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Veramente, prevedevo chiaramente che essa avrebbe seguito la sottoveste, e che avrei dovuto fare la maggior 323

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parte del viaggio per Dover con la sola camicia e i calzoni: avrei dovuto, anzi, ritenermi fortunato, se fossi arrivato almeno in quell’acconciatura. Ma di questo non m’importava gran che, come è facile immaginare. Oltre un’impressione generale della distanza che avevo da percorrere, e del crudele trattamento usatomi dal giovane carrettiere, credo non avessi, allorché mi rimisi in viaggio con la lira in tasca, un’idea molto precisa di tutte le mie difficoltà.

Avevo pensato intanto al modo di passar la notte, e mi disponevo a metterlo in atto: sdraiarmi, cioè, dietro il muro del mio antico convitto, in un angolo dove soleva esserci un pagliaio. Mi sembrava che fosse una specie di compagnia trovarmi così, là presso ai miei compagni e al dormitorio, dove avevo narrato tante storie, benché i miei compagni non ne sapessero nulla e il dormitorio ancora meno.

La giornata era stata faticosissima, mi sentivo stanco morto, quando arrivai finalmente all’altezza di Blackheath. Non mi fu facile scoprire Salem House; ma lo trovai, e trovai il pagliaio in un angolo. Mi ci buttai su, dopo aver fatto un giro intorno al recinto e aver dato uno sguardo alle finestre, e rilevato che di dentro tutto era buio e silenzio. Non dimenticherò mai l’impressione di solitudine che provai nell’allungarmi senza avere un soffitto sul capo!

Il sonno discese su me quella notte come discese su 324

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tanti altri abbandonati, contro i quali tutte le porte si chiudevano e i cani abbaiavano – e sognai di star nel letto del convitto a conversar coi ragazzi della mia ca-merata; e mi trovai levato a metà, col nome di Steerforth sulle labbra, a guardar smarrito le stelle scintillanti che mi splendevano sul capo. Ricordando dove mi trovavo, a quell’ora indebita, m’invase un sentimento che mi fece levar su in fretta, con la paura di non so che, e mi persuase a muovermi. Ma lo scintillìo delle stelle più debole e il pallore del cielo nel punto dove il giorno spuntava, mi rassicurarono: e con le palpebre ancora pesanti, mi allungai giù di nuovo, e dormii pur avvertendo nel sonno una sensazione di freddo – finché i caldi raggi del sole e il suono della campana mattutina di Salem House non mi ridestarono. Se avessi potuto sperare nella presenza di Steerforth, mi sarei tenuto nascosto finché non avessi potuto vederlo; ma sapevo ch’egli se n’era andato da parecchio. Forse c’era ancora Traddles; ma non avevo abbastanza fiducia nella sua discrezione e nella sua buona stella, per quanto fossi profondamente persuaso della sua bontà, per desiderar di con-fidargli il mio stato. Così, mentre gli scolari del signor Creakle si stavano levando, m’allontanai dal recinto, e presi la lunga strada polverosa che, sapevo, conduceva a Dover, fin da quando ero uno di loro ed ero lontano le mille miglia dall’immaginare che un giorno l’avrei percorsa in quelle condizioni.

Che mattina di domenica diversa dalle antiche mattine 325

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di domenica a Yarmouth! Mentre andavo innanzi, sentivo, all’ora consueta, sonar le campane. Incontrai della gente che andava in chiesa. Passai innanzi a qualche chiesa già gremita di fedeli. L’eco dei canti usciva fuori al sole, e lo scaccino, seduto sotto il portico, all’ombra d’un cipresso, a prendere il fresco, seguiva, con la mano alla fronte e con sguardi sospettosi, i miei passi. Ma la pace e la quiete della mattina della domenica era in ogni oggetto, tranne che in me. Questa era la differenza. Così impolverato, e sudicio, e scarmigliato, mi sentivo malvagio. Solo la serena immagine, alla quale io pensavo, di mia madre nella sua giovinezza e nella sua bellezza, mi diede il coraggio di continuare ad andare fino al giorno appresso. Essa m’era sempre dinanzi, ed io la seguivo.

Quella domenica feci ventitré miglia sulla strada maestra, non agevolmente, s’intende, perché ero nuovo a quel genere di esercizio. Ripensandoci, mi riveggo, mentre cade la sera, varcare il ponte di Rochester, coi piedi contusi e doloranti, sbocconcellando il pane che avevo comprato per la cena. Ero stato tentato da una o due casette che avevano la scritta: «Alloggio per i viaggiatori», sospesa al di fuori; ma temevo di spendere quei pochi soldi che possedevo, e anche più i tristi sguardi dei vagabondi che avevo incontrati od oltrepassati. Non cercai, perciò, altro riparo che il cielo, e passando per Chatham – che, in quella notte, m’apparve come un sogno di calce, di ponti levatoi e di bastimenti disalberati 326

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in un fiume fangoso – m’inerpicai, finalmente, su una specie di baluardo erboso a picco su un viottolo dove passeggiava innanzi e indietro una sentinella. M’acco-vacciai da presso a un cannone; e, lieto della compagnia dei passi della sentinella, la quale, come i miei compagni di Salem House entro il recinto, non sospettò affatto la mia presenza lassù, dormii profondamente fino a giorno.

