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Wickfield, la ragione perché lo beveva, e la disgrazia che ne bevesse tanto; ora una cosa, ora l’altra, e poi tutte insieme; e in tutto il tempo, senza aver l’aria di parlar molto, o di far null’altro che incoraggiarli di tanto in tanto, per tema ch’essi si sentissero sopraffatti dalla loro umiltà e dall’amore della mia compagnia, mi sorprendevo continuamente a dir cose che non avevo necessità di confidare a nessuno, e ad assistere all’effetto delle mie parole sulle sottili narici di Uriah che ammiccava continuamente.

Cominciavo a sentirmi un po’ a disagio, e a desiderare d’esser lontano di lì, quando una persona che andava giù nella via si trovò a passare accanto alla porta – la porta era aperta, ché faceva troppo caldo per quella stagione –

tornò indietro, guardò risolutamente nell’interno, entrò, ed esclamò a voce alta: «Copperfield! È mai possibile?».

Era il signor Micawber! Era il signor Micawber, col suo occhialetto, e la mazza, e il solino, e la sua aria di nobiltà, e nella voce il suo solito accento di condiscendenza, il signor Micawber intero e completo.

– Mio caro Copperfield – disse il signor Micawber, tendendomi la mano – questo è davvero un incontro destinato a imprimer nello spirito il senso dell’instabilità e dell’incertezza di tutto ciò che è umano... insomma, è un incontro straordinario. Andando per la via a passeggio, riflettendo sulla probabilità d’incontrar qualche cosa (e 457

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in questi momenti ne ho grande fiducia), incontro un giovane, ma prezioso, congiunto al periodo più fecondo di eventi nella mia esistenza; al periodo critico, direi, della mia esistenza, Copperfield, mio caro amico, come stai?

Non posso dire – no, non posso in verità dire – che fossi lieto di riveder lì il signor Micawber; ma dopo tutto, fui lieto di salutarlo e di stringergli cordialmente la mano, domandandogli notizie della salute della signora Micawber.

– Grazie – disse il signor Micawber, con un gesto della mano come per il passato, e imprimendo un giro al mento nel solino. – Essa è tollerabilmente convalescente. I gemelli non derivano più il loro sostentamento dalle fonti della Natura... insomma – disse il signor Micawber, in uno dei suoi slanci confidenziali – sono divezza-ti... e la signora Micawber è, ora, mia compagna di viaggio. Ella sarà lieta, Copperfield, di stringer di nuovo la mano a chi s’è dimostrato, sotto ogni rispetto, un degno ministro del sacro altare dell’amicizia.

Io dissi che sarei stato felicissimo di rivederla.

– Tu sei molto buono – disse il signor Micawber.

Il signor Micawber allora sorrise, diede un altro giro al mento, e si guardò intorno.

– Ho scoperto il mio amico Copperfield – disse il signor Micawber nobilmente, e senza rivolgersi a nessuno in 458

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particolare – non in solitudine, ma partecipe d’un pasto amichevole in compagnia di una signora e di un giovane che mi sembra suo rampollo... insomma – disse il signor Micawber, con un altro slancio confidenziale – suo figlio. Mi terrò onorato di fare la loro conoscenza.

Non potevo far altro, in quelle circostanze, che presentare il signor Micawber a Uriah e a sua madre. Siccome questi mostrarono un contegno della massima umiltà, il signor Micawber si prese una sedia, e fece un gesto della mano nella maniera più cortese.

– Qualunque amico del mio Copperfield – disse il signor Micawber – ha un diritto personale su di me.

– Noi siamo troppo modesti, signore – disse la signora Heep – per esser amici del signorino Copperfield.

Egli è stato così buono da accondiscendere a prendere il tè con noi, e noi gli siamo grati per la sua compagnia; e anche a voi, signore, per la vostra gentilezza.

– Signora – rispose il signor Micawber, con un inchino – voi siete molto buona. E che fai ora, Copperfield? Sei sempre nel commercio dei vini?

Io ardevo dal desiderio di condur via il signor Micawber; e risposi, col cappello in mano e certo, col viso pieno di rossore, che ero studente alla scuola del dottor Strong.

– Studente? – disse il signor Micawber, inarcando le sopracciglia. – Sono straordinariamente felice d’appren-459

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derlo. Benché uno spirito come quello del mio amico Copperfield – a Uriah e alla signora Heep – non richieda quella coltura che, senza la sua conoscenza degli uomini e delle cose richiederebbe, pur nondimeno è un suolo ricco e fecondo di vegetazione nascosta... insomma –

disse il signor Micawber, sorridendo, con un altro trasporto confidenziale – è un intelletto capace di farsi una cultura classica del più alto grado.

Uriah, avviticchiandosi le lunghe mani l’una sull’altra, fece una spettrale contorsione dalla cintura in su, per manifestare il suo concorso in questo giudizio.

– Vogliamo andare a trovare la signora Micawber, signor Micawber? – dissi per strapparlo di lì.

– Se vuoi favorirmi, Copperfield – rispose il signor Micawber, levandosi. – Non mi perito di confessare, in presenza di questi nostri amici, che io sono una persona che ha, per molti anni, lottato contro l’urgenza di necessità pecuniarie d’ogni sorta. – Ero certo che egli avrebbe detto qualche cosa di questo genere; si vantava sempre delle sue difficoltà pecuniarie. – A volte son stato superiore alle mie difficoltà. A volte le mie difficoltà m’hanno... insomma, m’hanno atterrato. Vi sono state delle volte in cui le ho fatte barcollare con una serie di sca-paccioni; vi son state delle volte che son state troppe per una persona sola, e ho dovuto cedere, e dire alla signora Micawber, con le parole di Catone: «Platone, tu ragioni bene, tutto è finito, io non posso dar più battaglia». Ma 460

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in nessun momento della mia vita – disse il signor Micawber – ho provato un maggior grado di soddisfazione di quando confidavo i miei affanni (se così posso chiamare le mie difficoltà, derivanti principalmente da citazioni d’uscieri e da cambiali a due o quattro mesi) nel seno del mio amico Copperfield.

Il signor Micawber concluse questa bella tirata col dire:

– Signor Heep, buona sera. Signora Heep, vostro servo

– e poi con l’uscire con me nel più elegante atteggiamento, facendo con le scarpe un gran rumore sul lastrico e canticchiando un’arietta fra i denti.

Il signor Micawber s’era allogato in un alberghetto, e occupava una cameretta attigua alla sala comune, e fortemente impregnata di fumo di tabacco. Credo che fosse al di sopra della cucina, perché un odor tepido di grasso saliva dalle fessure del pavimento, e stillava una specie di sudor vaporoso sulle pareti. Era inoltre attigua al banco di assaggio, e vi arrivava il sentor dei liquori e il tintinnìo dei bicchieri. Ivi, sdraiata su un piccolo divano, sotto un quadro rappresentante una corsa di cavalli, la testa accanto al fuoco e i piedi in contatto del vaso di mostarda su una credenzina della parete opposta, stava la signora Micawber, alla quale per prima cosa si volse il signor Micawber, dicendo: «Mia cara, permetti che ti presenti un allievo del dottor Strong».

Osservai, a proposito, che benché il signor Micaw-461

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