David Copperfield
calcitrare proseguì mia zia. – Non ho bisogno di vedervi per sapere la verità.
Egli era rimasto accanto alla porta, nel frattempo, ad osservarla con un sorriso, ma con le sopracciglia nere fortemente aggrottate. Ma poi notai che, sebbene quel sorriso gli errasse ancora sul volto, il colorito delle guance gli s’era a un tratto dileguato, ed egli respirava come dopo una lunga corsa.
– Buon giorno, signore – disse mia zia – e addio! Buon giorno anche a voi, signorina – disse mia zia, volgendosi improvvisamente alla sorella. – Che vi vegga ancora in sella a un asino sul mio prato, e come è vero che avete una testa sulle spalle, vi strapperò il cappello, e ve lo pesterò ben bene!
Ci vorrebbe un pittore, e un pittore di merito, per dipingere il viso di mia zia, nell’atto ch’esprimeva questo proposito inatteso. Ma il tono del discorso era, come la sostanza; così aggressivo, che la signorina Murdstone, senza rispondere una sillaba, infilò prudentemente il braccio nel braccio del fratello, e uscì alteramente dal villino. Mia zia rimase alla finestra a guardarli, preparata, senza dubbio, nel caso d’una ricomparsa dell’asino, a metter la sua minaccia in immediata esecuzione.
Ma vedendo che la sfida non era stata accettata, il suo viso gradatamente si raddolcì, e apparve così piacente, che io fui spinto a baciare e ringraziare mia zia: cosa 381
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che feci con la maggiore effusione, e con ambo le mani strette intorno al suo collo. Strinsi poi la mano al signor Dick, che strinse la mia molte volte, e salutò la lieta conclusione di quel colloquio con molteplici scoppi di risa.
– Tu, Dick – disse mia zia – ti considererai, insieme con me, tutore di questo ragazzo.
– Sarò incantato – disse il signor Dick – d’esser tutore del figlio di Davide.
– Benissimo – rispose mia zia – questo è stabilito. Son stata a pensare, sai, Dick, che potrei chiamarlo Trotwood?
– Certo, certo. Chiamatelo Trotwood, certo – disse il signor Dick. – Trotwood del figlio di Davide.
– Trotwood Copperfield, vuoi dire – rispose mia zia.
– Sì, certo, sì... Trotwood Copperfield – disse il signor Dick, un po’ confuso.
A mia zia piacque tanto l’idea, che il vestito bell’e fatto che fu comprato per me nel pomeriggio, fu contrassegnato prima che lo indossassi, «Trotwood Copperfield»
di mano sua con inchiostro indelebile; e fu stabilito che tutti gli altri vestiti ordinati su misura in quel pomeriggio (si contrattò per un corredo completo) dovessero essere contrassegnati nello stesso modo.
Così cominciai la mia nuova vita, con un nome nuovo, e 382
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ogni cosa nuova intorno a me. Scomparso il mio senso d’incertezza, mi sentii, per molti giorni, come in un sogno. Non pensai mai che in mia zia e nel signor Dick avessi una coppia di tutori veramente originale. Non pensavo chiaramente a nulla che mi riguardasse. Le due cose più chiare nel mio spirito erano che l’antica vita di Blunderstone mi sembrava una cosa molto remota, perduta nella nebbia di una distanza incommensurabile; e che era caduta una cortina su quella che avevo condotta nel magazzino di Murdstone e Grinby. Nessuno ha mai più sollevato quella cortina. Io l’ho fatto, per un istante, in questa narrazione, con mano riluttante, e l’ho lasciata ricadere con gioia. Il ricordo di quella vita m’è così grave di sofferenze, pieno di tanta angoscia e così vuoto di speranze, che non ho mai avuto il coraggio di calcolarne la durata. Non so se si fosse prolungata un anno, o più, o meno. So soltanto che fu, e cessò, e che l’ho narrata per non tornarci mai più.
