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Salvatore mi aveva tradito.

Aveva ragione mamma quando diceva che gli Scardaccione si credevano chissà chi solo perché avevano i soldi. E diceva che anche se affogavi quelli nemmeno ti guardavano in faccia. E io mi ero immaginato un sacco di volte le due sorelle Scardaccione sul bordo delle sabbie mobili che cucivano a macchina e io che affondavo e allungavo la mano e chiedevo aiuto e quelle mi lanciavano le caramelle con il miele e dicevano che non potevano alzarsi per colpa delle gambe gonfie. Ma con Salvatore eravamo amici.

Mi ero sbagliato.

Avevo una voglia tremenda di piangere, ma mi sono giurato che se una so-la lacrima mi usciva dagli occhi, avrei preso la pistola del vecchio e mi sarei sparato. Ho tirato fuori dai pantaloncini la scatola del Lanerossi Vicenza. Era tutta molla di pipì.

L'ho poggiata sul sedile.

Felice ha urlato: "Basta, ferma! Non ce la faccio più.

Salvatore ha frenato di colpo, il motore si è spento, la macchina si è inchiodata e se Felice non metteva le mani avanti si scassava le corna sul parabrez-za.

Ha spalancato la portiera ed è sceso. "Levati!

Salvatore si è spostato dall'altra parte, muto.

Felice ha afferrato il volante e ha detto: "Caro Salvatore, te lo devo dire, tu sei proprio negato a guidare. Lascia perdere. Il ciclismo è il tuo futuro.

Quando siamo entrati ad Acqua Traverse mia sorella, Barbara, Remo e il Teschio giocavano a mondo in mezzo alla polvere.

Ci hanno visti e hanno smesso di giocare.

Il camion di papà non c'era. E neanche la macchina del vecchio.

Felice ha parcheggiato la 127 nel capannone.

Salvatore è schizzato dalla macchina, ha preso la bicicletta e se n'è andato senza nemmeno guardarmi.

Felice ha tirato su il sedile. "Esci fuori!

Non volevo uscire.

Una volta, a scuola, avevo rotto la vetrata del cortile con uno di quei bastoni che servono per fare ginnastica. Volevo far vedere ad Angelo Cantini, un mio compagno di classe, che quel vetro era indistruttibile. E invece si era tra-sformato in un miliardo di cubetti quadrati. Il preside aveva chiamato mamma e le aveva detto che le doveva parlare.

Quando era arrivata mi aveva guardato e mi aveva detto in un orecchio:

"Noi due facciamo i conti dopo". Ed era entrata dal preside mentre io aspettavo seduto nel corridoio.

Quella volta avevo avuto paura, ma niente in confronto ad adesso. Felice avrebbe raccontato tutto a mamma e lei lo avrebbe detto a papà. E papà si sarebbe arrabbiato tantissimo. E il vecchio mi avrebbe portato via.

"Esci fuori!" mi ha ripetuto Felice.

Mi sono fatto coraggio e sono smontato.

Mi vergognavo. Avevo i pantaloni bagnati.

Barbara si è messa una mano sulla bocca. Remo è corso dal Teschio. Maria si è levata gli occhiali e se li è puliti con la maglietta.

C'era una luce abbagliante, non riuscivo a tenere gli occhi aperti. Dietro di me sentivo i passi pesanti di Felice. Affacciata alla finestra c'era la mamma di Barbara. A un'altra la mamma del Teschio. Mi fissavano con gli occhi vacui. Ci sarebbe stato un silenzio assoluto se Togo non avesse cominciato ad abbaiare con quella sua vocetta stridula. Il Teschio gli ha dato un calcio e Togo è scappato via guaendo.

Ho salito le scale di casa e ho aperto la porta. Le persiane erano accostate e c'era poca luce.

La radio era accesa. Il ventilatore girava. Mamma, in sottoveste, era seduta al tavolo e pelava le patate. Mi ha visto entrare seguito da Felice. Le è scivolato il coltello di mano. E' caduto sul tavolo, e da lì è finito sul pavimento.

"Che è successo?

Felice si è cacciato le mani nella mimetica, ha abbassato la testa e ha detto: "Era su. Con il ragazzino.

Mamma si è alzata dalla sedia, ha spento la radio, ha fatto un passo, poi un altro, si è fermata, si è messa le mani in faccia e si è accucciata a terra guardandomi.

Sono scoppiato a piangere.

E' corsa da me e mi ha preso in braccio. Mi ha stretto forte al seno e si è accorta che ero tutto bagnato. Mi ha poggiato sulla sedia e mi ha guardato le gambe e le braccia sbucciate, il sangue rappreso sulle ginocchia. Mi ha sollevato la maglietta.

"Che ti è successo?" mi ha chiesto.

"Lui! E' stato lui... mi ha... preso a mazzate!

Ho indicato Felice.

Mamma si è girata, ha squadrato Felice e ha ringhiato: "Che cosa gli hai fatto, disgraziato?

Felice ha alzato le mani. "Niente. Che gli ho fatto? L'ho riportato a casa.

Mamma ha strizzato gli occhi. "Tu! Come ti permetti, tu?" Le vene del collo le si sono gonfiate e le tremava la voce. "Come ti permetti, eh?

Hai picchiato mio figlio, bastardo!" E si è lanciata su Felice.

Lui è indietreggiato. "Gli ho dato un calcio nel sedere. E che sarà mai?

Mamma ha cercato di schiaffeggiarlo. Felice le ha serrato i polsi per tenerla lontana, ma lei era una leonessa. "Bastardo! Io ti strappo gli occhi!

"L'ho trovato dentro la fossa... Voleva liberare il ragazzino. Non gli ho fatto niente. Basta, smettila!

Mamma era scalza, ma lo ha colpito lo stesso con un calcio nei coglioni.

Il povero Felice ha emesso un verso strano, un incrocio tra un gargarismo e il risucchio di un lavandino, si è messo le mani sui genitali ed è caduto in ginocchio. Ha fatto una smorfia di dolore e ha provato a urlare ma non gli è venuto, non aveva più aria nei polmoni.

Io, in piedi sulla sedia, ho smesso di frignare.

Sapevo quanto fa male una botta sulle palle. E quella era una botta sulle palle molto seria.

Mamma non ha avuto nessuna pietà. Ha preso la padella dal lavello e ha colpito Felice in faccia. Lui ha ululato ed è crollato a terra.

Mamma ha sollevato di nuovo la padella, lo voleva ammazzare, ma Felice l'ha presa per una caviglia e ha tirato. Mamma è cascata. La padella è schizzata sul pavimento. Felice le si è buttato sopra con tutto il corpo.

Io ho guaito disperato. "Lasciala! Lasciala! Lasciala!" Felice le ha afferrato le braccia, le si è piazzato sullo stomaco e l'ha tenuta ferma.

Are sens