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Ma nel corso della serata, ero arrivato fino alla porta e avevo fatto qualche passo fuori per dare un’altra occhiata alle vecchie case e alla grigia cattedrale; e pensavo alla traversata di quella città durante il mio viaggio, e, al mio passaggio innanzi a quella dove poi avrei abitato.

Quando ritornai, vidi Uriah Heep che chiudeva lo studio; e, sentendo simpatia per tutti, gli andai incontro e gli parlai, e, lasciandolo, gli diedi la mano. Ma, ahimè; che mano madida aveva! Spettrale al tatto come alla vista! Mi stropicciai la mia, dopo, per scaldarmi, e cancellare il suo contatto.

Dava tanto fastidio quella mano, che quando fui in camera mia, mi sentivo le dita ancor umide e fredde. Af-facciandomi alla finestra, e vedendo una delle figure scolpite all’estremità delle mensole del tetto guardarmi 400

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obliquamente, mi parve che fosse Uriah Heep in persona, e rientrai in fretta.

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XVI.

TRASFORMATO

La mattina seguente, dopo colazione, cominciai ad andar di nuovo alla scuola. Arrivai accompagnato dal signor Wickfield sul teatro dei miei studi futuri – un solenne edificio, entro un recinto, con certa aria di dottrina che s’adattava a meraviglia alle cornacchie e ai corvi sbandati che calavano sul prato, dalle torri della Cattedrale, a passeggiarvi con certo loro portamento ecclesiastico – e fui presentato al mio nuovo maestro, il dottor Strong.

Il dottor Strong mi parve avesse lo stesso aspetto rugginoso della grande cancellata della facciata, e la stessa rigidezza e pesantezza delle grandi urne di pietra che la fiancheggiavano, schierate sui pilastri di mattoni, a regolare distanza, intorno al recinto, come un gigantesco giuoco di birilli per il Tempo. Egli era nella sala della libreria, con gli abiti non molto bene spazzolati, i capelli non molto bene pettinati, le brache ancor sciolte alle ginocchia; le lunghe uose nere non abbottonate; e le scarpe che sbadigliavano come due caverne, sul tappeto innanzi al caminetto. Volgendo su me un occhio smorto, che mi evocò il ricordo d’un cavallo cieco che avevo da 402

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molto tempo dimenticato e avevo visto errare al pascolo e inciampare fra le tombe del cimitero di Blunderstone, mi disse ch’era lieto di vedermi; e mi diede una mano, della quale non sapevo che farmi, perché rimaneva pesante e inerte.

Ma occupata a lavorare, non discosta dal dottor Strong, c’era una giovane donna molto bella – che egli chiamava Annie, e ch’io supposi fosse sua figlia – la quale mi trasse d’imbarazzo con l’inginocchiarsi a metter le scarpe al dottor Strong, e ad abbottonargli le uose, atti ch’el-la eseguiva con la maggiore alacrità e rapidità.

Quand’ebbe finito, e noi ci avviammo alla sala della scuola, fui molto sorpreso nel sentire il signor Wickfield, che le diceva arrivederci, chiamarla signora Strong. Mi domandavo se non fosse la moglie di un figlio del dottor Strong, allorché questi inconsapevolmente m’illuminò.

– A proposito, Wickfield – egli disse, fermandosi in un corridoio e tenendomi una mano sulla spalla; – non avete ancora trovato un posto adatto per il cugino di mia moglie?

– No – disse il signor Wickfield. – No, non ancora.

– Vorrei che fosse fatto al più presto possibile, Wickfield – disse il dottor Strong – perché Jack Maldon è bi-sognoso e fannullone; e da queste due cose cattive, a volte, nascono cose peggiori. Dice il dottor Watts – ag-403

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giunse guardandomi e scotendo il capo durante la sua citazione: – «Satana trova sempre lavoro per le mani oziose».

– Ah, dottore! – rispose il signor Wickfield.

– Se il dottor Watts avesse conosciuto bene gli uomini, avrebbe scritto con altrettanta verità: «Satana trova sempre lavoro per le mani affaccendate». La gente affaccendata non lascia a questo mondo di far tutta la sua parte di male, persuadetevene. Che ha fatto, da un secolo o due, tutta la gente più affaccendata nell’accumular denaro o potenza? Nessun male?

– Credo che Jack Maldon non si darà mai da fare per avere l’uno o l’altra – disse il dottor Strong, lisciandosi in atto pensoso il mento.

– Forse no – disse il signor Wickfield – e voi mi riporta-te al punto. Scusatemi la digressione. No, non sono stato ancora capace di trovare un posto per il signor Jack Maldon. Credo – aggiunse con qualche esitazione –

d’indovinare il vostro scopo, e questo aggiunge difficoltà alla cosa.

– Il mio scopo – rispose il dottor Strong – è di trovare un posto adatto al cugino e compagno di giuochi di Annie.

– Sì, lo so – disse il signor Wickfield – in patria o all’estero.

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– Si! – rispose il dottore meravigliato evidentemente del tono energico che il signor Wickfield dava a quelle parole. – In patria o all’estero.

– Sono le vostre stesse parole – disse il signor Wickfield: – o all’estero.

– Certo – rispose il dottore – certo. O in Inghilterra o fuori.

– In Inghilterra o fuori? Vi è indifferente? – chiese il signor Wickfield.

– Sì – rispose il dottore.

– Sì? – domandò l’altro meravigliato.

– Perfettamente indifferente.

– Non avete alcuno scopo – disse il signor Wickfield

– per volerlo all’estero e non in patria?

– Nessuno – rispose il dottore.

– Io ho il dovere di credervi, e naturalmente vi credo

– disse il signor Wickfield. – Se l’avessi saputo prima, il mio incarico sarebbe stato molto semplificato. Ma confesso che credevo diversamente.

Il dottor Strong lo guardò dubbioso e curioso; ma poi quasi immediatamente mostrò un sorriso che mi rianimò: perché era pieno di amabilità e di dolcezza e di tanta semplicità – visibile inoltre in tutti i modi del dottore, quando se ne scioglieva certo ghiaccio con cui lo vela-405

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vano lo studio e la meditazione – che attraeva e incorag-giava uno scolaro giovinetto come me. Ripetendo «sì» e

Are sens