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La maggiore delle signorine Larkins conosce gli ufficiali: cosa terribile a sopportare. Li veggo per via parlar con lei. Li veggo traversar la via per incontrarla, quando il suo cappellino (ha un vero gusto per i cappelli) si vede spuntare di lontano, accompagnato dal cappellino di sua sorella. Ella ride e parla, radiosa. Molte delle mie ore di riposo le passo in istrada andando su e giù per incontrarla. Se in tutta la giornata posso farle una volta un inchino (ho il dovere di salutarla, conoscendo il signor Larkins), sono felice. Di tanto in tanto ho la grazia d’un saluto. La rabbiosa disperazione che soffro la sera del ballo delle Corse, dove so che la maggiore delle signorine Larkins andrà a ballare con gli ufficiali della guarni-gione, dovrebbe avere qualche compenso, se al mondo vi fosse una giustizia dalle mani eque.

La passione mi toglie l’appetito, e mi fa portare di continuo la nuovissima cravatta di seta. Non trovo requie che nell’indossare i miei migliori abiti, e nel farmi lucidare parecchie volte al giorno le scarpe. Mi pare, allora, d’esser più degno della maggiore delle signorine Larkins.

Tutto ciò che appartiene a lei, o si riferisce a lei, per me è prezioso. Il signor Larkins (un vecchio arcigno con un doppio mento e sotto la fronte un occhio immobile) è 478

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per me carico d’interesse. Quando non posso incontrare sua figlia, vado dove probabilmente incontrerò lui. A dire: «Come state, signor Larkins? Le signorine e tutta la famiglia stanno bene?» mi par così gravido di senso che arrossisco.

Penso all’età che ho. Dico che non ho ancora diciassette anni e che diciassette anni forse son pochi per la maggiore delle signorine Larkins; ma che importa? E

poi, fra breve ne avrò ventuno. Vado regolarmente la sera a passeggiare innanzi alla casa del signor Larkins, benché con lo strazio in cuore, per vedervi entrare gli ufficiali, o per sentirli chiacchierar su nel salotto, dove la maggiore delle signorine Larkins suona l’arpa. Due o tre volte anche m’aggiro melanconico e miserabile intorno a quella casa, dopo che tutta la famiglia è andata a letto, domandandomi qual sia mai la camera della maggiore delle signorina Larkins. Mi figuro quale sia la camera della signorina Larkins (e scambiandola, ora lo posso dire, con quella del signor Larkins) e augurandomi che scoppi un incendio, che la folla raccolta urli atterrita, e che io, aprendomi a precipizio il varco con una scala, possa appoggiarla contro la sua finestra, salvarla nelle mie braccia, risalir a cercar qualche cosa da lei dimenticata, e perire nelle fiamme. Perché io generalmente son disinteressato nel mio amore, e credo che sarei contento di segnalarmi al cospetto della signorina Larkins, e spirare. Generalmente, ma non sempre. Talvolta più fulgide visioni mi si levano innanzi. Quando mi ve-479

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sto (l’occupazione di due ore) per un gran ballo dato in casa Larkins (che ho aspettato da tre settimane), abbandono la mia fantasia a piacevoli immagini. Mi figuro d’esser tanto coraggioso da fare una dichiarazione alla signorina Larkins. Mi figuro che la signorina Larkins m’abbandoni la testa sulla spalla e dica: «Oh, signor Copperfield, posso credere alle mie orecchie?». Mi figuro il signor Larkins che mi aspetta il giorno dopo, e dice: «Mio caro Copperfield, mia figlia m’ha detto tutto.

La giovinezza non è un impedimento. Ecco dodicimila sterline. Siate felici!». Mi figuro mia zia che si inteneri-sce, e ci benedice; e il signor Dick e il dottor Strong sono presenti alla cerimonia del matrimonio. Credo d’essere una persona di buon senso – credo, guardando al passato, intendo – e certo modesta e pure tutto questo si svolge nel modo che ho detto!

Arrivo alla casa incantata, piena di lumi, di chiacchiere, di musica, di fiori, di ufficiali (mi rattristo vedendoli), e della maggiore delle signorine Larkins, che è uno splendore di bellezza. Ella è in azzurro, con fiori azzurri nei capelli – nontiscordardimé, come se ci fosse la minima necessità di portare dei nontiscordardimé!

È la prima serata di adulti alla quale io sia stato invitato; e mi sento un po’ a disagio; sembra ch’io non apparten-ga a nessuno, e nessuno sembra ch’abbia nulla da fare con me, eccetto il signor Larkins, che mi chiede notizie della salute dei miei compagni di scuola, cosa che non 480

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dovrebbe fare, perché non sono andato lì per essere in-sultato.

Ma dopo che sono stato per qualche tempo presso la porta a pascer gli occhi della dea del cuor mio, ella mi si avvicina – lei, la maggiore delle signorine Larkins! – e mi chiede, dolcemente, se ballo.

Balbetto con un inchino:

– Con voi, signorina Larkins.

– Con nessun’altra? – chiede la signorina Larkins.

– Io non avrei alcun piacere a ballare con un’altra.

La signorina Larkins ride e arrossisce (o credo che ar-rossisca), e dice:

– Non per questo giro, ma per l’altro, sarò lietissima.

Il tempo arriva.

– È un valzer, credo – osserva dubbiosa la signorina Larkins, quando io mi presento. – Ballate il valzer? Se no, il capitano Bailey...

Ma io ballo il valzer (piuttosto bene, anche, a quanto sembra), e ottengo la signorina Larkins. La tolgo con austerità dal fianco del capitano Bailey, che ne rimane intimamente angosciato, non ne ho il minimo dubbio.

Ma che importa? Anch’io ho sofferto moltissimo. Io ballo il valzer con la maggiore delle signorine Larkins.

Non so dove, fra chi, o per quanto tempo. So soltanto 481

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che nuoto nello spazio, con un angelo azzurro, in uno stato di beata ebbrezza, finché mi trovo solo con lei in una salettina, a riposare su un divano. Ella ammira il fiore (la rosea camelia del Giappone, pagata mezza corona), che porto all’occhiello. Gliela dò, e dico:

– La cedo a carissimo prezzo, signorina Larkins!

– Veramente! E che volete? – risponde la signorina Larkins.

– Uno dei vostri fiori, per custodirlo come un avaro il suo tesoro.

– Voi siete un ragazzo audace – dice la signorina Larkins. – Ecco.

Ella me lo dà con piacere; e io me lo porto alle labbra, e poi sul seno. La signorina Larkins, ridendo, infila la mano nel mio braccio e dice:

– Ora riconducetemi dal capitano Bailey. Sono smarrito nel ricordo di questo delizioso colloquio, e del valzer, quando ella torna di nuovo da me, a braccetto di un signore alla buona, abbastanza attempato, e dice:

– Oh, ecco il piccolo temerario! Il signor Chestle vuole conoscervi, signor Copperfield.

Comprendo subito ch’egli è un amico della famiglia, e sono assai lusingato.

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