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Mamma mordeva e graffiava come una gatta.

Le si era sollevata la sottoveste. Si vedeva il sedere e il ciuffo nero tra le gambe e una spallina si era strappata e un seno le usciva fuori bianco e grande e con il capezzolo scuro.

Felice si è fermato e l'ha guardata.

Ho visto come l'ha guardata.

Sono sceso dalla sedia e ho cercato di ucciderlo. Gli sono saltato addosso e ho provato a strozzarlo.

In quel momento sono entrati papà e il vecchio.

Papà si è gettato su Felice, lo ha afferrato per un braccio e l'ha tirato via da sopra a mamma.

Felice è rotolato sul pavimento e io insieme a lui.

Ho battuto forte la tempia. Un bollitore dell'acqua ha cominciato a fischiar-mi nella testa, e nelle narici avevo l'odore del disinfettante che davano nel bagno della scuola. Lampi gialli mi esplodevano davanti agli occhi.

Papà prendeva a calci Felice e Felice strisciava sotto il tavolo e il vecchio cercava di trattenere papà che spalancava la bocca e allungava le mani e buttava all'aria le sedie con i piedi.

Il sibilo nella testa era così forte che non sentivo nemmeno il mio pianto.

Mamma mi ha preso e mi ha portato in camera sua, ha chiuso la porta con il gomito e mi ha adagiato sul letto. Non riuscivo a smettere di piangere. Sus-sultavo tutto ed ero paonazzo.

Mi stringeva tra le braccia e ripeteva: "Non è niente. Non è niente. Passa.

Passa tutto.

Mentre piangevo non riuscivo a staccare gli occhi dalla fotografia di padre Pio attaccata all'armadio. Il frate mi guardava e sembrava sorridere soddisfat-to.

In cucina papà, il vecchio e Felice urlavano.

Poi sono usciti tutti e tre di casa sbattendo la porta.

Ed è tornata la calma.

I colombi tubavano sotto il tetto. Il rumore del frigorifero. Le cicale. Il ventilatore. Quello era il silenzio.

Mamma, con gli occhi gonfi, si è vestita, si è disinfettata un graffio su una spalla e mi ha lavato, asciugato, infilato sotto le lenzuola. Mi ha fatto mangiare una pesca con lo zucchero e si è stesa accanto a me. Mi ha dato la mano.

Non parlava più.

Non avevo la forza nemmeno per piegare un dito. Ho appoggiato la fronte sul suo stomaco e ho chiuso gli occhi.

Si è aperta la porta.

"Come sta?

La voce di papà. Parlava piano, come se il dottore gli avesse detto che ero in fin di vita.

Mamma mi ha accarezzato i capelli. "Ha preso una botta in testa. Ma ora dorme.

"Tu come stai?

"Bene.

"Sicura?

"Sì. Ma quello non deve entrare più in casa nostra. Se tocca ancora Michele lo ammazzo e poi ammazzo a te.

"Ci ho già pensato io. Devo andare.

La porta si è chiusa.

Mamma mi si è accoccolata accanto e mi ha sussurrato in un orecchio:

"Quando diventi grande te ne devi andare da qui e non ci devi tornare mai più.

Era notte.

Mamma non c'era. Maria mi dormiva accanto.

L'orologio ticchettava sul comodino. Le lancette brillavano di giallo. Il cuscino odorava di papà. La luce bianca della cucina s'incuneava sotto la porta.

Di là stavano litigando.

Era pure arrivato l'avvocato Scardaccione, da Roma. Era la prima volta che veniva a casa nostra.

Quel pomeriggio erano successe cose terribili.

Così terribili, così immense che non ci si poteva nemmeno arrabbiare. Mi avevano lasciato stare.

Non ero agitato. Mi sentivo al sicuro. Mamma ci aveva chiusi dentro la sua camera e non avrebbe permesso a nessuno di entrare.

In testa avevo un bozzo che se lo toccavo mi faceva male, ma per il resto stavo bene. Questo un po' mi dispiaceva. Appena scoprivano che non ero malato mi rimettevano nella stanza con il vecchio.

E io volevo rimanere nel loro letto per sempre.

Senza più uscire, senza più vedere Salvatore, Felice, Filippo, nessuno. Nulla sarebbe cambiato.

Sentivo le voci in cucina. Il vecchio, l'avvocato, il barbiere, il padre del Teschio, papà. Litigavano per una telefonata che dovevano fare e su quello che bisognava dire.

Ho messo la testa sotto il cuscino.

Vedevo l'oceano di ferro in tempesta, cavalloni di chiodi si sollevavano e spruzzi di bulloni colpivano l'autobus bianco che affondava in silenzio solle-vando il muso e dentro c'erano i mostri che si agitavano e sbattevano i pugni terrorizzati.

Non c'era niente da fare.

I vetri erano indistruttibili.

Are sens