Zia Lucilia mi ha acchiappato una guancia e me l'ha quasi staccata. "E tu te la piglieresti Antonia?
Sono diventato tutto rosso e ho fatto no con la testa.
E le due sorelle si sono messe a ridere tutte contente e non la finivano più.
Poi Letìzia Scardaccione ha preso un sacchetto. "Qua ci sono dei vestiti che a Salvatore vanno piccoli. Prenditeli. Se i pantaloni sono troppo lunghi te li accorcio. Prenditeli, fammi questo favore. Guarda come vai combinato.
Mi sarebbe piaciuto. Erano come nuovi. Ma mamma diceva che noi non ac-cettavamo l'elemosina da nessuno. Soprattutto da quelle due. Diceva che i miei vestiti andavano benissimo. E che quando era ora di cambiarli, lo deci-deva lei. "Grazie, signora. Ma non posso.
Zia Lucilia ha aperto una scatola di latta e ha battuto le mani. "Guarda che tengo qui. Le caramelle al miele! Ti piacciono le caramelle al miele?
"Molto, signora.
"Accomodati pure.
Queste le potevo prendere. Mamma non poteva scoprirlo perché me le mangiavo tutte. Ne ho fatto una bella scorta. Mi sono riempito le tasche.
E Letizia Scardaccione ha aggiunto: "E dàlle anche a tua sorella. La prossima volta che vieni porta pure lei.
Ho ripetuto come un pappagallo. "Grazie, grazie, grazie...
"Prima di andartene vai a salutare Salvatore.
Sta in camera sua. Mi raccomando però, non rimanere assai che deve suonare. Oggi ha la lezione.
Sono uscito dalla cucina e ho attraversato quel corridoio tetro, con quei mobili neri e tristi. Sono passato davanti alla camera di Nunzio. La porta era chiusa a chiave.
Una volta l'avevo trovata aperta ed ero entrato.
Non c'era niente, tranne un letto alto con le ringhiere di ferro e delle cin-ghie di cuoio. Al centro, le mattonelle del pavimento erano tutte rigate e rovi-nate. Quando passavi sotto il palazzo vedevi Nunzio che camminava avanti e indietro, dalla porta alla finestra.
L'avvocato aveva provato ogni cosa per farlo guarire, una volta lo aveva pure portato da padre Pio, ma Nunzio si era attaccato a una Madonna e l'aveva fatta cadere e i frati lo avevano cacciato dalla chiesa. Da quando stava in manicomio non era più tornato ad Acqua Traverse.
Dovevo andare da Filippo, glielo avevo promesso. Gli dovevo portare la torta e le caramelle.
Ma faceva caldo. Poteva aspettare. Tanto non gli cambiava niente. E poi avevo voglia di stare un po' con Salvatore.
Ho sentito il pianoforte attraverso la porta della sua stanza. Ho bussato.
"Chi è?
"Michele.
"Michele?" Mi ha aperto, si è guardato intorno come un ricercato, mi ha spinto dentro e ha chiuso a chiave.
La camera di Salvatore era grande, spoglia e con i soffitti alti. Contro una parete c'era un pianoforte verticale. Su un'altra un letto così alto che dovevi prendere uno scaletto per salirci. E una lunga libreria con dentro tanti libri disposti secondo i colori delle copertine. I giochi erano conservati in un casset-tone. Una tenda bianca e pesante lasciava filtrare un raggio di luce in cui danzava la polvere.
In mezzo alla stanza, sul pavimento, c'era il panno verde del Subbuteo.
Schierate sopra, la Juventus e il Torino.
Mi ha chiesto: "Che ci fai qua?
"Niente. Ho portato una torta. Posso rimanere? Tua madre ha detto che hai la lezione...
"Sì, rimani," ha abbassato il tono della voce, "ma se si accorgono che non suono non mi lasciano più in pace". Ha preso un disco e lo ha messo sul gira-dischi. "Così credono che suono". E ha aggiunto tutto serio. "E' Chopin.
"Chi è Chopin?
"E' uno bravo.
Io e Salvatore avevamo la stessa età, però mi sembrava più grande. Un po'
perché era più alto di me, un po' perché aveva le camicie bianche sempre pulite e i pantaloni lunghi e con la piega. Un po' per il tono pacato che usava.
Lo obbligavano a suonare, un insegnante veniva una volta alla settimana da Lucignano a fargli lezione, e lui, anche se odiava la musica, non si lamentava e aggiungeva sempre: "Ma quando sono grande smetto.
"Ti va di fare una partita?" gli ho chiesto.
Il Subbuteo era il mio gioco preferito. Non ero molto bravo, ma mi piaceva da morire. D'inverno con Salvatore facevamo tornei infiniti, passavamo pome-
riggi interi a dare schicchere a quei piccoli calciatori di plastica. Salvatore giocava anche da solo. Si spostava da una parte all'altra. Se non giocava con il Subbuteo allora incolonnava migliaia di soldatini per la stanza e copriva tutto il pavimento fino a che non c'era più posto nemmeno per mettere i piedi. E
quando finalmente erano ordinati in schiere geometriche cominciava a spo-starli uno per uno. Passava ore in silenzio a disporre eserciti per poi, quando arrivava Antonia a dire che la cena era servita, rimetterli tutti nelle scatole da scarpe.
"Guarda," mi ha detto, e ha tirato fuori da un cassetto otto scatolette di cartone verde. Ognuna conteneva una squadra di calcio. "Guarda che mi ha regalato papà. Me le ha portate da Roma.
"Tutte queste?" Le ho prese in mano. Doveva essere veramente ricco l'avvocato per spendere tutti quei soldi.