e precisamente da quando tua sorella Betsey Trotwood mi diede la delusione che sai.
– Da tanto tempo? – domandai.
– Ed erano proprio persone a modo quelle che ebbero l’audacia di chiamarlo matto! – proseguì mia zia. –
Dick è un mio parente lontano; non importa in che modo; è inutile spiegare in che modo. Suo fratello, se non fosse stato per me, l’avrebbe tenuto rinchiuso vita natural durante. Ecco quanto!
Credo che fosse un po’ un’ ipocrisia la mia; ma, vedendo che mia zia parlava con un’aria risentita della cosa, cercai anch’io d’assumere un’aria di risentimento.
– Uno stupido presuntuoso! – disse mia zia. – Perché 363
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suo fratello era un po’ eccentrico... in verità non è più eccentrico di tanti altri... non volle che stesse in casa sua, e lo mandò in una casa di salute, mentre il loro defunto padre, che lo credeva quasi idiota, glielo aveva raccomandato particolarmente. Altra bella testa! Il matto era lui, certo!
Mia zia, dicendo questo, aveva un’aria così convinta, che anche qui mi sforzai di far come lei, e di mostrarmi convinto anch’io.
– Allora intervenni io – disse mia zia – e... e gli feci una proposta. Dissi: «Vostro fratello è sano... molto più sano di quanto siete voi, o di quanto sarete mai, credo. Dategli la sua piccola rendita, e ch’egli venga a stare con me.
Non ho paura di lui, io; non sono orgogliosa, io; sono disposta ad accudirlo, e a non maltrattarlo come hanno fatto certuni, anche fuori della casa di salute». Dopo molto armeggiare – disse mia zia – potei averlo con me, e da allora c’è stato sempre. Egli è l’essere più affettuoso e docile del mondo; e quanto a saper dare un consiglio... Ma non c’è nessuno, all’infuori di me, che possa e sappia apprezzare il buon senso di quell’uomo.
Mia zia si dava con una mano una lisciatina alla gonna e scoteva il capo, come se con un gesto appianasse l’insolenza del mondo intero, e con l’altro lo minacciasse.
– Egli aveva una sorella alla quale voleva molto bene –
disse mia zia – una buona creatura, che si mostrava con 364
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lui tanto gentile. Ma ella fece ciò che fanno tutte... Si maritò, e il marito fece ciò che fanno tutti... la rese infelice. Questo, insieme con la paura di suo fratello e il sentimento della durezza da lui mostratagli, ebbe un tale effetto su Dick (non è pazzia questa, spero), che egli si ammalò. La cosa accadde prima ch’egli venisse a star con me; ma il solo ricordo del passato lo fa cadere in uno stato di grande abbattimento. Ti ha detto qualche cosa di Carlo I, piccino?
– Sì, zia.
– Ah! – disse mia zia, stropicciandosi il naso, come se fosse un po’ contrariata. – È una maniera allegorica di parlare della sua malattia. La connette nel suo spirito a una grande agitazione e un gran turbamento, e usa una similitudine, un paragone, come si dice. E perché non dovrebbe farlo, se gli viene a proposito?
Io dissi:
– Certo, zia.
– Non è il linguaggio degli affari – disse mia zia – né il linguaggio comune, lo so. Perciò io insisto che non ne parli nel suo memoriale.
– Che! Scrive la sua autobiografia, zia?
– Sì, piccino – disse mia zia, stropicciandosi di nuovo il naso. – Egli scrive una memoria su di sé, indirizzata al lord Cancelliere, o al lord tal di tale... a uno di quelli, in-365
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somma, che sono pagati per leggere le memorie. Gliela manderà uno di questi giorni, immagino. Non è ancora riuscito ad estenderla senza introdurvi quella sua allego-ria, ma non importa; intanto si occupa di qualche cosa.
Dopo scoprii, infatti, che il signor Dick, da più di dieci anni, si sforzava di tener Carlo I lontano dal suo memoriale. Ma Carlo I c’era costantemente entrato, e ci entrava ancora.
– Ripeto – disse mia zia – nessuno, all’infuori di me, può e sa apprezzare il suo buon senso, ed egli è l’essere più affettuoso e docile del mondo. Che c’è da ridire se a volte gli piace di sciogliere all’aria un aquilone? Anche Franklin soleva sciogliere gli aquiloni, e se non erro, era un quacquero o qualche cosa di simile; e un quacquero che scioglie un aquilone è molto più ridicolo degli altri.
Se avessi potuto credere che mia zia si fosse indugiata su questi particolari per mio speciale beneficio, e per un tratto particolare della sua fiducia in me, ne sarei stato molto solleticato, e avrei sperato molto da un simile sintomo della sua buona opinione. Ma difficilmente potevo fare a meno dall’osservare che s’era lasciata andare a quelle spiegazioni principalmente perché le era venuto in mente quell’argomento. Di me ella si curava poco: s’era rivolta a me, solo perché non c’era un altro che l’a-scoltasse.
Nello stesso tempo, è mio dovere riferire che la sua ge-366
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nerosa difesa del povero e innocuo signor Dick, non solo mi diede delle egoistiche speranze, ma mi accese il petto, disinteressatamente, di viva simpatia per lei. Credo che incominciassi a vedere che in mia zia v’era qualche cosa, nonostante le sue molte bizzarre stranezze, da onorare e rispettare. Benché quel giorno si trovasse nella stessa agitazione del giorno prima, e uscisse e entrasse continuamente a cagione degli asini, e fosse piombata quindi in uno stato di terribile indignazione per l’atto di un giovanotto, che, passando, aveva fatto gli occhi di triglia a Giannina affacciata alla finestra (uno dei più gravi attentati che si potessero commettere contro la dignità di mia zia), mi parve ch’ella mi ispirasse non solo timore ma rispetto.
L’ansia da me provata nel tempo che doveva necessariamente trascorrere prima che si potesse avere una risposta dal signor Murdstone alla lettera di mia zia, era vi-vissima; ma mi sforzai di soffocarla e di rendermi tranquillamente gradito e a mia zia e al signor Dick.
Il signor Dick e io saremmo usciti a sciogliere il volo del gigantesco aquilone; ma avevo ancora addosso gli abiti poco ostensibili, coi quali mi avevano infagottato, il primo giorno, ed ero costretto a rimanere in casa, tranne per un’ora la sera al buio, quando mia zia, per misura igienica, mi mandava a passeggiare su e giù sullo scoglio vicino prima di andare a letto. Finalmente giunse la risposta del signor Murdstone, e mia zia m’informò, con 367
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mio gran sgomento, che il giorno appresso sarebbe venuto lui stesso in persona a parlarle. Il giorno appresso, ancora infagottato nel mio strano costume, stetti a contare i minuti, agitato vivamente dal conflitto delle speranze che crollavano, e delle paure che sorgevano in me: nel continuo timore di veder arrivare il fosco viso che, pur non arrivando, m’intimoriva ogni momento.