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Add to favorite Se questo è un uomo – Primo Levi

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Ho in tasca un biglietto dell’Arbeitsdienst, dove è scritto che lo Häftling 174 517, come operaio specializzato, ha diritto a camicia e mutande nuove, e deve essere sbarbato ogni mercoledí.

La Buna dilaniata giace sotto la prima neve, silenziosa e rigida come uno smisurato cadavere; ogni giorno ab-baiano le sirene del Fliegeralarm; i russi sono a ottanta chilometri. La centrale elettrica è ferma, le colonne del Metanolo non esistono piú, tre dei quattro gasometri dell’acetilene sono saltati. Nel nostro Lager affluiscono ogni giorno alla rinfusa i prigionieri «recuperati» da tutti i campi della Polonia orientale; i meno vanno al lavoro, i piú proseguono senz’altro per Birkenau e per il Camino.

La razione è stata ancora ridotta. Il Ka-Be rigurgita, gli Letteratura italiana Einaudi 147

Primo Levi - Se questo è un uomo E-Häftlinge hanno portato in campo la scarlattina, la difterite e il tifo petecchiale.

Ma lo Häftling 174 517 è stato promosso specialista, e ha diritto a camicia e mutande nuove e deve essere raso ogni mercoledí. Nessuno può vantarsi di comprendere i tedeschi.

Siamo entrati in laboratorio timidi, sospettosi e diso-rientati come tre bestie selvagge che si addentrino in una grande città. Come è liscio e pulito il pavimento! Questo è un laboratorio sorprendentemente simile a qualunque altro laboratorio. Tre lunghi banchi di lavoro carichi di centinaia di oggetti familiari. La vetreria in un angolo a sgocciolare, la bilancia analitica, una stufa Heraeus, un termostato Höppler. L’odore mi fa trasalire come una frustata: il debole odore aromatico dei laboratori di chimica organica. Per un attimo, evocata con violenza brutale e subito svanita, la grande sala semibuia dell’univer-sità, il quarto anno, l’aria mite del maggio in Italia.

Herr Stawinoga ci assegna i posti di lavoro. Stawinoga è un tedesco-polacco ancor giovane, dal viso energico ma insieme triste e stanco. È anche lui Doktor: non in chimica, bensí (ne pas chercher à comprendre) in glot-tologia; tuttavia è lui il capo-laboratorio. Con noi non parla volentieri, ma non sembra mal disposto. Ci chiama

«Monsieur», il che è ridicolo e sconcertante.

In laboratorio la temperatura è meravigliosa: il termometro segna 24°. Noi pensiamo che ci possono anche mettere a lavare la vetreria, o a scopare il pavimento, o a trasportare le bombole di idrogeno, qualunque cosa pur di restare qui dentro, e il problema dell’inverno per noi sarà risolto. E poi, a un secondo esame, anche il problema della fame non dovrebbe essere difficile a risolversi.

Vorranno proprio perquisirci ogni giorno all’uscita? O

quando anche cosí fosse, ogni volta che domanderemo Letteratura italiana Einaudi 148

Primo Levi - Se questo è un uomo di andare alla latrina? Evidentemente no. E qui c’è sapone, c’è benzina, c’è alcool. Mi cucirò una tasca segreta nell’interno della giacca, farò una combinazione con l’inglese che lavora in officina e commercia in benzina.

Vedremo quanto severa sarà la sorveglianza: ma ormai ho un anno di Lager, e so che se uno vuole rubare, e ci si dedica seriamente, non esiste sorveglianza e non esistono perquisizioni che glielo possano impedire.

A quanto pare dunque, la sorte, battendo strade inso-spettate, ha fatto sí che noi tre, oggetto di invidia per i diecimila condannati, non avremo quest’inverno né freddo né fame. Questo vuol dire forti probabilità di non ammalarsi gravemente, di salvarsi dai congelamenti, di superare le selezioni. In queste condizioni, persone meno esperte di noi delle cose del Lager potrebbero anche essere tentate dalla speranza di sopravvivere e dal pensiero della libertà. Noi no, noi sappiamo come vanno queste faccende; tutto questo è un dono del destino, che come tale va goduto il piú intensamente possibile, e subito: ma del domani non v’è certezza. Al primo vetro che rom-però, al primo errore di misura, alla prima disattenzione, ritornerò a consumarmi nella neve e nel vento, fino a che sarò anch’io pronto per il Camino. E inoltre, chi può sapere che cosa accadrà quando i russi verranno?

Perché i russi verranno. Il suolo trema notte e giorno sotto i nostri piedi; nel vuoto silenzio della Buna il fragore sommesso e sordo delle artiglierie risuona ormai ininterrotto. Si respira un’aria tesa, un’aria di risoluzione. I polacchi non lavorano piú, i francesi camminano di nuovo a testa alta. Gli inglesi ci strizzano l’occhio, e ci salutano di nascosto con la «V» dell’indice e del medio; e non sempre di nascosto.

