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Un coltello si è piantato a terra. A dieci centimetri dal mio sandalo e a venti dalla testa di Filippo.

"Hai visto che mira? Potevo farti saltare il ditone del piede come niente. E

poi che facevi?

Non riuscivo a parlare. Mi si era tappata la gola.

"Che facevi senza un dito?" ha ripetuto. "Dimmelo? Dimmelo un po'?

"Morivo dissanguato.

"Bravo. E se invece ti sparo con questo," mi ha mostrato il fucile, "che ti succede?

"Muoio.

"Vedi che le cose le sai. Vieni su, forza!" Felice ha preso la scala e l'ha calata giù.

Non volevo, ma non avevo altra scelta. Mi avrebbe sparato. Non ero sicuro che ce l'avrei fatta a salire, mi tremavano le gambe.

"Aspetta, aspetta," ha detto Felice. "Mi prendi il coltello, per piacere?

Mi sono piegato e Filippo ha bisbigliato: "Non torni più?

Ho tirato fuori il coltello dalla terra e senza farmi vedere gli ho risposto sottovoce: "Torno.

"Promesso?

Felice mi ha ordinato: "Richiudilo e mettitelo in tasca.

"Promesso.

"Forza, forza! Sali su, fessacchiotto. Che aspetti?

Ho cominciato a salire. Filippo intanto continuava a bisbigliare. "Il signore dei vermi viene e va. Il signore dei vermi viene e va. Il signore dei vermi viene e va.

Quando oramai ero quasi fuori, Felice mi ha preso per i pantaloni e con tutte e due le mani mi ha lanciato contro la casa come un sacco. Mi sono

schiantato sul muro e mi sono sciolto a terra. Ho provato ad alzarmi. Avevo sbattuto sul fianco. Una fitta di dolore mi irrigidiva la gamba e il braccio.

Mi sono voltato. Felice si era tolto il cappuccio e avanzava verso di me a passo di carica puntandomi il fucile contro. Vedevo il carro armato dei suoi anfibi diventare sempre più grande.

Ora mi spara, ho pensato.

Ho cominciato a strisciare, tutto acciaccato, verso il bosco.

"Volevi farlo scappare, eh? Ma ti sei sbagliato.

Hai fatto i conti senza l'hostess". Mi ha dato un calcio sul sedere. "Alzati, fessacchiotto. Che fai là a terra? Alzati! Per caso ti sei fatto male?" Mi ha sollevato per l'orecchio. "Ringrazia Iddio che sei figlio di tuo padre. Sennò a quest'ora... Ora ti porto a casetta. Deciderà tuo padre la punizione. Io il mio dovere l'ho fatto. Ho fatto la guardia. E ti dovevo sparare". Mi ha trascinato nel boschetto. Avevo così tanta paura che non riuscivo a piangere. Inciampa-vo, finivo a terra e lui mi rimetteva in piedi tirandomi per l'orecchio. "Muoviti, su, su, su!

Siamo usciti fuori dagli alberi.

Di fronte a noi la distesa gialla e incandescente di grano si allungava fino al cielo. Se mi ci tuffavo dentro non mi avrebbe trovato mai.

Con la canna del fucile Felice mi ha spinto alla 127 e ha detto: "Ah già, ridammi il coltello!

Ho provato a ridarglielo ma non riuscivo a infilare la mano nella tasca.

"Faccio io!" Me lo ha preso. Ha aperto lo sportello, ha sollevato il sedile e ha detto: "Sali!

Sono entrato e davanti c'era Salvatore.

"Salvatore, che ci...?" Il resto mi è morto in bocca.

Era stato Salvatore. Aveva fatto la spia a Felice.

Salvatore mi ha guardato e si è girato dall'altra parte.

Mi sono seduto dietro senza dire una parola.

Felice si è piazzato al volante. "Caro Salvatore, sei stato proprio bravo. Qua la mano". Felice gliel'ha presa. "Avevi ragione, il ficcanaso c'era.

E io che non ti credevo". E' sceso. "Le promesse sono promesse. E quando Felice Natale fa una promessa, la mantiene. Guida. Vai piano però.

"Adesso?" ha chiesto Salvatore.

"E quando? Siediti al posto mio.

Felice è entrato dalla porta del passeggero e Salvatore è passato al volante.

"Qui è perfetto per imparare. Basta che segui la discesa e ogni tanto freni.

Salvatore Scardaccione mi aveva venduto per una lezione di guida.

"Così mi sfondi la macchina!" Felice urlava e con la testa incollata al para-brezza controllava il fondo sconnesso della strada. "Frena! Frena!

Salvatore arrivava appena sopra il volante e lo stringeva come se volesse spezzarlo.

Quando Felice mi era venuto addosso puntandomi il fucile contro mi ero pisciato sotto. Solo ora me ne accorgevo. Avevo i pantaloncini zuppi.

La macchina era piena di tafani impazziti. Sobbalzavamo sui dossi, ci infila-vamo nelle buche. Dovevo aggrapparmi alla maniglia.

Salvatore non mi aveva mai detto che voleva guidare la macchina. Poteva chiederlo al padre di insegnargli a portarla. L'avvocato non gli diceva mai di no. Perché lo aveva chiesto a Felice?

Mi faceva male tutto, le ginocchia sbucciate, le costole, un braccio e un polso. Ma soprattutto il cuore. Salvatore me lo aveva spezzato.

Era il mio migliore amico. Una volta, su un ramo del carrubo, avevamo pure fatto il giuramento d'amicizia eterna. Tornavamo insieme da scuola.

Se uno usciva prima, aspettava l'altro.

Are sens