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XV.
UN ALTRO INIZIO
Il signor Dick e io diventammo subito i migliori amici del mondo. Spessissimo, quando egli aveva finito il suo lavoro quotidiano, uscivamo insieme a sciogliere a volo il gigantesco aquilone. Tutti i giorni egli si occupava lungamente al memoriale che non procedeva mai del minimo passo, per quanto lavorasse accanitamente, perché prima o poi ci si insinuava Carlo I e allora lo metteva da parte per incominciarne un altro. La pazienza e la speranza con cui sopportava quei continui disappunti, la sua malferma convinzione che Carlo I non ci dovesse entrare, i vaghi sforzi che faceva per allontanarnelo, e la persistenza con cui quegli si presentava, mandando a ca-tafascio l’intero memoriale, tutto questo mi faceva una grande impressione. Che cosa il signor Dick si proponesse di fare con quel memoriale, dopo che l’avesse finito, dove pensasse di condurlo, o a che cosa gli dovesse servire, non credo lo sapesse neppur lui. Ma non era necessario che egli stesse a pensare a simili inezie, perché se c’era una cosa certa sotto il sole, era questa: che il memoriale non sarebbe stato mai finito. Era uno spettacolo commovente, solevo pensare, veder il signor Dick 384
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con l’aquilone quando questo si sollevava a una grande altezza in aria. Ciò che mi aveva detto nella sua stanza, di credere, cioè, di diffondere le notizie che vi erano in-collate, coi vecchi fogli di tutti i suoi precedenti memo-riali lasciati a mezzo, aveva potuto, forse, qualche volta passargli per la mente in casa, ma non fuori, nell’atto di guardare l’aquilone in cielo e sentirsi tirare violentemente la corda in mano. Egli non sembrava mai più sereno d’allora. Solevo pensare, sedendogli accanto la sera, su un poggetto verde, e vedendolo seguir l’aquilone nell’aria calma, che questo gli liberasse lo spirito da ogni confusione (era una mia fantasticheria infantile), e lo portasse alto nei cieli. Mentr’egli arrotolava la corda, e l’aquilone, calando gradatamente, usciva dalla luce del tramonto per agitarsi sul terreno e giacervi come un uccello morto, sembrava ch’egli si svegliasse pian piano da un sonno. Ricordo di averlo veduto raccogliere l’aquilone e guardarsi intorno con aria così smarrita, quasi fossero caduti insieme, che io lo compiangevo con tutto il cuore. Mentre si faceva sempre più forte la mia amicizia, e più stretta la mia intimità col signor Dick, non rimanevo indietro nelle grazie della sua fedele amica, mia zia. Ella mi prese tanto a cuore che, nel termine di poche settimane, abbreviò il mio nome adottivo di Trotwood in quello di Trot, ed io fui, inoltre, incoraggiato a sperare che se le cose fossero continuate ad andare come erano incominciate, avrei potuto mettermi allo stesso livello, nel suo affetto, con mia sorella Betsey 385
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Trotwood.
– Trot – disse mia zia una sera, dopo che, secondo il solito, fra lei e il signor Dick era stato messo il giuoco della dama – non dobbiamo dimenticare la tua educazione.
Questa era l’unica causa della mia inquietudine, e fui incantato di quella allusione di mia zia.
– Ti piacerebbe di andare a scuola a Canterbury? – disse mia zia.
Risposi che mi sarebbe piaciuto moltissimo, anche perché così sarei rimasto vicino a lei.
– Bene – disse mia zia – ti piacerebbe di andarvi domani?
Oramai, non essendo più ignaro della rapidità di tutte le risoluzioni di mia zia, non fui sorpreso da una proposta così improvvisa, e dissi: «Sì».
– Bene – disse mia zia di nuovo. – Giannina, va’ a fissare il cavallino grigio e la vetturetta per domani alle dieci, e prepara questa sera le valige del signorino.