Ma i tedeschi sono sordi e ciechi, chiusi in una corazza di ostinazione e di deliberata sconoscenza. Ancora una volta hanno fissato la data dell’inizio della produzione di gomma sintetica: sarà per il 1° febbraio 1945. Fabbricano rifugi Letteratura italiana Einaudi 149

Primo Levi - Se questo è un uomo e trincee, riparano i danni, costruiscono; combattono, comandano, organizzano e uccidono. Che altro potrebbero fare? Sono tedeschi: questo loro agire non è meditato e de-liberato, ma segue dalla loro natura e dal destino che si so-no scelti. Non potrebbero fare altrimenti: se si ferisce il corpo di un agonizzante, la ferita incomincia tuttavia a cicatrizzare, anche se l’intero corpo morrà fra un giorno.

Adesso, ogni mattina, alla divisione delle squadre, il Kapo chiama prima di tutti gli altri noi tre del Laboratorio, «die drei Leute vom Labor». In campo, alla sera e al mattino, nulla mi distingue dal gregge, ma di giorno, al lavoro, io sto al coperto e al caldo, e nessuno mi picchia; rubo e vendo sapone e benzina, senza serio rischio, e forse avrò un buono per le scarpe di cuoio. Inoltre, si può chiamare lavoro questo mio? Lavorare è spingere vagoni, portare travi, spaccare pietre, spalare terra, stringere con le mani nude il ribrezzo del ferro gelato. Io invece sto seduto tutto il giorno, ho un quaderno e una matita, e mi hanno perfino dato un libro per rinfrescar-mi la memoria sui metodi analitici. Ho un cassetto dove posso riporre berretto e guanti, e quando voglio uscire basta che avvisi Herr Stawinoga, il quale non dice mai di no e se ritardo non fa domande; ha l’aria di soffrire nella sua carne per la rovina che lo circonda.

I compagni del Kommando mi invidiano, e hanno ragione; non dovrei forse dirmi contento? Ma non appena, al mattino, io mi sottraggo alla rabbia del vento e varco la soglia del laboratorio, ecco al mio fianco la compagna di tutti i momenti di tregua, del Ka-Be e delle domeniche di riposo: la pena del ricordarsi, il vecchio feroce struggimento di sentirsi uomo, che mi assalta co-me un cane all’istante in cui la coscienza esce dal buio.

Allora prendo la matita e il quaderno, e scrivo quello che non saprei dire a nessuno.

Letteratura italiana Einaudi 150

Primo Levi - Se questo è un uomo Poi ci sono le donne. Da quanti mesi non vedevo una donna? Non di rado si incontravano in Buna le operaie ucraine e polacche in pantaloni e giubba di cuoio, mas-sicce e violente come i loro uomini. Erano sudate e scar-migliate d’estate, imbottite di abiti spessi d’inverno; lavoravano di pala e di piccone, e non si sentivano accanto come donne.

Qui è diverso. Di fronte alle ragazze del laboratorio, noi tre ci sentiamo sprofondare di vergogna e di imba-razzo. Noi sappiamo qual è il nostro aspetto: ci vediamo l’un l’altro, e talora ci accade di specchiarci in un vetro terso. Siamo ridicoli e ripugnanti. Il nostro cranio è cal-vo il lunedí, e coperto di una corta muffa brunastra il sabato. Abbiamo il viso gonfio e giallo, segnato in permanenza dai tagli del barbiere frettoloso, e spesso da lividure e piaghe torpide; abbiamo il collo lungo e nodo-so come polli spennati. I nostri abiti sono incredibilmente sudici, macchiati di fango, sangue e untume; le brache di Kandel gli arrivano a metà polpacci, rivelando le caviglie ossute e pelose; la mia giacca mi spiove dalle spalle come da un attaccapanni di legno. Siamo pieni di pulci, e spesso ci grattiamo spudoratamente; siamo costretti a domandare di andare alla latrina con umiliante frequenza. I nostri zoccoli di legno sono insopportabil-mente rumorosi, e incrostati di strati alterni di fango e del grasso regolamentare.

E poi, al nostro odore noi siamo ormai avvezzi, ma le ragazze no, e non perdono occasione per manifestarce-lo. Non è l’odore generico di mal lavato, ma l’odore di Häftling, scialbo e dolciastro, che ci ha accolti al nostro arrivo in Lager ed esala tenace dai dormitori, dalle cucine, dai lavatoi e dai cessi del Lager. Lo si acquista subito e non lo si perde piú: «cosí giovane e già puzzi!», cosí si usa accogliere fra noi i nuovi arrivati.

A noi queste ragazze sembrano creature ultraterrene.

Sono tre giovani tedesche, piú Fräulein Liczba, polacca, Letteratura italiana Einaudi 151

Primo Levi - Se questo è un uomo che è la magazziniera, e Frau Mayer che è la segretaria.

