Primo Levi - Se questo è un uomo fa domande, risponde con le mie parole; sono la parola d’ordine del campo in questi giorni: io stesso le ho ripetu-te come, a meno di particolari, me le sono sentite recitare da Chajim, che è in Lager da tre anni, e siccome è forte e robusto, è mirabilmente sicuro di sé; e io l’ho creduto.
Su questa esigua base anch’io ho attraversato la grande selezione dell’ottobre 1944 con inconcepibile tran-quillità. Ero tranquillo perché ero riuscito a mentirmi quanto era bastato. Il fatto che io non sia stato scelto è dipeso soprattutto dal caso e non dimostra che la mia fiducia fosse ben fondata.
Anche Monsieur Pinkert è, a priori, un condannato: basta vedere i suoi occhi. Mi chiama con un cenno, e con aria confidenziale mi racconta che ha saputo, da qual fonte non mi può dire, che effettivamente questa volta c’è del nuovo: la Santa Sede, per mezzo della Croce Rossa Internazionale... ...infine, garantisce lui personalmente che, sia per sé che per me, nel modo piú assoluto, è escluso ogni pericolo: da civile lui era, come è noto, addetto all’ambasciata belga di Varsavia.
In vari modi dunque, anche questi giorni di vigilia, che raccontati sembra dovessero essere tormentosi al di là di ogni limite umano, passano non molto diversamen-te dagli altri giorni.
La disciplina del Lager e della Buna non sono in alcun modo allentate, il lavoro, il freddo e la fame sono sufficienti a impegnare senza residui le nostre attenzioni.
Oggi è domenica lavorativa, Arbeitssonntag: si lavora fino alle tredici, poi si ritorna in campo per la doccia, la rasatura e il controllo generale della scabbia e dei pidocchi, e in cantiere, misteriosamente, tutti abbiamo saputo che la selezione sarà oggi.
La notizia è giunta, come sempre, circondata da un alone di particolari contraddittori e sospetti: stamattina stessa c’è stata selezione in infermeria; la percentuale è stata del sette per cento del totale, del trenta, del cin-Letteratura italiana Einaudi 133
Primo Levi - Se questo è un uomo quanta per cento dei malati. A Birkenau il camino del Crematorio fuma da dieci giorni. Deve essere fatto posto per un enorme trasporto in arrivo dal ghetto di Po-sen. I giovani dicono ai giovani che saranno scelti tutti i vecchi. I sani dicono ai sani che saranno scelti solo i malati. Saranno esclusi gli specialisti. Saranno esclusi gli ebrei tedeschi. Saranno esclusi i Piccoli Numeri. Sarai scelto tu. Sarò escluso io.
Regolarmente, a partire dalle tredici in punto, il cantiere si svuota e la schiera grigia interminabile sfila per due ore davanti alle due stazioni di controllo, dove co-me ogni giorno veniamo contati e ricontati, e davanti all’orchestra che, per due ore senza interruzione, suona come ogni giorno le marce sulle quali dobbiamo, all’entrata e all’uscita, sincronizzare i nostri passi.
Sembra che tutto vada come ogni giorno, il camino delle cucine fuma come di consueto, già si comincia la distribuzione della zuppa. Ma poi si è udita la campana, e allora si è capito che ci siamo.
Perché questa campana suona sempre all’alba, e allora è la sveglia, ma quando suona a metà giornata vuol di-re «Blocksperre», clausura in baracca, e questo avviene quando c’è selezione, perché nessuno vi si sottragga, e quando i selezionati partono per il gas, perché nessuno li veda partire.
Il nostro Blockältester conosce il suo mestiere. Si è accertato che tutti siano rientrati, ha fatto chiudere la porta a chiave, ha distribuito a ciascuno la scheda che porta la matricola, il nome, la professione, l’età e la nazionalità, e ha dato ordine che ognuno si spogli comple-tamente, conservando solo le scarpe. In questo modo, nudi e con la scheda in mano, attenderemo che la commissione arrivi alla nostra baracca. Noi siamo la baracca 48, ma non si può prevedere se si comincerà dalla barac-Letteratura italiana Einaudi 134
Primo Levi - Se questo è un uomo ca 1 o dalla 60. In ogni modo, per almeno un’ora possiamo stare tranquilli, e non c’è ragione che non ci mettiamo sotto le coperte delle cuccette per riscaldarci.
