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C’è il signor Murdstone, il nostro vicino Grayper, il signor Chillip e io. Quando usciamo all’aperto, i portatori e il loro carico sono nel giardino; e si muovono prima di noi giù per il sentiero, oltre gli olmi e oltre il cancello, 236

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fino al cimitero, dove spesso avevo sentito cantare gli uccelli le mattine d’estate.

Ci fermammo intorno alla tomba. Il giorno mi appare diverso dagli altri, e non dello stesso colore – di un colore più triste. Ora v’è un silenzio solenne; l’abbiamo portato da casa con ciò che riposa nel feretro; e mentre stiamo a capo scoperto, odo la voce del pastore sonar remota, benché distinta e chiara, nell’aria aperta: «Io sono la Risurrezione e la Vita, dice il Signore!». Poi odo dei singhiozzi e veggo, in disparte fra gli spettatori, la buona e fedele domestica, alla quale fra quanta gente è al mondo io voglio bene di più, e alla quale il Signore dirà un giorno, il mio cuore infantile n’è sicuro: «Tu hai bene operato».

In quella piccola folla vi sono molti visi che conosco; visi che avevo conosciuti in chiesa, quando il mio girava intorno i suoi sguardi curiosi, visi che erano stati i primi a salutar mia madre, quando era arrivata al villaggio nel fiore della sua giovinezza. Non mi occupo di essi – non m’occupo che del mio dolore – e pure li veggo e li riconosco tutti, e anche Minnie, che è in fondo, e che lancia delle occhiate al suo fidanzato, che si trova al mio fianco.

La cerimonia è finita, e la terra è colmata, e c’incammi-niamo per il ritorno. Davanti ci sta la casa, così graziosa e immutata, e così legata nel mio spirito all’idea di ciò che non è più, che tutta la mia angoscia precedente non 237

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sembra più nulla in confronto di quella che ora mi assa-le. Ma mi si compiange; e il dottor Chillip mi parla; e quando arriviamo a casa, mi dà un sorso d’acqua; e quando mi congedo da lui per andarmene in camera mia, mi saluta con una gentilezza quasi femminile.

Tutto questo, dico, è un evento di ieri. Eventi di data più recente si sono allontanati verso quella sponda dove riappariranno tutte le cose dimenticate; ma quello sta fermo come uno scoglio altissimo sull’Oceano.

Sapevo che Peggotty sarebbe venuta in camera mia.

La calma di quel giorno (era come una domenica, non so più quale) era necessaria ad entrambi. Si sedette al mio fianco sul mio lettino; e tenendomi la mano e a volte portandosela alle labbra, come avrebbe potuto fare col mio fratellino, mi disse, come meglio poteva, tutto ciò che aveva da dire su quanto era avvenuto.

– Da lungo tempo –, disse Peggotty – non si sentiva bene. Non era felice, e aveva lo spirito inquieto. Quando nacque il bambino, pensai che si sarebbe rimessa, ma deperiva e diventava più cagionevole ogni giorno. Se ne stava sola, prima che nascesse il bambino, e piangeva; ma dopo soleva cantargli la ninna-nanna... e così piano, che una volta, sentendola, mi parve di sentire una voce in cielo, che si dileguasse.

«Poi diventò, credo, più timida e più sgomenta. Una sola parola dura era come un colpo per lei. Ma con me 238

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era sempre la stessa. La povera padrona mia non cambiò mai con la sua stupida Peggotty, mai, mai.»

Qui Peggotty si fermò, carezzandomi dolcemente la mano.

– L’ultima volta che mi parve tornata quella di prima, fu la sera del tuo arrivo a casa, mio caro. Il giorno che te ne andasti, mi disse: «Non rivedrò più il mio caro figlio.

Una voce mi dice che sarà così, lo so».

«Fece di tutto per darsi coraggio, dopo. Molte volte, quando le si diceva che era spensierata e sventata, faceva le viste di crederlo; ma non era più quel tempo. Non disse mai a suo marito ciò che aveva detto a me... temeva di dirlo a chiunque, finché una sera, poco più d’una settimana prima della disgrazia, gli disse: «Mio caro, mi sento morire».

« – Sono tranquilla, ora, Peggotty – mi disse, quando la misi a letto quella sera. – Ogni giorno che passa, per pochi giorni ancora, il poverino se ne persuaderà meglio; e poi sarà finita. Sono molto stanca. Se questo è sonno, statti accanto a me, mentre dormo: non mi lasciare. Dio benedica i miei figliuoli! Dio protegga e aiuti il mio fi-gliolo orfano!»

«E non la lasciai mai più – disse Peggotty. – Ella parlava spesso a quei due da basso... perché li amava, e non poteva fare a meno di voler bene a chiunque le fosse intorno... ma quando se ne andavano dal suo capezzale, si 239

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volgeva a me, come per riposare dov’era Peggotty, e non si addormentò mai diversamente.

«L’ultima notte, nella serata, mi baciò e disse: – Se dovesse morire anche il mio bimbo, Peggotty, che me lo lascino in braccio e ci seppelliscano insieme. (Fu fatto così; perché il caro angioletto è morto il giorno dopo). E

il mio figliuolo più caro ci accompagni fino al nostro luogo di riposo; e digli che sua madre, al letto di morte, l’ha benedetto non una, ma mille volte».

Seguì un altro silenzio, e un’altra carezza sulla mia mano.

– Era già assai tardi la notte – disse Peggotty – quando mi chiese un po’ d’acqua; e, dopo aver bevuto, mi sorrise con tanta dolcezza... cara! bella!

«L’alba era spuntata e il sole si levava, quando ricordò che il signor Copperfield era con lei stato sempre tanto buono e pieno di delicati riguardi, e che le diceva, quand’ella dubitava di sé, che un cuore pieno di amore è di gran lunga migliore e più forte, e che con lei egli si sentiva felice, «Peggotty, mia cara», allora le aveva detto, «avvicinati un po’ più», perché era molto debole,

«Mettimi il tuo braccio qui sotto il collo», ella disse, «e voltami verso di te, perché il tuo viso s’allontana, e io voglio che mi stia vicino». La misi come ella desiderava e, oh, Davy, era giunto il tempo che s’avveravano le mie parole... quando poteva riposar la testa sul braccio della 240

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sua stupida Peggotty... e spirò come un bambino che s’addormenti.

Così finì la narrazione di Peggotty. Da quell’istante in cui appresi i particolari della morte di mia madre, l’immagine più recente di lei si dileguò da me. Da quell’istante la ricordai solo come la giovine madre delle mie impressioni infantili, quella che soleva avvolgersi i riccioli della testa intorno all’indice, e danzar con me ; nel salotto alla luce del crepuscolo. Ciò che mi aveva narrato Peggotty, invece di rappresentarmi l’ultimo periodo della sua vita, mi scolpì in mente la sua primissima immagine. Può sembrar curioso, ma è vero. Morendo, ella ritornava alla sua prima serena giovinezza, e annullava il resto.

La madre che giaceva nella tomba, era la madre della mia infanzia; la creaturina nelle sue braccia ero io stesso, come ero stato una volta, muto per sempre sul suo seno.

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