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Il Teschio è saltato in piedi come se si fosse seduto su un formicaio. "Una motocicletta?

"Sì.

"Dove sta?

"Al piano di sopra. Nell'ultima stanza.

"E che ci fa?

Ho sollevato le spalle. "Non lo so.

"Secondo te va ancora?

"Potrebbe.

Salvatore mi ha guardato, aveva un sorriso beffardo sulle labbra. "E perché non ce lo hai detto mai?

Il Teschio ha storto la testa. "Giusto! Perché non ce lo hai detto, eh?

Ho inghiottito. "Perché non mi andava. Avevo fatto la penitenza.

Un lampo di comprensione gli ha attraversato gli occhi. "Andiamola a vedere. Pensa se funziona...

Il Teschio, Salvatore e Remo si sono gettati fuori dalla stalla, di corsa, ripa-randosi la testa con le mani e spintonandosi dentro le pozzanghere.

Barbara si è avviata, ma si è fermata sotto la pioggia. "Tu non vieni?

"Arrivo. Tu vai.

L'acqua le aveva lisciato i capelli che le cadevano giù come spaghetti sporchi. "Non vuoi che ti aspetto?

"No, vai. Arrivo subito.

"Va bene". Si è messa a correre.

Ho fatto il giro della casa e sono passato tra i rovi. Il cuore mi batteva nei timpani e le gambe mi si piegavano. Sono entrato nel piazzale. Si era tra-sformato in un pantano frustato dalla pioggia.

Il buco era aperto.

Non c'era più la lastra verde e nemmeno il materasso.

L'acqua mi colava addosso, mi scivolava dentro i pantaloncini e le mutande e i capelli mi si incollavano alla fronte e il buco era li, una bocca nera nella terra scura, e io mi avvicinavo, respiravo appena, stringevo i pugni, mentre intorno a me il cielo cadeva e ondate di dolore incandescente mi avvolgevano la gola.

Ho chiuso e riaperto gli occhi sperando che qualcosa cambiasse.

Il buco era ancora lì. Nero come il buco di un lavandino.

Barcollando, mi sono avvicinato. I piedi nel fango. Mi sono passato una mano sulla faccia per asciugarmela. Quasi crollavo a terra, ma continuavo ad avanzare.

Non c'è. Non guardare. Vattene via.

Mi sono fermato.

Vai. Vai a vedere.

Non ce la faccio.

Mi sono guardato i sandali coperti di melma. Fai un passo, mi sono detto.

L'ho fatto. Fanne un altro. L'ho fatto. Bravo. Un altro e un altro ancora.

E ho visto l'orlo del buco davanti ai miei piedi.

Ci sei.

Ora bisognava solo guardarci dentro.

Ho avuto la certezza che lì dentro non c'era più nessuno.

Ho sollevato la testa e ho guardato.

Era così. Non c'era più niente. Nemmeno il secchio e il pentolino. Solo acqua sporca e una coperta zuppa.

Se lo erano portati via. Senza dirmi niente. Senza avvertirmi.

Se n'era andato e io non lo avevo nemmeno salutato.

Dove stava? Non lo sapevo, ma sapevo che era mio e che me lo avevano portato via.

"Dove sei?" ho urlato alla pioggia.

Sono caduto in ginocchio. Ho immerso le dita nel fango e l'ho strizzato nelle mani.

"La moto non esiste.

Mi sono voltato.

Salvatore.

Era in piedi. A qualche metro da me, la camicia zuppa, i pantaloni sporchi di fango. "La moto non esiste, vero?

Ho gorgogliato un no.

Ha indicato il buco. "Stava là?

Ho fatto segno di si con la testa, e ho balbettato. "Lo hanno portato via.

Salvatore si è avvicinato, ha guardato dentro e mi ha fissato. "Io lo so dove sta.

Are sens