Nel suo sforzo d’esser particolarmente limpido, Barkis si mostrava così misterioso, che sarei potuto rimanere lì a guardarlo in faccia per un’ora, indubbiamente senza aver più ragguagli che dal quadrante d’un orologio fermo, se Peggotty non mi avesse chiamato. Mentre procedevamo, ella mi chiese che cosa m’avesse detto Barkis, e io le dissi che m’aveva detto che era andata bene.
– Come la sua faccia tosta – disse Peggotty – ma non importa. – Davy caro, che diresti, se pensassi di maritarmi?
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– Ebbene... credo che mi vorresti bene così allora come ora, Peggotty – risposi, dopo un momento di riflessione.
Con gran meraviglia dei passanti, e dei parenti che andavano innanzi, la poveretta fu costretta a fermarsi per abbracciarmi immediatamente, con le più vive proteste d’inalterabile affetto.
– Dimmi che diresti, caro – mi chiese di nuovo, dopo, come ci rimettemmo in cammino.
– Se tu pensassi di maritarti... con Barkis... Peggotty?
– Sì – disse Peggotty.
– Direi che sarebbe una bellissima cosa. Perché allora, sai, Peggotty, tu avresti sempre il cavallo e il carro per venire a trovarmi, e potresti viaggiar gratis e saresti sicura di venire.
– Che intelligenza! – esclamò Peggotty. – Ci pensavo da un mese. Sì, tesoro mio; e credo che sarei più spensierata, e in casa mia lavorerei più tranquilla che in casa d’altri. Non so, ora,se potrei adattarmi a servire degli estranei. E sarò sempre vicina alla tomba della mia cara padrona – aggiunse Peggotty pensosa – e potrò andarci quando mi piacerà, e quando sarà giunta l’ora mia, non sarò sepolta lontano da lei.
Per un po’ nessuno di noi due parlò.
– Ma non ci penserei più che tanto – disse Peggotty allegramente – se al mio Davy non piacesse... anche se fossi 251
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stata invitata in chiesa più di trenta volte tre, e avessi l’anello in tasca.
– Guardami, Peggotty – risposi – e vedi se non sono veramente contento, e se non lo voglia realmente.
– Bene, figlio mio – disse Peggotty dandomi un abbraccio. – Ci ho pensato notte e giorno, in tutti i modi, e meglio che m’era possibile. Ne parlerò a mio fratello, e intanto rimarrà fra te e me, Davy. Barkis è un buon diavolo – disse Peggotty – e se cercherò di fare il mio dovere con lui, sarebbe colpa mia, credo, se non riuscissi... se non riuscissi a star veramente meglio – disse Peggotty, con una risata cordiale.
Questa citazione della frase di Barkis era così appropriata, e ci solleticò tanto, che ci mettemmo a ridere e a ridere da non finirla più, ed eravamo di eccellente umore quando arrivammo in vista dell’abitazione di Peggotty.
Era perfettamente la stessa, tranne forse che ai miei occhi si presentava rimpicciolita; e la signora Gummidge attendeva sulla soglia come se dalla prima volta non si fosse più mossa di lì. Nell’interno tutto era lo stesso, perfino le alghe della ciotola azzurra nella mia cameretta. Feci una visitina alla tettoia di fuori, e vi trovai gli stessi granchi, gamberi, aragoste, presi dalla stessa mania di attanagliare il mondo in generale, nello stesso stato di conglomerazione, nello stesso loro cantuccio.
Ma siccome non vedevo ancora l’Emilietta, doman-252
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dai al pescatore Peggotty dove fosse.
– A scuola – disse il pescatore Peggotty, asciugandosi dalla fronte il sudore che gli stillava per il trasporto del baule della sorella; – sarà a casa – e guardò l’orologio col cuculo – fra venti o trenta minuti. Tutti sentiamo la sua mancanza.
La signora Gummidge gemé.
– Allegramente, sposina! – esclamò il pescatore Peggotty.
– Io la sento più di tutti – disse la signora Gummidge; –
sono una povera donna solitaria e abbandonata, e lei è quasi l’unica che non mi contraria.
La signora Gummidge, gemendo e scotendo il capo, si dedicò alle necessità del fuoco, che in quell’istante aveva bisogno d’esser soffiato. Mentre ella era così occupata, il pescatore Peggotty ci diede uno sguardo circolare, e disse sottovoce, con la mano alla bocca: «Il vecchio!».
Da questo arguii che nessun miglioramento s’era avuto, dal tempo della mia ultima visita, nelle condizioni di spirito della signora Gummidge.
La casa era, o sarebbe dovuta essere, incantevole come una volta; ma su me non faceva la stessa impressione.
Ne ero piuttosto deluso. Forse perché l’Emilietta era assente. Conoscevo la via per la quale sarebbe tornata, e subito mi trovai incamminato a quella volta.
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Non passò molto che m’apparve in distanza una personcina, che riconobbi subito per l’Emilia, la quale, benché fosse cresciuta, era ancora piccoletta di statura. Ma quando mi fu più vicina, e vidi che i suoi occhi azzurri sembravano più azzurri, e il viso paffutello più radioso, ed era tutta quanta più bella e più lieta, uno strano sentimento mi spinse a fingere di non riconoscerla, e a passarle accanto come immerso in una visione lontana. E se non erro, m’è avvenuto di poi di far lo stesso in simili occasioni.
L’Emilietta non se ne curò minimamente. Mi aveva riconosciuto quasi subito; ma invece di voltarsi e di chiamarmi, seguitò correndo e ridendo la sua strada. Questo mi costrinse a correrle dietro, ma ella andava così veloce che quando la raggiunsi eravamo quasi dinanzi a casa.
– Oh, sei tu? – disse l’Emilietta.