Ogni anno che Dio mandava, alla mia festa e a Natale, chiedevo a papà e a Gesù Bambino di regalarmi il Subbuteo, ma non c'era verso, nessuno dei due ci sentiva. Mi bastava una squadra. Senza il campo e le porte. Pure di serie B.
Mi sarebbe piaciuto andare da Salvatore con la mia squadra perché, ne ero sicuro, se era mia avrei giocato meglio, non avrei perso così tanto. Avrei voluto bene a quei giocatori, ne avrei avuto cura e avrei battuto Salvatore.
Lui ne aveva già quattro. E ora il padre gliene aveva comprate altre otto.
Perché a me niente?
Perché a mio papà non gli fregava niente di me, diceva che mi voleva bene ma non era vero. Mi aveva regalato una stupida barca di Venezia da mettere sopra il televisore. E non potevo neanche toccarla.
Ne volevo una. Se suo padre gliene avesse regalate quattro non dicevo niente, ma erano otto.
In tutto ora ne aveva dodici.
Con una in meno che gli cambiava?
Mi sono schiarito la voce e ho sussurrato. "Me ne regali una?
Salvatore ha aggrottato le sopracciglia e ha cominciato a girare per la stanza. Poi ha detto: "Mi dispiace, io te la darei pure, ma non posso. Se papà sa che te l'ho data si arrabbia.
Non era vero. Quando mai suo padre controllava le squadre. Salvatore era tirchio.
"Ho capito.
"Tanto che ti cambia? Ci puoi venire a giocare quando vuoi.
Se avessi avuto qualcosa da scambiare forse una me la dava. Ma io non avevo niente.
No, una cosa da scambiare ce l'avevo.
"Se ti dico un segreto, me ne dai una?
Salvatore mi ha guardato di sbieco. "Che segreto?
"Un segreto incredibile.
"Non c'è segreto che vale una squadra.
"Il mio sì". Mi sono baciato gli indici. "Te lo giuro.
"E se poi è una fregatura?
"Non lo è. Ma se dici che è una fregatura ti ridò la squadra.
"Non mi interessano i segreti.
"Lo so. Ma questo è bello. Non l'ho detto a nessuno. Se il Teschio lo viene a sapere, fa i salti di gioia...
"Dillo al Teschio allora.
Ma ormai ero disposto a tutto. "Mi prendo anche il Lanerossi Vicenza.
Salvatore ha sgranato gli occhi. "Anche il Lanerossi Vicenza?
"Sì.
Il Lanerossi Vicenza lo odiavamo. Era iellato.
Se ci giocavi perdevi sempre. Nessuno dei due aveva mai vinto con quella squadra. E aveva un giocatore decapitato, un altro attaccato con la colla e il portiere tutto piegato.
Salvatore ci ha pensato un po' su e finalmente ha concesso: "D'accordo. Ma se è un segreto di merda non te la dò.
E così gli ho raccontato tutto. Di quando ero caduto dall'albero. Del buco.
Di Filippo. Di quanto era pazzo. Della sua gamba malata. Della puzza. Di Felice che lo guardava. Di papà e del vecchio che gli volevano tagliare le orecchie. Di Francesco che si era buttato di sotto con l'uccello di fuori. Di sua madre alla televisione.
Tutto.
Provavo una sensazione bellissima. Come quando mi ero mangiato un vaso pieno di pesche sciroppate. Dopo ero stato male, mi sembrava di scoppiare, nella pancia avevo il terremoto e mi era venuta pure la febbre e mamma prima mi aveva preso a schiaffi, poi mi aveva messo la testa nel gabinetto e ficcato due dita in gola. E avevo tirato fuori una quantità infinita di una pappa gialla e acida. E avevo ripreso a vivere.
Mentre parlavo Salvatore stava in silenzio, impassibile.
E ho concluso. "E poi parla sempre di questi orsetti lavatori. Di questi orsetti che lavano i panni. Gli ho detto che non esistono, ma lui non mi sta a sentire.
"Esistono gli orsetti lavatori.
Sono rimasto a bocca aperta. "Come esistono?
Mio padre ha detto che non esistono.