pensato che forse, giacché non ti vogliono qui ora, potresti avere il permesso di venire con me.
Soltanto un progetto simile poteva darmi un senso di piacere in quel momento, che non avevo intorno altra faccia amica che quella di Peggotty. L’idea di trovarmi di nuovo in mezzo a quella brava gente cordialmente ospitale; di godere la pace delle dolci mattinate domeni-cali, con le campane che sonavano, le pietre che cadevano nell’acqua e i contorni dei bastimenti che si disegnavano nella nebbia: di errare qua e là con l’Emilietta, di dirle le mie pene,e di lenirle cercando conchiglie e sassolini sulla spiaggia; fu capace di dare un po’ di tregua al mio cuore. Certo lo turbò, un istante appresso, il dubbio che la signorina Murdstone potesse negarmi il suo consenso; ma il dubbio si dileguò subito, perché essendo ella apparsa fra noi per una visitina notturna alla dispensa, mentre eravamo ancora in conversazione, Peggotty, con un ardimento che mi stupì, affrontò di punto in bianco il soggetto.
– Là il ragazzo se ne starà in ozio – dice la signorina Murdstone, guardando entro un vaso di sottaceti – e l’ozio è il padre di tutti i vizi. Ma se ne starà in ozio anche qui... o dovunque, ne sono convinta.
Peggotty, vedevo, aveva pronta una risposta appropriata, ma si frenò per amor mio, e stette zitta.
– Ohibò! – disse la signorina Murdstone guardando 246
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sempre i sottaceti. – Il più importante si è... anzi è della massima importanza... che mio fratello non venga disturbato e sia lasciato tranquillo. Certo, farei bene a dir di sì.
La ringraziai, senza alcuna dimostrazione di gioia, per tema che mi ritirasse il permesso. E fu un vero tratto di sagacia, perché quando ella stornò il viso dal vaso dei sottaceti, mi guardò con tanta acidità, che mi parve che i suoi occhi ne avessero aspirato il contenuto. A ogni modo il permesso fu dato e non più ritirato; e, spirato il mese, Peggotty e io eravamo pronti alla partenza.
Barkis si presentò in casa a pigliare i bauli di Peggotty.
Prima non lo avevo mai visto oltrepassare il cancello, ma in quell’occasione si spinse fin nell’atrio. E mi diede uno sguardo, mentre si caricava sulle spalle il baule più grosso e usciva, che credetti significante, se poteva dirsi che un significato s’aprisse mai un varco nella faccia di Barkis.
Peggotty naturalmente era afflitta nel lasciare la casa che era stata sua per tanti anni, e dove s’erano formati i suoi due più forti affetti: quello per me e quello per mia madre. Di buon mattino s’era recata nel cimitero; e salì sul carro e vi si sedette, col fazzoletto agli occhi.
Finché se ne rimase in quell’atteggiamento, Barkis non diede indizio alcuno di vita. Se ne stette al suo solito posto, immobile come una figura di cera. Ma quando Peg-247
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gotty cominciò a guardare in giro e a parlarmi, egli scosse il capo e sorrise parecchie volte. E non avevo la minima idea di che, e perché.
– Bella giornata, Barkis – io dissi, in segno di cortesia.
– Non è brutta – disse Barkis, che in generale si esprimeva con riserva e non si lasciava andare ad ammissioni precise.
– Peggotty ora sta molto meglio – osservai per fargli piacere.
– Sì, veramente?
E dopo aver meditato un poco, Barkis le diede una occhiata sagace e disse:
– Ora state molto meglio, no?
Peggotty rise e rispose di sì.
– Ma veramente e realmente state meglio, no? – bronto-lò Barkis, facendosi più da presso a lei sul sedile, e spin-gendola col gomito. – No? Realmente e veramente state meglio, no? Eh! A ciascuna di queste domande Barkis si faceva più da presso, e le dava un’altra gomitata; di modo che dopo poco ci trovammo tutti e tre stretti insieme nell’angolo sinistro del carro, ed io così compresso che non potevo più respirare. Peggotty avvertì Barkis delle mie sofferenze, ed egli mi diede subito un po’ più di spazio e s’allontanò gradatamente. Ma non potei fare a meno dall’osservare che egli giudicava d’aver trovato 248
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un mezzo meraviglioso per esprimersi limpidamente, piacevolmente e incisivamente, senza la fatica di conversare. Perciò sorrise manifestamente di soddisfazione per qualche tempo, e poi si volse di nuovo a Peggotty, ripetendo: «State veramente meglio?», e si spinse verso di noi come prima, finché quasi un cuneo mi tolse il respiro. E poi fece un’altra incursione su di noi con la stessa domanda e con lo stesso risultato. Finalmente, quando lo vedevo sulle mosse di far lo stesso movimento, mi levavo in piedi con la scusa di guardare il paesaggio; e mi rimettevo a sedere piuttosto stizzito.
Egli si mostrò poi così gentile da fermarsi a un albergo espressamente per noi, e di farci rifocillare con un arrosto e della birra. Una volta che Peggotty era nell’atto di bere, egli fece uno di quei suoi memorabili approcci, e mancò poco non la facesse soffocare. Ma come ci avvicinavamo alla fine del viaggio, egli ebbe più da fare e meno tempo di mostrarsi galante; e quando toccammo il selciato di Yarmouth, eravamo tutti e tre tanto scossi, e davamo tali sobbalzi, che credo non ci fosse agio di pensare ad altro.
Il pescatore Peggotty e Cam ci aspettavano al solito punto. Accolsero me e Peggotty nella maniera più cordiale, e strinsero la mano a Barkis, che, col cappello dietro il capo e uno sguardo di confusione in faccia che lo impacciava tutto, si mostrava, credo, piuttosto intontito. Ciascuno si prese uno dei bauli di Peggotty, e sta-249
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vamo per avviarci, quando Barkis mi fece solennemente cenno col dito di raggiungerlo sotto un arco.
– Credo – borbottò Barkis – che sia andata bene.
Lo guardai in viso, e risposi, tentando di mostrare di aver compreso: – Oh!
– Non ho conchiuso tutto – disse Barkis con un cenno confidenziale; – ma è andata bene.
Di nuovo risposi: – Ah!
– Tu sai chi aveva intenzione – disse il mio amico. –
Barkis e soltanto Barkis.
Io feci un cenno d’intelligenza.
– Benissimo – disse Barkis, dandomi la mano; – io sono amico tuo. Tu prima hai fatto ciò che dovevi. Va tutto bene.