Già molti sonnecchiano, quando uno scatenarsi di comandi, di bestemmie e di colpi indica che la commissione è in arrivo. Il Blockältester e i suoi aiutanti, a pugni e a urli, a partire dal fondo del dormitorio, si cacciano davanti la turba dei nudi spaventati, e li stipano dentro il Tagesraum, che è la Direzione-Fureria. Il Tagesraum è una cameretta di sette metri per quattro: quando la caccia è finita, dentro il Tagesraum è compressa una compagine umana calda e compatta, che invade e riempie perfettamente tutti gli angoli ed esercita sulle pareti di legno una pressione tale da farle scricchiolare.
Ora siamo tutti nel Tagesraum, e, oltre che non esserci tempo, non c’è neppure posto per avere paura. La sensazione della carne calda che preme tutto intorno è singolare e non spiacevole. Bisogna aver cura di tener al-to il naso per trovare aria, e di non spiegazzare o perdere la scheda che teniamo in mano.
Il Blockältester ha chiuso la porta Tagesraum-dormitorio e ha aperto le altre due che dal Tagesraum e dal dormitorio dànno all’esterno. Qui, davanti alle due porte, sta l’arbitro del nostro destino, che è un sottufficiale delle SS. Ha a destra il Blockältester, a sinistra il furiere della baracca. Ognuno di noi, che esce nudo dal Tagesraum nel freddo dell’aria di ottobre, deve fare di corsa i pochi passi fra le due porte davanti ai tre, consegnare la scheda alla SS e rientrare per la porta del dormitorio. La SS, nella frazione di secondo fra due passaggi successivi, con uno sguardo di faccia e di schiena giudica della sorte di ognuno, e consegna a sua volta la scheda all’uomo alla sua destra o all’uomo alla sua sinistra, e questo è la vita o la morte di ciascuno di noi. In tre o quattro minu-Letteratura italiana Einaudi 135
Primo Levi - Se questo è un uomo ti una baracca di duecento uomini è «fatta», e nel pomeriggio l’intero campo di dodicimila uomini.
Io confitto nel carnaio del Tagesraum ho sentito gradualmente allentarsi la pressione umana intorno a me, e in breve è stata la mia volta. Come tutti, sono passato con passo energico ed elastico, cercando di tenere la testa alta, il petto in fuori e i muscoli contratti e rilevati.
Con la coda dell’occhio ho cercato di vedere alle mie spalle, e mi è parso che la mia scheda sia finita a destra.
A mano a mano che rientriamo nel dormitorio, possiamo rivestirci. Nessuno conosce ancora con sicurezza il proprio destino, bisogna anzitutto stabilire se le schede condannate sono quelle passate a destra o a sinistra. Ormai non è piú il caso di risparmiarsi l’un l’altro e di avere scrupoli superstiziosi. Tutti si accalcano intorno ai piú vecchi, ai piú denutriti, ai piú «mussulmani»; se le loro schede sono andate a sinistra, la sinistra è certamente il lato dei condannati.
Prima ancora che la selezione sia terminata, tutti già sanno che la sinistra è stata effettivamente la «schlechte Seite», il lato infausto. Ci sono naturalmente delle irregolarità: René per esempio, cosí giovane e robusto, è finito a sinistra: forse perché ha gli occhiali, forse perché cammina un po’ curvo come i miopi, ma piú probabilmente per una semplice svista: René è passato davanti alla commissione immediatamente prima di me, e potrebbe essere avvenuto uno scambio di schede. Ci ripen-so, ne parlo con Alberto, e conveniamo che l’ipotesi è verosimile: non so cosa ne penserò domani e poi; oggi essa non desta in me alcuna emozione precisa.
Parimenti di un errore deve essersi trattato per Sattler, un massiccio contadino transilvano che venti giorni fa era ancora a casa sua; Sattler non capisce il tedesco, non ha compreso nulla di quel che è successo e sta in un angolo a rattopparsi la camicia. Devo andargli a dire che non gli servirà piú la camicia?
Letteratura italiana Einaudi 136
Primo Levi - Se questo è un uomo Non c’è da stupirsi di queste sviste: l’esame è molto rapido e sommario, e d’altronde, per l’amministrazione del Lager, l’importante non è tanto che vengano elimi-nati proprio i piú inutili, quanto che si rendano spedita-mente liberi posti in una certa percentuale prestabilita.
