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"Ci ho già pensato io. Devo andare.

La porta si è chiusa.

Mamma mi si è accoccolata accanto e mi ha sussurrato in un orecchio:

"Quando diventi grande te ne devi andare da qui e non ci devi tornare mai più.

Era notte.

Mamma non c'era. Maria mi dormiva accanto.

L'orologio ticchettava sul comodino. Le lancette brillavano di giallo. Il cuscino odorava di papà. La luce bianca della cucina s'incuneava sotto la porta.

Di là stavano litigando.

Era pure arrivato l'avvocato Scardaccione, da Roma. Era la prima volta che veniva a casa nostra.

Quel pomeriggio erano successe cose terribili.

Così terribili, così immense che non ci si poteva nemmeno arrabbiare. Mi avevano lasciato stare.

Non ero agitato. Mi sentivo al sicuro. Mamma ci aveva chiusi dentro la sua camera e non avrebbe permesso a nessuno di entrare.

In testa avevo un bozzo che se lo toccavo mi faceva male, ma per il resto stavo bene. Questo un po' mi dispiaceva. Appena scoprivano che non ero malato mi rimettevano nella stanza con il vecchio.

E io volevo rimanere nel loro letto per sempre.

Senza più uscire, senza più vedere Salvatore, Felice, Filippo, nessuno. Nulla sarebbe cambiato.

Sentivo le voci in cucina. Il vecchio, l'avvocato, il barbiere, il padre del Teschio, papà. Litigavano per una telefonata che dovevano fare e su quello che bisognava dire.

Ho messo la testa sotto il cuscino.

Vedevo l'oceano di ferro in tempesta, cavalloni di chiodi si sollevavano e spruzzi di bulloni colpivano l'autobus bianco che affondava in silenzio solle-vando il muso e dentro c'erano i mostri che si agitavano e sbattevano i pugni terrorizzati.

Non c'era niente da fare.

I vetri erano indistruttibili.

Ho aperto gli occhi.

"Michele, svegliati". Papà stava seduto sul bordo del letto e mi scuoteva la spalla. "Ti devo parlare.

Era buio. Ma una macchia di luce bagnava il soffitto. Non gli vedevo gli occhi e non capivo se era arrabbiato.

In cucina continuavano a parlare.

"Michele, che hai fatto oggi?

"Niente.

"Non dire fesserie". Era arrabbiato.

"Non ho fatto niente di male. Te lo giuro.

"Felice ti ha trovato da quello. Ha detto che lo volevi liberare.

Mi sono tirato su. "No! Non è vero! Te lo giuro! L'ho tirato fuori, ma l'ho rimesso subito dentro. Non lo volevo liberare. E' lui che dice le bugie.

"Parla piano che tua sorella dorme". Maria era stesa a pancia in giù e stringeva il cuscino.

Ho sussurrato. "Non mi credi?

Mi ha guardato. Gli occhi gli luccicavano nel buio come a un cane.

"Quante volte lo hai visto?

"Tre.

"Quante volte?

"Quattro.

"Ti può riconoscere?

"Come?

"Se ti vede ti riconosce?

Are sens

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