Mi ha squadrato. "Che hai?
"Niente. Lasciami in pace, sto leggendo.
"Che noioso che sei!" Ha sbuffato e se n'è andata.
Mi sono rimesso a leggere. Era un numero nuovo, me lo aveva prestato Remo. Ma non riuscivo a concentrarmi. L'ho buttato a terra.
Pensavo a Filippo.
Ora come facevo? Gli avevo promesso che tornavo da lui, ma non potevo, avevo giurato a papà che non ci andavo.
Se ci andavo gli sparavano.
Ma perché? Mica lo liberavo, ci parlavo solo.
Non facevo niente di male.
Filippo mi aspettava. Era lì, nel buco, e si chiedeva quando tornavo, quando gli portavo le polpette.
"Non posso venire," ho detto ad alta voce.
L'ultima volta che ero andato da lui gli avevo detto: «Hai visto che sono venuto?» E lui mi aveva risposto che lo sapeva. Non erano stati gli orsetti lavatori a dirglielo. «Me lo avevi promesso».
Mi bastava parlarci cinque minuti. «Filippo, non posso più tornare. Se torno ti uccidono. Scusami, non è colpa mia». E almeno si metteva l'anima in pace.
Invece così pensava che non lo volevo più vedere e che non mantenevo le promesse.
Ma non era vero. Questa cosa mi tormentava.
Se non ci potevo andare io, glielo poteva dire papà. «Mi dispiace, Michele non può venire, per questo non mantiene la promessa. Se viene ti uccidono.
Ha detto di salutarti».
"Basta, me lo devo scordare!" ho detto alla stanza. Ho raccolto il giornalino, sono andato in bagno e mi sono messo a leggere sulla tazza, ma ho dovuto smettere subito.
Papà mi chiamava dalla strada.
E ora che voleva da me? Ero stato buono, non mi ero mosso di casa. Mi so-no tirato su i pantaloni e sono uscito sul terrazzino.
"Vieni qua! Vieni!" Mi ha fatto segno di scendere. Era accanto al camion.
C'erano anche mamma, Maria, il Teschio e Barbara.
"Che c'è?
Mamma ha detto: "Scendi, c'è una sorpresa.
Filippo. Papà aveva liberato Filippo. E lo aveva portato da me.
Il cuore ha smesso di battermi. Mi sono precipitato giù per le scale. "Dov'è?
"Stai là". Papà è salito sul camion e ha tirato fuori la sorpresa.
"Allora?" mi ha chiesto papà.
Mamma ha ripetuto: "Allora?
Era una bicicletta tutta rossa, con il manubrio che sembrava le corna di un toro. La ruota davanti piccola. Il cambio a tre marce. Le gomme con i tac-chetti. Il sellino lungo che ci potevi andare in due.
Mamma ha chiesto ancora: "Che c'è? Non ti piace?
Ho fatto di si con la testa.
Ne avevo vista una quasi uguale, qualche mese prima, al negozio di biciclette di Lucignano. Ma era più brutta, non aveva il fanalino argentato e la ruota davanti non era piccola. Ero entrato dentro a guardarla e il commesso, un uomo alto, con i baffi e il grembiule grigio, mi aveva detto: "Bella, eh?
"Tanto.
"E' l'ultima che mi è rimasta. E' un affare. Perché non te la fai regalare dai tuoi genitori?
"Mi piacerebbe...
"E allora?
"Ce l'ho già.
"Quella?" Il commesso aveva storto il naso indicando la Scassona poggiata contro il lampione.
Mi sono scusato. "Era di papà.