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– Spero d’esser degno di voi, zia. Questo mi basterà.

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– È una fortuna che quella povera cara piccina di tua madre non sia viva – disse mia zia, con uno sguardo di approvazione; – se no, a quest’ora, sarebbe così orgogliosa di suo figlio, che la testolina le girerebbe completamente, se gliene fosse rimasto ancora un tantino da far girare. (Mia zia si scusava sempre della propria debolezza per me, con l’addossarla così alla mia povera madre).

– Dio ti benedica, Trotwood, come me la rammenti perfettamente!

– Piacevolmente, spero, zia.

– È lei precisa, Dick – disse mia zia, con forza – precisamente come era lei in quel pomeriggio, prima di cominciare a soffrire. Cielo! È lei precisa, come un occhio somiglia all’altro.

– Davvero? – disse il signor Dick.

– E preciso Davide anche – disse mia zia risolutamente.

– Davide preciso – disse il signor Dick.

– Ma ciò che voglio che tu sia, Trot – ripigliò mia zia –

non intendo fisicamente, ma moralmente; fisicamente sei bene in gambe... che tu sia un uomo fermo. Un bell’uomo fermo, con una volontà tua. Risoluto – disse mia zia, scotendo il capo e stringendo il pugno – determinato. Con carattere, Trot. Con una forza di carattere che non si lasci scuotere, tranne che dalle buone ragioni, da nulla e da nessuno. Ecco ciò che voglio che tu sia. Questo è ciò che tuo padre e tua madre avrebbero dovuto es-488

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sere, lo sa il Cielo, e sarebbe stato meglio per loro!

Io espressi la speranza di diventare ciò ch’ella desiderava.

– E perché tu possa cominciare, in qualche modo, a fidare su te stesso, e a contare su te stesso – disse mia zia

– ti manderò solo a fare un viaggetto. Avevo pensato già di farti accompagnare da Dick; ma pensandoci meglio, è bene che egli rimanga a custodire me.

Il signor Dick parve, per un istante, deluso; ma l’idea dell’onore e della dignità conferitigli, con la custodia della donna più meravigliosa del mondo, gli fece tornare il viso radioso.

– E poi – disse mia zia – c’è il memoriale. – Ah, certo! –

disse il signor Dick in fretta.

– Ho intenzione, Trotwood, di finirlo subito... veramente deve esser finito subito! E poi lo presenterò, sai... e poi... – disse il signor Dick, frenandosi e fermandosi a lungo – vi sarà un gran bel tegame di pesce.

In conseguenza del bel progetto di mia zia, poco dopo fui provveduto d’una bella somma di denaro, d’una valigia, e teneramente congedato per la mia spedizione. Al momento della separazione, mia zia mi diede qualche consiglio, e molti baci affettuosi; dicendomi che, siccome il suo scopo era di farmi osservare e riflettere un poco, mi raccomandava di fermarmi, se lo desideravo, un po’ di giorni a Londra, o recandomi nel Suffolk o tor-489

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nandone. In una parola, ero libero di fare ciò che volevo, per tre o quattro settimane; e non altra condizione era imposta alla mia libertà che l’anzidetto osservare e riflettere un poco, e l’obbligo di scriverle tre volte la settimana, narrandole fedelmente tutto.

Andai prima a Canterbury, per congedarmi da Agnese e dal signor Wickfield (nella loro casa non avevo abbandonato ancora la mia vecchia stanza), e anche dal buon dottore. Agnese fu molto lieta di rivedermi, e mi disse che da quando me n’ero andato, la casa non si ricono-sceva più.

– Neppure io son più quello, quando son lontano – io dissi. – Sembra che mi manchi la destra, quando non vi veggo. Non è dir molto, perché non c’è testa né cuore nella destra. Chiunque vi conosce, consulta voi, ed è guidato da voi, Agnese.

– Chiunque mi conosce, mi vizia, io credo – ella rispose con un sorriso.

– No, perché voi siete come nessun’altra. Voi siete così buona, e di carattere così dolce. Voi avete un’indole così nobile, e avete sempre ragione.

– Parlate – disse Agnese, scoppiando in una bella risata, mentre lavorava – come se io fossi l’ex-signorina Larkins.

– Via! non sta bene abusare delle mie confidenze – risposi, arrossendo al ricordo della mia azzurra incantatri-490

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ce. – Ma io confiderò sempre in voi, precisamente come prima, Agnese. Non posso perderne l’abitudine. Tutte le volte che avrò qualche affanno o, che m’innamorerò, ve lo dirò sempre, se voi me lo permettete... anche quando m’innamorerò sul serio.

– Come? vi siete sempre innamorato sul serio! disse Agnese, sempre ridendo.

– Oh, mi son sempre innamorato come un ragazzo, uno studente – dissi, ridendo a mia volta, ma non senza un po’ di confusione. – I tempi sono cambiati ora, e immagino che un giorno o l’altro m’innamorerò in modo terribilmente serio. La mia meraviglia, Agnese, si è che a quest’ora anche voi non siate nella stessa condizione.

Agnese rise di nuovo, e scosse il capo.

– Oh, io so che non ci siete! – dissi – perché se ci foste, me lo avreste detto. O almeno – poiché le vidi un tenue rossore nel volto – me lo avreste lasciato indovinare. Ma non c’è nessuno che io conosca, che meriti di amarvi, Agnese. Deve presentarsi qualcuno di carattere più nobile e d’una dignità maggiore di quanti ne ho visti qui, perché io vi dia il mio consenso. In avvenire terrò d’occhio tutti i vostri ammiratori; e, v’assicuro, che sarò esi-gentissimo con quello che sarà prescelto.

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