– Lettura difficile, immagino – dissi.
– Per me a volte è difficile – rispose Uriah. – Ma non per una persona d’ingegno, credo.
Dopo aver stamburellato, camminando, col medio e l’indice della destra, un’arietta sul mento, aggiunse:
– Vi sono delle espressioni, sapete, signorino Copperfield... parole e denominazioni latine... nel Tidd, che sono difficilissime per un lettore della mia modesta intelligenza.
– Vi piacerebbe d’apprendere il latino? – dissi vivamente. – Ve lo insegnerò con piacere, mentre lo imparo io.
– Oh, grazie, signorino Copperfield – rispose, scotendo il capo. – Certo è un tratto di gran bontà, da parte vostra, farmi una simile offerta; ma la mia umiltà m’impedisce d’accettarla.
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– Sciocchezze, Uriah!
– Oh, veramente mi dovete scusare, signorino Copperfield. Ve ne sono sinceramente grato. Sarebbe un gran piacere per me, vi assicuro, accettare; ma io sono troppo modesto per tanto. V’è abbastanza gente disposta a cal-pestarmi per la mia condizione d’umiltà, perché io voglia aumentarla con l’irritare i sentimenti di chi è istruito. La dottrina non è cosa per me. Una persona della mia condizione fa bene a non aspirarvi. Se egli deve far la sua strada nel mondo, deve farla modestamente, signorino Copperfield.
Non lo avevo visto mai con la bocca così larga, o con grinze così profonde nelle guance, come nell’atto di manifestare quei suoi sentimenti, e di scuotere il capo, e di contorcersi modestamente.
– Credo che abbiate torto, Uriah – dissi. – Oso dire che vi sono parecchie cose che io potrei insegnarvi, se voleste impararle.
– Oh, non ne dubito, signorino Copperfield – egli rispose; – neppur per ombra. Ma siccome non siete in una condizione modesta voi, non giudicate forse bene quelli che vi si trovano. Non voglio irritare quelli che son migliori di me istruendomi. Grazie. Io son troppo modesto. Ecco la mia modesta abitazione, signorino Copperfield.
Dalla via entrammo direttamente in una stanza bas-453
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sa, arredata all’antica. Vi trovammo la signora Heep, che era un po’ più piccola, ma la perfetta immagine del figlio. Ella mi ricevette con la massima umiltà, e si scu-sò con me perché dava un bacio al figlio, osservando, che modesti come essi erano, coltivavano i loro legitti-mi affetti con la persuasione di non offendere nessuno.
La stanzia era perfettamente decorosa, metà salotto e metà cucina, ma per nulla affatto bella. Le tazze per il tè erano pronte sulla tavola, e la teiera bolliva sul focolare. C’era un canterano col piano a scrivania, perché Uriah la sera potesse leggere o scrivere; e sopra la car-tella azzurra d’Uriah piena di carte, c’era una schiera di libri d’Uriah capitanata dal signor Tidd; una credenza nell’angolo; e i mobili soliti. Non ricordo che alcun oggetto, singolarmente considerato, avesse un aspetto di stento, di disagio e di privazione; ma l’aveva la stanza, giudicata in complesso.
Forse, l’uso delle gramaglie faceva parte dell’umiltà della signora Heep. Nonostante il gran tempo trascorso dal decesso del signor Heep, ella portava ancora il lutto.
Credo che vi fosse qualche lieve derogazione nel cappellino; ma il resto era precisamente funereo come nei primi giorni della morte del marito.
– Questo certo è un giorno da ricordarsi, caro Uriah –
disse la signora Heep facendo il tè: – il giorno che il signorino Copperfield ci fa una visita.
– Già sapevo che avresti detto così, mamma – disse 454
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Uriah.
– Se per qualche ragione avessi potuto augurare a tuo padre d’essere ancora al mondo, sarebbe stato per far godere stasera anche lui di questa bella compagnia.
Mi sentivo confuso di tutti questi complimenti; ma comprendevo anche di esser onorato come un ospite di gran conto, e giudicai la signora Heep una degnissima donna.
– Il mio Uriah – disse la signora Heep – ha sperato tanto questo onore. Ma temeva chela nostra umiltà glielo ostacolasse. Anch’io temevo lo stesso. Noi siamo modesti, siamo stati modesti; e saremo modesti – disse la signora Heep.
– Non c’è ragione d’esserlo, signora – dissi – salvo che non sia per vostro piacere.
– Grazie, signore – rispose la signora Heep – noi conosciamo il nostro posto, e ne siamo contenti.
La signora Heep gradatamente mi s’avvicinò, e Uriah gradatamente mi si sedette dirimpetto, ed entrambi m’assediarono rispettosamente coi più scelti fra i cibi disposti sulla mensa. Certo, non v’era nulla di particolarmente scelto; ma valutai l’intenzione, e fui loro grato di quelle attenzioni. Presto cominciammo a parlar di zie, e io parlai loro della mia; e la signora Heep cominciò a parlar di padrigni, e io incominciai a parlar del mio; ma mi fermai, perché mia zia mi aveva avvertito di tacere su simile soggetto. Un piccolo e tenero turacciolo avreb-455
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be avuto molto più probabilità di resistere contro un paio di cavaturaccioli, o un tenero dente da latte contro due dentisti, o un piccolo volante contro due racchette, di quante ne avessi io contro Uriah e la signora Heep.
Essi facevano di me ciò che volevano; e con una sicurezza, di cui arrossisco ancora, mi cavavan di corpo cose che non avevo alcun desiderio di dire. Ne arrossisco anche perché, nella mia giovanile sincerità, mi facevo un merito di quelle confidenze, e mi consideravo quasi patrono e protettore di quei miei due ospiti rispettosi.
Certo essi si volevano molto bene. Questa loro armonia naturale produceva un grande effetto su di me; ma l’abilità con la quale l’uno seguiva l’indicazione dell’altro, era un tratto d’arte al quale io non sapevo resistere. Quando non vi fu nulla più da mungere di ciò che mi riguardava personalmente (perché sulla vita condotta da Murdstone e Grinby, e sul mio viaggio, ero rimasto muto come un pesce), cominciarono a parlare del signor Wickfield e di Agnese. Uriah gettava la palla alla signora Heep, la signora Heep l’acchiappava e la rigettava a Uriah, e così continuarono a rimandarse-la, finché non seppi più determinare chi dei due l’avesse, e me ne stetti assolutamente intontito. Anche la palla mutava continuamente. Ora era il signor Wickfield, ora Agnese, ora la bontà del signor Wickfield, ora la mia ammirazione per Agnese, ora la nostra vita domestica, dopo il desinare; ora il vino che beveva il signor 456
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