Nella nostra baracca la selezione è ormai finita, però continua nelle altre, per cui siamo ancora sotto clausura.
Ma poiché frattanto i bidoni della zuppa sono arrivati, il Blockältester decide di procedere senz’altro alla distribuzione. Ai selezionati verrà distribuita doppia razione.
Non ho mai saputo se questa fosse un’iniziativa assurda-mente pietosa dei Blockälteste od un’esplicita disposizione delle SS, ma di fatto, nell’intervallo di due o tre giorni (talora anche molto piú lungo) fra la selezione e la partenza, le vittime a Monowitz-Auschwitz godevano di questo privilegio.
Ziegler presenta la gamella, riscuote la normale razione, poi resta lí in attesa. – Che vuoi ancora? – chiede il Blockältester: non gli risulta che a Ziegler spetti il supplemento, lo caccia via con una spinta, ma Ziegler ritorna e insiste umilmente: è stato proprio messo a sinistra, tutti l’hanno visto, vada il Blockältester a consultare le schede: ha diritto alla doppia razione. Quando l’ha otte-nuta, se ne va quieto in cuccetta a mangiare.
Adesso ciascuno sta grattando attentamente col cucchiaio il fondo della gamella per ricavarne le ultime briciole di zuppa, e ne nasce un tramestio metallico sonoro il quale vuol dire che la giornata è finita. A poco a poco prevale il silenzio, e allora, dalla mia cuccetta che è al terzo piano, si vede e si sente che il vecchio Kuhn prega, ad alta voce, col berretto in testa e dondolando il busto con violenza. Kuhn ringrazia Dio perché non è stato scelto Letteratura italiana Einaudi 137
Primo Levi - Se questo è un uomo Kuhn è un insensato. Non vede, nella cuccetta accanto, Beppo il greco che ha vent’anni, e dopodomani andrà in gas, e lo sa, e se ne sta sdraiato e guarda fisso la lampadina senza dire niente e senza pensare piú niente?
Non sa Kuhn che la prossima volta sarà la sua volta?
Non capisce Kuhn che è accaduto oggi un abominio che nessuna preghiera propiziatoria, nessun perdono, nessuna espiazione dei colpevoli, nulla insomma che sia in potere dell’uomo di fare, potrà risanare mai piú?
Se io fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Kuhn.
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Primo Levi - Se questo è un uomo KRAUS
Quando piove si vorrebbe poter piangere. È novembre, piove già da dieci giorni, e la terra è come il fondo di una palude. Ogni cosa di legno ha odore di funghi.
Se potessi fare dieci passi a sinistra, c’è la tettoia, sarei al riparo; mi basterebbe anche un sacco per coprirmi le spalle, o solamente la speranza di un fuoco dove asciu-garmi; o magari un cencio asciutto da mettermi fra la camicia e la schiena. Ci penso, fra un colpo di pala e l’altro, e credo proprio che avere un cencio asciutto sarebbe felicità positiva.
Ormai piú bagnati non si può diventare; solo bisogna cercare di muoversi il meno possibile, e soprattutto di non fare movimenti nuovi, perché non accada che qualche altra porzione di pelle venga senza necessità a contatto con gli abiti zuppi e gelidi.
È fortuna che oggi non tira vento. Strano, in qualche modo si ha sempre l’impressione di essere fortunati, che una qualche circostanza, magari infinitesima, ci trattenga sull’orlo della disperazione e ci conceda di vivere. Piove, ma non tira vento. Oppure, piove e tira vento: ma sai che stasera tocca a te il supplemento di zuppa, e allora anche oggi trovi la forza di tirar sera. O ancora, pioggia, vento, e la fame consueta, e allora pensi che se proprio dovessi, se proprio non ti sentissi piú altro nel cuore che sofferenza e noia, come a volte succede, che pare veramente di giacere sul fondo; ebbene, anche allora noi pensiamo che se vogliamo, in qualunque momento, possiamo pur sempre andare a toccare il reticolato elettrico, o buttarci sotto i treni in manovra, e allora finirebbe di piovere.
Da stamattina stiamo confitti nella melma, a gambe larghe, senza mai muovere i piedi dalle due buche che si Letteratura italiana Einaudi 139