Mi svegliai la mattina, coi piedi e le ossa doloranti, e con le orecchie rintronate dal rullo dei tamburi e dalle grida dei soldati, che parevano raggiungermi da ogni lato quando andai giù, infilando il viottolo. Comprendendo che quel giorno, se avessi voluto trovare e conservare tanta energia, da finire il mio viaggio, non sarei potuto arrivare molto lontano, decisi d’occuparmi principalmente della vendita della giacca. Per conseguenza, me la tolsi, per abituarmi a farne senza; e, portandola sotto il braccio, cominciai un giro d’ispezione delle varie botteghe di rigattieri.

Era un paese dove una giacca si poteva vender facilmente, perché i mercanti d’abiti usati erano numerosi; e stavano, parlando in generale, sulle porte delle loro botteghe in attesa d’avventori. Ma siccome la maggior parte avevan tra le mercanzie in mostra qualche uniforme d’ufficiale con tutte le spalline, io, reso timido dal genere sontuoso del loro commercio, gironzai per molto tempo senza aver l’ardire di offrire la mia mercanzia a nes-327

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suno.

Per quel mio senso di ritrosia, fissai l’attenzione sulle botteghe d’abiti per uso dei marinai e su quelle del genere di Dolloby. Finalmente, sull’angolo d’una sudicia straduzza, che finiva in un campo d’ortiche, ne scorsi una che mi parve promettente. Abiti vecchi da marinaio, che pareva traboccassero dalla bottega, erano sciorinati sulla siepe del campo d’ortiche e s’agitavano al vento fra culle sgangherate, fucili sconnessi, cappelli di tela incerata e certi vassoi pieni di tante vecchie chiavi ar-rugginite di tutte le dimensioni, che pensai si potessero aprire con esse tutte le porte del mondo.

Col cuore che mi martellava, scendendo alcuni gradini, entrai nella bottega bassa e piccola, oscurata piuttosto che illuminata da un finestrino e piena di vestiti penzo-loni dal soffitto. Mi sentii perduto quando un brutto vecchio, dalla chioma grigia e scarmigliata, s’avventò da una sudicia tana nel fondo, e mi afferrò per i capelli. Era un vecchio che faceva paura, con una sottoveste di flanella lurida, e con un fortissimo odore di rhum. Il suo letto, coperto di una coltre di tutti i colori, lacera e rap-pezzata, stava nella tana dond’egli era uscito, e dove un secondo finestrino mostrava lo spettacolo di altre ortiche e d’un asino zoppo.

– Che vuoi? – sogghignò il vecchio, con un lamento, monotono e selvaggio. – Oh, gli occhi e la schiena, che vuoi? Oh, i polmoni e il fegato, che vuoi? Oh, gorù, 328

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gorù!

Fui così sgomento da queste parole, e specialmente dalla ripetizione dell’ultima, di cui non sapevo il senso e che gli faceva in gola una specie di rantolo, che non potei risponder nulla; e il vecchio, tenendomi ancora per i capelli ripeteva:

– Oh, che vuoi? Oh, gli occhi e la schiena, che vuoi?

Oh, i polmoni e il fegato, che vuoi? Oh, gorù, gorù! –

svellendo dalla gola quella parola insensata con un’energia che gli faceva uscir gli occhi dalla testa.

– Vorrei sapere – dissi tremante – se comprereste una giacca.

– Oh, vediamo la giacca! – esclamò il vecchio. – Oh, il cuore mi brucia, fammi vedere la giacca! Oh, gli occhi e la schiena, caccia la giacca!

A questo tolse dai miei capelli le mani tremanti, che erano come degli artigli d’un uccellaccio, e si mise un paio d’occhiali che non gli facevano meno tristi gli occhi arrossati.

– Oh, quanto per questa giacca? – esclamò il vecchio, dopo averla esaminata. – Oh... gorù…quanto per questa giacca?

– Due e cinquanta – risposi, con più calma.

– Oh, i polmoni e il fegato – esclamò il vecchio – no!

Oh, gli occhi, no! Oh, la schiena,no! Trenta soldi. Gorù!

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Ogni volta che proferiva questa esclamazione, gli occhi sembravano volessero schizzargli dalla testa; e pronunziava ogni frase con una specie di cadenza, sempre la stessa precisa, quasi come una raffica di vento – è l’unico paragone possibile – che cominciasse piano, si raffor-zasse e cadesse.

– Ebbene – io dissi, lieto d’aver fatto l’affare – datemi i trenta soldi.

– Oh, il fegato! – gridò il vecchio, gettando la giacca su uno scaffale. – Esci dalla bottega! Oh, i polmoni, esci dalla bottega! Oh, gli occhi e la schiena... gorù... non chieder denaro; facciamo un baratto!

Non ebbi mai tanta paura in vita mia, prima o dopo; ma gli dissi umilmente che volevo il denaro, e che non avevo bisogno d’altro; ma che avrei aspettato, se mai, fuori della bottega, che mi pagasse a suo comodo. Quindi uscii, e m’andai a sedere all’ombra. E vi stetti tante ore, che l’ombra diventò luce, e la luce di nuovo ombra, sempre in attesa del denaro.

A far quel mestiere non vi fu mai, credo, un matto e un ubbriacone simile. Compresi subito, dalle incursioni dei ragazzi che venivano continuamente a schiamazzare innanzi alla bottega, gridandogli d’aver venduto l’anima al diavolo, e di far vedere l’oro che gli aveva estorto, ch’egli era molto noto nel vicinato e che correva sul conto suo quella leggenda. «Tu non sei povero, sai, Car-330

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Are sens