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– No.

– È arrivato stamane, con una lettera di mia madre.

I nostri sguardi s’incontrarono, e m’avvidi che egli era pallido fin sulle labbra, benché mi guardasse con calma e fermezza. Temei che qualche dissapore fra lui e la madre fosse la cagione di quell’accesso di cattivo umore nel quale lo avevo sorpreso solitario accanto al fuoco. E

glielo dissi.

– Oh, no! – rispose, scotendo il capo, e con una risatina.

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– Niente di tutto questo. Ti dicevo, dunque, che è arrivato il mio domestico.

– Lo stesso come sempre – disse Steerforth. – Remoto e cheto come il Polo Nord. Egli si occuperà del nuovo nome da dipingere sul battello. Si chiama il Gabbiano della Tempesta. Ti pare che Peggotty si curi molto dei gabbiani? Gli cambierò il nome.

– E come lo chiamerai?

– Emilia.

Siccome continuava a guardarmi fermo e tranquillo, mi parve d’indovinare che egli volesse rammentarmi che non gli piaceva ch’io mi effondessi sulla sua generosità.

Ma non potei fare a meno di mostrar nel viso il piacere che ne provavo; dissi poco però, ed egli ripigliò il suo solito sorriso, e parve come alleggerito da un grave fardello.

– Ma vedi – disse, guardando innanzi – ecco qui l’Emilietta vera. E Cam con lei. Veramente è un cavaliere fedele. Non la lascia mai.

Cam era allora costruttore di barche: aveva un’inclinazione naturale a quel mestiere, ed era diventato un ope-raio molto abile. Portava il vestito da lavoro, ma, così visibilmente rude, sembrava il più adatto protettore della fiorente personcina al suo fianco. Veramente, v’era nel suo viso una lealtà, un’onestà e un così visibile orgoglio di lei, e tanto amore per lei, che non occorreva altro per 577

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renderlo simpatico a primo aspetto. Pensavo, mentre ci venivano incontro, che erano bene appaiati sotto tutti i rapporti.

Quando noi ci fermammo per salutarli, ella ritrasse timidamente la mano dal braccio di lui, e arrossì porgendola a Steerforth e a me. Lasciatili, dopo esserci scambiate poche parole, ella non rimise la mano nel braccio che aveva lasciato, ma, timida ancora e impacciata, andò innanzi sola. Mi parve che tutto questo fosse molto grazioso e attraente, e lo stesso parve a Steerforth, nell’atto che s’allontanavano al debole chiarore della luna.

Ad un tratto ci passò accanto – evidentemente li seguiva

– una giovane donna che non avevamo vista arrivare. La guardai in faccia, mentre passava, e mi parve mi ride-stasse un vago ricordo. Era leggermente vestita, appariva piena di baldanza e di selvatichezza e di miseria; ma in quel momento, andando innanzi nel vento, sembrava non avesse altro scopo che di raggiungerli. Siccome l’oscuro orizzonte lontano, avvolgendo le persone nella sua ombra, non lasciava che sé stesso visibile fra noi e il mare e le nuvole, la giovane scomparve come erano scomparsi l’Emilia e Cam, ma senza seguirli più da presso di prima.

– È un’ombra nera che insegue l’Emilia – disse Steerforth, fermandosi a un tratto. – Che cosa significa?

Parlava in tono basso, che mi pareva quasi strano.

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– Chi sa, forse vorrà chieder loro l’elemosina – io dissi.

– Una mendicante non vorrebbe dir nulla di strano – disse Steerforth – ma è strano che stasera dovesse assumere quella forma.

– Perché? – gli chiesi.

– Per niente, ma perché pensavo veramente – egli disse dopo un istante di silenzio – a qualche cosa di quel genere, quando l’ho vista apparire. Mi domando donde diamine sia potuta sbucare.

– Dall’ombra di questo muro, credo – dissi uscendo su una strada, che aveva da un lato un muro a picco.

– Finalmente è scomparsa – rispose, guardando di lato.

– E che il diavolo se la porti! Andiamo a desinare.

Ma guardò ancora una volta di lato, verso la linea del mare che tremolava lontano; e poi un’altra volta. E continuò a brontolare fra sé per il resto della strada; e solo quando ci sedemmo a tavola, tra il chiarore del fuoco e il lume delle candele, parve non ci pensasse più.

C’era Littimer che produsse su me il suo effetto solito. Quando gli dissi che m’auguravo che la signora Steerforth e la signorina Dartle stessero in buona salute, egli rispose rispettosamente (e quindi rispettabilmente) che stavano piuttosto bene, e mi mandavano i loro saluti. Questo fu tutto; e parve che mi dicesse invece, nella forma più evidente: «Voi siete molto giovane, signore; 579

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giovanissimo, anzi».

Avevamo quasi finito di desinare, quando Littimer, facendo un passo o due verso la tavola, dall’angolo donde ci sorvegliava, o piuttosto, com’era la mia impressione, donde mi sorvegliava, disse al padrone:

– Vi domando scusa, signore, la signorina Mowcher è qui.

– Chi? – esclamò Steerforth, meravigliato.

– La signorina Mowcher, signore.

– Ma via, dunque, che cosa viene a far qui? – disse Steerforth.

– Sembra, signore, ch’ella sia di queste parti. M’ha detto che viene qui ogni anno, girando per la sua professione.

L’ho incontrata oggi per via, e mi chiese se poteva aver l’onore di presentarsi a voi dopo il desinare.

– Conosci la gigantessa di cui si parla, Margheritina? –

chiese Steerforth.

Fui costretto a confessare – e mi vergognavo di essere colto in fallo innanzi a Littimer – che non conoscevo affatto la signorina Mowcher.

– Allora la conoscerai – disse Steerforth – perché è una delle sette meraviglie del mondo. Quando viene la signorina Mowcher, falla entrare.

Are sens