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"Perché lo avete messo nel buco? Non l'ho capito proprio bene.

Ha afferrato la maniglia, ho creduto che non mi volesse rispondere, poi ha detto: "Non te ne volevi andare da Acqua Traverse?

"Si.

"Presto ce ne andremo in città.

"Dove andremo?

"Al Nord. Sei contento?

Ho fatto sì con la testa.

E' tornato da me e mi ha guardato negli occhi.

L'alito gli sapeva di vino. "Michele, ora ti parlo come a un uomo. Ascoltami bene. Se torni li lo uccidono. Lo hanno giurato. Non ci devi tornare più se non vuoi che gli sparano e se vuoi che ce ne andiamo in città. E non ne devi parlare mai. Hai capito?

"Capito.

Mi ha baciato in testa. "Ora dormi e non ci pensare. Vuoi bene a tuo padre?

"Sì.

"Mi vuoi aiutare?

"Sì.

"Allora dimentica tutto.

"Va bene.

"Dormi ora". Ha baciato Maria che neanche se n'è accorta ed è uscito dalla stanza chiudendo piano la porta.

7.

Era tutto in disordine.

Il tavolo era pieno di bottiglie, tazzine e piatti sporchi. Le mosche ronzavano sui resti del cibo. Le sigarette traboccavano dalle ceneriere, le sedie e le poltrone erano tutte storte. C'era puzza di fumo.

La porta della mia stanza era socchiusa. Il vecchio dormiva vestito sul letto di mia sorella. Un braccio buttato giù. La bocca aperta. Ogni tanto si scaccia-va una mosca che gli camminava sulla faccia. Papà si era steso sul mio letto con la testa contro il muro. Mamma dormiva rannicchiata sul divano. Si era coperta con la trapunta bianca. Spuntavano i capelli neri, un pezzettino di fronte e un piede nudo.

La porta di casa era spalancata. Una leggera corrente tiepida faceva fru-sciare il giornale sul comò.

Il gallo ha cantato.

Ho aperto il frigo. Ho preso il latte, mi sono riempito un bicchiere e sono uscito sul terrazzino.

Mi sono seduto sugli scalini a guardare l'alba.

Era di un arancione vivido, sporcata da una massa gelatinosa e violacea che si stendeva come cotone sull'orizzonte, ma più in alto il cielo era pulito e nero e qualche stella era ancora accesa.

Mi sono finito il latte, ho poggiato il bicchiere su uno scalino e sono sceso in strada.

Il pallone del Teschio era vicino alla panchina, gli ho dato un calcio. E' finito sotto la macchina del vecchio.

Dal capannone è apparso Togo. Ha guaito e sbadigliato insieme. Si è stiracchiato allungandosi e trascinando le zampe di dietro e mi è venuto incontro scodinzolando.

Mi sono inginocchiato. "Togo, come stai?

Mi ha preso una mano con la bocca e mi ha tirato. Non stringeva forte ma aveva i denti appuntiti.

"Dove mi vuoi portare, eh? Dove mi vuoi portare?" L'ho seguito nel capannone. I colombi, appollaiati sui travi di ferro del tetto, sono volati via.

In un angolo, buttata a terra, c'era la sua cuccia, una vecchia coperta grigia, tutta bucata.

"Mi vuoi far vedere la tua casa?

Togo ci si è steso e si è aperto come un pollo alla diavola.

Sapevo che voleva. Gli ho grattato la pancia e lui si è immobilizzato, in grazia di Dio, solo la coda gli andava a destra e a sinistra.

La coperta era uguale a quella di Filippo.

L'ho odorata. Non puzzava come la sua.

Sapeva di cane.

Ero steso sul letto a leggere Tex.

Ero rimasto in camera tutto il giorno. Come quando avevo la febbre e non andavo a scuola. A un certo punto era venuto Remo a chiedermi se volevo fare una partita, ma gli avevo detto di no, che ero malato.

Mamma aveva pulito casa fino a che tutto era tornato splendente, poi era andata dalla madre di Barbara. Papà e il vecchio si erano svegliati ed erano usciti.

Mia sorella è entrata in camera di corsa ed è saltata sul letto tutta contenta.

Teneva qualcosa dietro la schiena.

"Indovina che mi ha prestato Barbara?

Ho abbassato il giornaletto. "Non lo so.

"Indovina, dai!

"Non lo so". Non avevo voglia di giocare.

Ha tirato fuori Ken. Il marito di Barbie, quello spilungone e con la puzza sotto il naso. "Così possiamo giocare. Io prendo Paola e tu lui. Li spogliamo e li mettiamo nel frigorifero... Così si abbracciano, capito?

"Non mi va.

Are sens