Hanno la pelle liscia e rosea, begli abiti colorati, puliti e caldi, i capelli biondi, lunghi e ben ravviati; parlano con molta grazia e compostezza, e invece di tenere il laboratorio ordinato e pulito, come dovrebbero, fumano negli angoli, mangiano pubblicamente tartine di pane e mar-mellata, si limano le unghie, rompono molta vetreria e poi cercano di darne a noi la colpa; quando scopano ci scopano i piedi. Con noi non parlano, e arricciano il na-so quando ci vedono trascinarci per il laboratorio, squallidi e sudici, disadatti e malfermi sugli zoccoli. Una volta ho chiesto una informazione a Fräulein Liczba, e lei non mi ha risposto, ma si è volta a Stawinoga con viso infastidito e gli ha parlato rapidamente. Non ho inteso la frase, ma «Stinkjude» l’ho percepito chiaramente, e mi si sono strette le vene. Stawinoga mi ha detto che, per ogni questione di lavoro, ci dobbiamo rivolgere a lui direttamente.

Queste ragazze cantano, come cantano tutte le ragazze di tutti i laboratori del mondo, e questo ci rende profondamente infelici. Discorrono fra loro: parlano del tesseramento, dei loro fidanzati, delle loro case, delle fe-ste prossime...

– Domenica vai a casa? Io no: è cosí scomodo viaggiare!

– Io andrò a Natale. Due settimane soltanto, e poi sarà ancora Natale: non sembra vero, quest’anno è passato cosí presto!

... Quest’anno è passato presto. L’anno scorso a quest’ora io ero un uomo libero: fuori legge ma libero, avevo un nome e una famiglia, possedevo una mente avida e inquieta e un corpo agile e sano. Pensavo a molte lon-tanissime cose: al mio lavoro, alla fine della guerra, al bene e al male, alla natura delle cose e alle leggi che go-vernano l’agire umano; e inoltre alle montagne, a cantare, all’amore, alla musica, alla poesia. Avevo una enorme, radicata, sciocca fiducia nella benevolenza del Letteratura italiana Einaudi 152

Primo Levi - Se questo è un uomo destino, e uccidere e morire mi parevano cose estranee e letterarie. I miei giorni erano lieti e tristi, ma tutti li rim-piangevo, tutti erano densi e positivi; l’avvenire mi stava davanti come una grande ricchezza. Della mia vita di allora non mi resta oggi che quanto basta per soffrire la fa-me e il freddo; non sono piú abbastanza vivo per saper-mi sopprimere.

Se parlassi meglio tedesco, potrei provare a spiegare tutto questo a Frau Mayer; ma certo non capirebbe, o se fosse cosí intelligente e cosí buona da capire, non potrebbe sostenere la mia vicinanza, e mi fuggirebbe, come si fugge il contatto con un malato incurabile o con un condannato a morte. O forse mi regalerebbe un buono per mezzo litro di zuppa civile. Quest’anno è passato presto.

Letteratura italiana Einaudi 153

Primo Levi - Se questo è un uomo L’ULTIMO

Ormai Natale è vicino. Alberto ed io camminiamo spalla contro spalla nella lunga schiera grigia, curvi in avanti per resistere meglio al vento. È notte e nevica; non è facile mantenersi in piedi, ancora piú difficile mantenere il passo e l’allineamento: ogni tanto qualcuno davanti a noi incespica e rotola nel fango nero, bisogna stare attenti a evitarlo e a riprendere il nostro posto nella fila.

Da quando io sono in Laboratorio, Alberto ed io lavoriamo separati, e, nella marcia di ritorno, abbiamo sempre molte cose da dirci. Di solito non si tratta di co-se molto elevate: del lavoro, dei compagni, del pane, del freddo; ma da una settimana c’è qualcosa di nuovo: Lorenzo ci porta ogni sera tre o quattro litri della zuppa dei lavoratori civili italiani. Per risolvere il problema del trasporto, abbiamo dovuto procurarci ciò che qui si chiama una «menaschka», vale a dire una gamella fuori serie di lamiera zincata, piuttosto un secchio che una gamella. Silberlust, il lattoniere, ce l’ha fabbricata con due pezzi di grondaia, in cambio di tre razioni di pane: è uno splendido recipiente solido e capace, dal caratteristico aspetto di arnese neolitico.

In tutto il campo solo qualche greco possiede una menaschka piú grande della nostra. Questo, oltre ai vantaggi materiali, ha comportato un sensibile migliora-mento della nostra condizione sociale. Una menaschka come la nostra è un diploma di nobiltà, è un segno aral-dico: Henri sta diventando nostro amico e parla con noi da pari a pari; L. ha assunto un tono paterno e condi-scendente; quanto a Elias, ci è perennemente alle costole, e mentre da una parte ci spia con tenacia per scoprire il segreto della nostra «organisacja», dall’altra ci subissa di incomprensibili dichiarazioni di solidarietà e di affetto, e ci introna con una litania di portentose oscenità e Letteratura italiana Einaudi 154

Primo Levi - Se questo è un uomo bestemmie italiane e francesi che ha imparate chissà do-ve, e con le quali intende palesemente onorarci.

Are sens

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