Ha cominciato a grattarsi la testa. "Voglio... voglio... il pane. Il pane con il burro. Con il burro e la marmellata. Con il prosciutto. E il formaggio. E il cioc-colato. Un panino molto grosso.
"Vedo cosa c'è a casa.
Mi sono seduto. Filippo non la smetteva di toccarmi i piedi e di slacciarmi i sandali.
E a un tratto mi è venuta un'idea. Una grande idea.
Non aveva la catena. Era libero. Potevo portarlo fuori.
Gli ho chiesto: "Ti va di uscire?
"Uscire dove?
"Uscire fuori.
"Fuori?
"Sì, fuori. Fuori dal buco.
E' stato zitto e ha chiesto: "Dal buco? Quale buco?
"Questo buco qui. Qui dentro. Dove siamo.
Ha fatto di no con la testa. "Non ci sono buchi.
"Questo non è un buco?
"No.
"Ma sì che è un buco e lo hai detto pure tu.
"Quando l'ho detto?
"Hai detto che il mondo è tutto pieno di buchi dove dentro ci stanno i morti.
E che anche la luna è piena di buchi.
"Ti sbagli. Io non l'ho detto.
Cominciavo a perdere la pazienza. "E dove siamo allora?
"In un posto dove si aspetta.
"E che si aspetta?
"Di andare in paradiso.
Un po' aveva ragione. Se rimanevi li dentro tutta la vita, morivi e poi la tua anima volava in paradiso. Se ti mettevi a discutere con Filippo, ti si intreccia-vano i pensieri.
"Dai, ti porto fuori. Vieni". L'ho preso, ma si è irrigidito tutto e tremava. "Va bene. Va bene.
Non usciamo. Stai buono, però. Non ti faccio niente.
Ha infilato la testa nella coperta. "Fuori non c'è aria. Fuori soffoco. Non ci voglio andare.
"Non è vero. Fuori c'è un sacco d'aria. Io sto sempre fuori e non soffoco.
Come mai?
"Tu sei un angelo.
Dovevo farlo ragionare. "Ascoltami bene. Ieri ti ho giurato che tornavo e sono tornato. Ora ti giuro che se vieni fuori non ti succede niente. Mi devi credere.
"Perché devo andare fuori? Io sto bene qui.
Dovevo dirgli una bugia. "Perché fuori c'è il paradiso. E io ti devo portare in paradiso. Io sono un angelo e tu sei morto e io ti devo portare in paradiso.
Ci ha pensato un po'. "Davvero?
"Veramente.
"Andiamo, allora". E ha cominciato a fare dei versi acuti.
Ho provato a metterlo in piedi, ma teneva le gambe piegate. Non si reggeva. Se non lo sostenevo cadeva. Alla fine gli ho legato la corda intorno ai fianchi. E gli ho avvolto la testa con la coperta, così stava buono. Sono risalito e ho cominciato a issarlo. Pesava troppo. Stava li, a venti centimetri da terra, tutto indurito e sbilenco e io sopra, con la corda sulla spalla, tutto piegato in avanti e senza la forza per tirarlo su.
"Aiutami, Filippo. Non ce la faccio.
Ma era come un macigno e la corda mi scivolava dalle mani. Ho fatto un passo indietro e la corda si è allentata. Aveva toccato terra.