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Charles Dickens

David Copperfield

– Questo è mio nipote – disse mia zia.

– Non sapevo che aveste un nipote, signora Trotwood –

disse il signor Wickfield.

– Mio pronipote, cioè – corresse mia zia.

— Non sapevo che aveste un pronipote, vi assicuro –

disse il signor Wickfield.

— L’ho adottato – disse mia zia, facendo con la mano un gesto, come a dire che le importava poco ch’egli sapesse o no dell’esistenza di questo pronipote – e l’ho condotto qui, per metterlo in una scuola dove possa essere bene istruito e ben trattato. Ora mi dovete dire dov’è questa scuola, e qual è, e tutte le informazioni necessarie.

– Prima di potervi ben consigliare – disse il signor Wickfield – voi sapete la mia solita domanda. Qual è lo scopo che vi muove?

– Il diavolo vi porti! – esclamò mia zia. – Sempre intento a pescare gli scopi, quando sono a fior d’acqua! Ebbene, quello di far contento e utile il ragazzo.

– Allora è uno scopo misto – disse il signor Wickfield, scotendo il capo e abbozzando un sorriso incredulo.

– Miste le vostre frottole – rispose mia zia. – Voi preten-dete d’avere uno scopo chiaro e semplice in tutto ciò che fate. Ma non immaginate, spero, che voi siate l’unica persona al mondo che miri dritto innanzi a sé.

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– Certo, non ho che uno scopo al mondo, signora Trotwood – egli soggiunse con un sorriso. – Gli altri ne hanno a dozzine, a centinaia, a migliaia. Io ne ho uno solo.

Questa è la differenza. Ma questo non c’entra. Qual è la scuola migliore? Qualunque sia lo scopo, volete la migliore?

Mia zia accennò con la testa di sì.

– Nella migliore che abbiamo – disse il signor Wickfield, pensoso – vostro nipote non potrebbe essere ricevuto che come esterno.

– Ma nel frattempo potrebbe stare a pensione in qualche altra parte, credo? – suggerì mia zia.

Il signor Wickfield credeva di sì. Dopo un po’ di discussione, offrì a mia zia di condurla a visitare la scuola, perché potesse vederla e giudicare da sé; e poi, di condurla, con lo stesso scopo, in due o tre case dove egli credeva io potessi stare a pensione. La proposta piacque a mia zia, e stavamo uscendo tutti e tre, quando egli si fermò per dire:

– Il nostro piccolo amico qui presente potrebbe, forse, avere qualche scopo per non accompagnarci. Non sarebbe meglio lasciarlo qui?

Mia zia pareva inclinata a contestar la cosa; ma per facilitare l’escursione, dissi che, se avessero così voluto, li avrei aspettati lì volentieri; e ritornai nello studio del signor Wickfield, dove, in attesa, mi sedetti nella sedia già 393

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dianzi occupata.

La sedia era messa di fronte a un corridoio vicino, che finiva, nella stanzina circolare, dalla cui finestra avevo visto apparire la pallida faccia di Uriah Heep. Uriah, dopo aver condotto il cavallino in una stalla vicina, s’era messo al lavoro in quella stanza, a uno scrittoio a piano inclinato che terminava al di sopra con una intelaiatura d’ottone alla quale s’appoggiavano le carte, e alla quale era appoggiato il manoscritto di cui egli allora faceva la copia. Benché il suo viso fosse voltato dalla mia parte, per qualche tempo credetti che, per l’interposizione del manoscritto, egli non potesse vedermi; ma, guardando con più attenzione, m’accorsi, con un certo fastidio, che, di tanto in tanto, i suoi occhi insonni sbucavano di sotto il manoscritto come due soli rossi, e furtivamente mi fis-savano ogni volta per la durata di un minuto, mentre la penna andava, o fingeva d’andare, più rapidamente che mai. Tentai parecchie volte di sottrarmi a quegli sguardi, sia col salire su una sedia a studiare una carta geografica all’altro lato della stanza; sia con l’immergermi nelle colonne d’un giornale della contea di Kent; ma quegli occhi mi attiravano di nuovo; e ogni volta che davo un’occhiata a quei due soli rossi, ero sicuro di vederli spuntare o tramontare subito.

Finalmente, con mio sollievo, dopo un’assenza piuttosto lunga, vidi mia zia e il signor Wickfield di ritorno. Il risultato delle loro ricerche, al contrario delle mie speran-394

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ze, non era stato soddisfacente; poiché mia zia, sebbene non avesse nulla da ridire sui vantaggi della scuola, non aveva trovato convenienti le pensioni visitate.

– È una disdetta – disse mia zia. – Non so che fare, Trot.

– È un caso sfortunato – disse il signor Wickfield. – Ma vi dirò ciò che dovete fare, signora Trotwood.

– Che cosa? – disse mia zia.

– Per ora, lasciate qui vostro nipote. È un ragazzo quieto, e non mi darà alcun disturbo. E la mia è una casa perfettamente adatta allo studio. Tranquilla come un monastero; e quasi spaziosa quanto un monastero. La-sciatelo qui.

A mia zia evidentemente non dispiaceva la proposta, benché ella si facesse uno scrupolo di accettarla. Come anche a me.

– Su, signora Trotwood – disse il signor Wickfield. –

Questo è il mezzo di superare le difficoltà. È un acco-modamento transitorio. Se non funziona bene, o non s’accorda con la nostra convenienza reciproca, si lascia subito andare. Frattanto ci sarà sempre tempo di trovare al ragazzo un posto migliore. Per ora, il meglio è di decidere di lasciarlo qui.

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