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che Peggotty scrivendomi aveva pianto.

Indovinai, senza molta fatica, ch’ella non poteva ancora adattarsi all’idea di trattar gentilmente mia zia. Dopo una così lunga prevenzione ostile, parlava di lei brevis-simamente. Non si conoscono mai bene le persone, ella scriveva; ma pensare che la signora Betsey dovesse essere così diversa da ciò che s’era creduto che fosse, era una lezione! Questa era la sua parola. Si vedeva ch’ella aveva ancora paura della signora Betsey, perché le mandava degli ossequi molto timidi; e aveva paura anche di me, perché, a giudicare dalle sue ripetute allusioni alla somma occorrente al viaggio per Yarmouth, che avrei potuto, volendo, ottenere da lei immediatamente, affac-ciava il dubbio che io meditassi di nuovo di darmi alla fuga.

Ella mi diede una notizia che mi commosse profondamente: che s’erano venduti, cioè, i mobili di casa mia, e che il signore e la signorina Murdstone se n’erano andati, e la casa era stata chiusa, per essere poi appigionata o venduta. Dio sa quanto poco spazio vi avevo occupato, dopo il loro ingresso; ma mi doleva pensare al totale abbandono della mia antica e cara dimora; alle erbacce che crescevano alte nel giardino, e alle foglie cadute che 441

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riempivano e marcivano nei viali. Immaginavo che intorno ad essa, solitaria in quella solitudine, urlassero i venti invernali, che la pioggia fredda la flagellasse sui vetri delle finestre, che la luna disegnasse degli spettri sulle pareti delle stanze vuote. Ripensavo alla tomba nel cimitero, sotto l’albero; e mi sembrava che anche la casa fosse morta, ora, e che quanto mi ricordava mio padre e mia madre si fosse interamente dileguato.

Non v’erano altre notizie nella lettera di Peggotty. Barkis era un buon marito, ella diceva, benché sempre un po’ tirato; ma tutti abbiamo i nostri difetti, e lei ne aveva tanti (io non ho mai saputo quali fossero). Il marito mi mandava i suoi ossequi, e la mia piccola camera da letto era sempre pronta per me. Il pescatore Peggotty stava bene, e Cam stava bene, e la signora Gummidge così così; e l’Emilietta non mi mandava i suoi saluti, ma aveva detto che Peggotty poteva mandarmeli, se le garbava.

Tutte queste comunicazioni partecipai debitamente a mia zia, tacendo soltanto dell’Emilietta, per la quale sentivo istintivamente ch’ella non avrebbe mostrata molta simpatia. Mentre ero ancora principiante nella scuola del dottor Strong, ella fece parecchie corse a Canterbury per vedermi, e sempre in ore intempestive: con lo scopo, immagino, di cogliermi di sorpresa. Ma, trovandomi occupato a studiare, e ben classificato, e sentendo dir da tutti che progredivo molto, subito interruppe le sue visite. Io andavo fino a Dover a trovarla 442

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una o due volte al mese, il sabato sera, e stavo con lei tutta la domenica; e il signor Dick veniva a trovarmi ogni quindici giorni, di mercoledì, arrivando a mezzodì con la diligenza, per rimanere fino alla mattina dopo.

In quelle occasioni, il signor Dick non viaggiava mai senza un grosso portafoglio di cuoio, che gli serviva da scrivania, e che conteneva una provvista di carta e il memoriale: a proposito del quale aveva l’idea che finalmente fosse necessario terminarlo, perché il tempo stringeva. Il signor Dick andava matto per il panpepato. A fargli più gradevoli quelle sue visite, mia zia m’aveva incaricato di aprirgli un credito da un pasticciere, con la condizione espressa di non servirgli mercé in quantità maggiore del valore d’uno scellino al giorno. Questo, e l’invio a mia zia di tutti i conticini dell’albergo ov’egli dormiva, prima che fossero pagati, mi fecero sospettare che gli fosse permesso soltanto di far tintinnare in tasca il denaro, ma non di spenderlo. Appresi dopo che era proprio così, o che almeno vigeva un accordo fra mia zia e lui, perché doveva giustificarle ogni spesa. Non avendo la minima idea d’ingannarla, e desiderando sempre di farle piacere, egli con quel mezzo era costretto ad esser cauto nell’impiego del denaro. Su questo punto, come su tutti gli altri possibili e immaginabili, il signor Dick era persuaso che mia zia fosse la più accorta e meravigliosa donna del mondo; come ripetutamente mi diceva con la massima segretezza, e sempre all’orecchio.

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– Trotwood – disse il signor Dick con un’aria di mistero, un mercoledì, dopo avermi fatta la stessa confidenza;

– chi è l’uomo che si nasconde nei pressi di casa nostra e che le mette paura?

– Che mette paura a mia zia, signor Dick?

Il signor Dick accennò di sì.

– Credevo che nulla l’avrebbe spaventata – egli disse –

perché essa è... – qui mi bisbigliò all’orecchio: – non lo dire... la più accorta e meravigliosa donna del mondo. –

Detto questo,si trasse indietro, per goder dell’effetto che le sue parole non avrebbero potuto mancare di produrre.

– La prima volta ch’egli venne – disse il signor Dick –

era... aspetta... milleseicentoquarantanove è la data dell’esecuzione di Carlo I. Mi pare che tu mi dicessi milleseicentoquarantanove?

– Sì, signore.

– Non so come possa darsi – disse il signor Dick, tristemente confuso e scotendo il capo. – Non mi pare d’essere tanto vecchio.

– Fu in quell’anno che apparve quell’uomo? – io chiesi.

– Veramente – disse il signor Dick – non capisco come possa essere stato in quell’anno, Trotwood. Quella data l’hai letta nella storia?

– Sì, signore.

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– Credo che la storia non dica mai bugie, no? – disse il signor Dick con un raggio di speranza.

– Oh, no – risposi con la massima fermezza.

Ero ingenuo e giovane, e così credevo.

– Non me ne so dar ragione – disse il signor Dick, scotendo il capo. – È stato commesso, chi sa come, un errore. Però la prima volta che si vide quell’uomo fu subito dopo che fu commesso lo sbaglio di mettere un po’ della confusione della testa di Carlo I nella mia. Dopo il tè passeggiavo con la signora Trotwood, ed era già buio, quand’eccoti quell’uomo vicino a casa.

– Andava a zonzo? – chiesi.

– A zonzo? – ripeté il signor Dick. – Aspetta. Debbo ricordarmene. N... no, no. Non andava a zonzo.

Domandai, come il mezzo più breve per saperlo, che cosa facesse.

– Ecco – disse il signor Dick – non c’era affatto, finché non sorse accanto a lei, a parlarle sottovoce. Allora lei si voltò, e svenne, ed io stetti a guardarlo, e vidi che se n’andava, ma che dovesse poi nascondersi d’allora (sotto o chi sa dove) è una cosa veramente strana.

– È rimasto nascosto d’allora? – chiesi.

– Ma certo! – ribatté il signor Dick, scotendo gravemente il capo. – Non era stato visto più fino a ieri sera! Ieri sera stavamo passeggiando, ed eccoti di nuovo quell’uo-445

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mo accanto a lei.

– E le mise di nuovo paura?

– Facendola rabbrividire tutto – disse il signor Dick, contraffacendo l’atto e mettendosi a battere i denti. – Si afferrò alla palizzata. Pianse. Ma, Trotwood, vieni qui –

mi trasse a lui, perché potesse sussurrarmi all’orecchio:

– perché poi, alla luce della luna, lei gli diede del denaro?

– Forse si trattava di un mendicante.

Are sens