Potevo andarmene e lasciarlo là. Mi sono guardato in giro.
"Non ci pensare neanche... Io da qui esco e quando esco ti spezzo come una liquirizia. Di te rimarrà solo una tomba dove i tuoi genitori andranno a portare i fiori," ha detto Felice.
"Che devo fare?
"Prendi il cric dentro la macchina e mettilo vicino alla ruota.
L'ho messo e ho girato la manovella. Lentamente la macchina si è sollevata.
Felice emetteva dei mugolii di gioia. "Così. Così, che esco. Bravo!
E' scivolato fuori. Aveva la camicia imbrattata di olio nero. Si è passato una mano sui capelli. "Credevo di morirci. Mi sono rovinato la schiena. Tutto per colpa di quel romano di merda!" Ha cominciato a fare le flessioni bestem-miando.
"Il vecchio?
"Sì, lo odio". Si è rimesso in piedi e ha preso a calci i sacchi di mais. "Gli ho detto che non ci posso arrivare fin lassù con la macchina. Su quella strada mi si sfondano gli ammortizzatori, ma a quello non gliene frega un cazzo. Perché non ci va lui con la sua Mercedes di merda? Perché non ci sta lui? Io non ce la faccio più. E non fare questo e non fare quello. Mi ha fatto due coglioni co-sì perché sono andato un paio di volte a mare. Era molto meglio quando quel pezzo di merda non c'era.
Ma io me ne vado... "Ha dato un pugno al trattore e si è sfogato spaccando le cassette di legno.
"Se mi dice un'altra volta che sono un idiota gli dò un pugno che te lo attacco al muro. E ora come cazzo ci vado su... "Si è bloccato e si è ricordato che c'ero pure io. Mi ha afferrato per la maglietta e mi ha sollevato e mi ha appiccicato il naso in faccia. "Non raccontare a nessuno quello che ti ho detto, capito? Se scopro che hai spifferato una parola sola ti taglio il pesce e me lo mangio con i broccoli... "Ha preso dalla tasca un coltello. La lama è schizzata fuori a due centimetri dalla punta del mio naso. "Capito?
Ho balbettato. "Capito.
Mi ha gettato a terra. "A nessuno! Ora sparisci". E si è messo a girare per il capannone.
Ho preso la torta e sono filato via.
La famiglia Scardaccione era la più ricca di Acqua Traverse.
Il padre di Salvatore, l'avvocato Emilio Scardaccione, aveva molti terreni.
Tanta gente, soprattutto quando era periodo di mietitura, faticava per lui. Arrivavano da fuori. Da lontano. Sopra i camion. A piedi.
Anche papà, per molti anni, prima di diventare camionista, era andato a lavorare a stagione per l'avvocato Scardaccione.
Per entrare in casa di Salvatore si passava per un cancello di ferro battuto, poi attraversavi un cortile con i cespugli quadrati, la palma lunga lunga e una fontana di pietra con i pesci rossi, salivi una scala di marmo con i gradini alti ed eri arrivato.
Appena entravi ti trovavi in un corridoio scuro, senza finestre, così lungo che ci potevi andare in bicicletta. Da un lato c'era una fila di stanze da letto sempre chiuse, dall'altro il salone. Era uno stanzone con gli angeli dipinti sul soffitto e un tavolo grande e lucido con le sedie intorno. Tra due quadri con le cornici d'oro c'era una vetrina con dentro delle tazze e dei bicchieri preziosi e delle fotografie di uomini in divisa. Vicino alla porta d'ingresso c'era l'armatura medievale con in mano una mazza con una palla piena di chiodi. L'aveva comprata l'avvocato nella città di Gubbio. Non si poteva toccare perché cadeva.
Durante il giorno le persiane non si aprivano mai. Neanche d'inverno. Odorava di chiuso, di legno antico. Sembrava di stare in chiesa.
La signora Scardaccione, la madre di Salvatore, era una grassona alta un metro e mezzo e portava la rete sui capelli. Aveva le gambe gonfie come salsicce che le facevano sempre male e usciva solo a Natale e a Pasqua per andare dal parrucchiere a Lucignano. Passava la vita in cucina, l'unica stanza luminosa della casa, insieme alla sorella, zia Lucilia, tra vapori e odori di ragù.
Sembravano due foche. Piegavano la testa insieme, ridevano insieme, battevano le mani insieme.
Due grosse foche ammaestrate con la permanente.
Se ne stavano tutto il giorno su due poltrone consumate a controllare che Antonia, la cameriera, non sbagliava qualcosa, non si riposava troppo.
Tutto doveva essere in ordine per quando rientrava l'avvocato Scardaccione dalla città. Ma l'avvocato non rientrava mai. E quando rientrava se ne voleva andare.
"Lucilia! Lucilia, guarda chi c'è!" ha detto Letizia Scardaccione quando mi ha visto entrare in cucina.
Zia Lucilia ha sollevato la testa dalla macchina da cucire e ha sorriso. Sul naso aveva dei fondi di bottiglia che le facevano gli occhi piccoli come piom-bini. "Michele! Michele bello! Che hai portato, la torta?
"Si, signora. Eccola". Gliel'ho consegnata.
"Dalla ad Antonia.
Antonia stava imbottendo i peperoni seduta al tavolo.
Antonia Ammirati aveva diciotto anni, era magra ma non tanto. Aveva i capelli rossi e gli occhi blu e quando era piccola le erano morti i genitori in un incidente stradale.
Sono andato da Antonia e le ho dato la torta. Lei mi ha carezzato la testa con il dorso della mano.
Antonia mi piaceva molto, era bella e mi sarebbe piaciuto fidanzarmi con lei, ma era troppo grande e aveva il ragazzo a Lucignano che montava le an-tenne della televisione.
"Quant'è brava la tua mamma, eh?" ha detto Letìzia Scardaccione.
"E quant'è bella?" ha aggiunto zia Lucilia.
"E anche tu sei proprio un bel bambino. E vero, Lucilia?
"E' proprio bello.
"Antonia, non è bello Michele? Se fosse grande non te lo sposeresti?
Antonia ha riso. "Subito me lo sposerei.