirglielo. Non le ho detto mai neppure due parole. Non sono andato a dirglielo.
– Barkis, vuoi che glielo dica io? – domandai, timidamente.
– Se non ti dispiace, potresti dirle – disse Barkis, con un altro sguardo grave – che Barkis è in attesa d’una risposta. Dicesti... si chiama?
– Il suo nome?
– Ah! – disse Barkis con un cenno della testa.