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Add to favorite Se questo è un uomo – Primo Levi

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Schenck era un commerciante slovacco, ebreo: convalescente di tifo, aveva un formidabile appetito. Cosí pure Towarowski, ebreo franco-polacco, sciocco e ciar-liero, ma utile alla nostra comunità per il suo comunica-tivo ottimismo.

Mentre dunque i malati lavoravano di coltello, ciascuno seduto sulla sua cuccetta, Charles ed io ci dedicam-mo alla ricerca di una sede possibile per le operazioni di cucina.

Una indescrivibile sporcizia aveva invaso ogni reparto del campo. Colmate tutte le latrine, della cui manutenzione naturalmente nessuno piú si curava, i dissenterici (erano piú di un centinaio) avevano insozzato ogni angolo del Ka-Be, riempito tutti i secchi, tutti i bidoni già destinati al rancio, tutte le gamelle. Non si poteva muovere un passo senza sorvegliare il piede; al buio era impossibile spostarsi. Pur soffrendo per il freddo, che si manteneva acuto, pensavamo con raccapriccio a quello che sarebbe accaduto se fosse sopraggiunto il disgelo: le Letteratura italiana Einaudi 175

Primo Levi - Se questo è un uomo infezioni avrebbero dilagato senza riparo, il fetore si sarebbe fatto soffocante, e inoltre, sciolta la neve, saremmo rimasti definitivamente senz’acqua.

Dopo una lunga ricerca, trovammo infine, in un locale già adibito a lavatoio, pochi palmi di pavimento non eccessivamente imbrattato. Vi accendemmo un fuoco vivo, poi, per risparmiare tempo e complicazioni, ci disinfet-tammo le mani frizionandole con cloramina mista a neve.

La notizia che una zuppa era in cottura si sparse rapidamente fra la folla dei semivivi; si formò sulla porta un assembramento di visi famelici. Charles, il mestolo levato, tenne loro un vigoroso breve discorso che, pur essendo in francese, non abbisognava di traduzione.

I piú si dispersero, ma uno si fece avanti: era un pari-gino, sarto di classe (diceva lui), ammalato di polmoni.

In cambio di un litro di zuppa si sarebbe messo a nostra disposizione per tagliarci abiti dalle numerose coperte rimaste in campo.

Maxime si dimostrò veramente abile. Il giorno dopo Charles ed io possedevamo giacca, brache e guantoni di ruvido tessuto a colori vistosi.

A sera, dopo la prima zuppa distribuita con entusiasmo e divorata con avidità, il grande silenzio della pianura fu rotto. Dalle nostre cuccette, troppo stanchi per essere profondamente inquieti, tendevamo l’orecchio agli scoppi di misteriose artiglierie, che parevano localiz-zate in tutti i punti dell’orizzonte, e ai sibili dei proiettili sui nostri capi.

Io pensavo che la vita fuori era bella, e sarebbe ancora stata bella, e sarebbe stato veramente un peccato lasciarsi sommergere adesso. Svegliai quelli tra i malati che sonnecchiavano, e quando fui sicuro che tutti ascol-tavano, dissi loro, in francese prima, nel mio migliore tedesco poi, che tutti dovevano pensare ormai di ritornare a casa, e che, per quanto dipendeva da noi, alcune cose era necessario fare, altre necessario evitare. Che ognuno Letteratura italiana Einaudi 176

Primo Levi - Se questo è un uomo conservasse attentamente la sua propria gamella e il cucchiaio; che nessuno offrisse ad altri la zuppa che eventualmente gli fosse avanzata; nessuno scendesse dal letto se non per andare alla latrina; chi avesse bisogno di un qualsiasi servizio, non si rivolgesse ad altri che a noi tre; Arthur particolarmente era incaricato di vigilare sulla disciplina e sull’igiene, e doveva ricordare che era meglio lasciare gamelle e cucchiai sporchi, piuttosto che la-varli col pericolo di scambiare quelli di un difterico con quelli di un tifoso.

Ebbi l’impressione che i malati fossero ormai troppo indifferenti a ogni cosa per curarsi di quanto avevo detto; ma avevo molta fiducia nella diligenza di Arthur.

22 gennaio.

Se è coraggioso chi affronta a cuor leggero un grave pericolo, Charles ed io quel mattino fummo coraggiosi. Estendemmo le nostre esplorazioni al campo delle SS, subito fuori del reticolato elettrico.

Le guardie del campo dovevano essere partite con molta fretta. Trovammo sui tavoli piatti pieni per metà di minestra ormai congelata, che divorammo con intenso godimento; boccali ancor colmi di birra trasformata in ghiaccio giallastro, una scacchiera con una partita incominciata. Nelle camerate, una quantità di roba preziosa.

Ci caricammo una bottiglia di vodka, medicinali vari, giornali e riviste e quattro ottime coperte imbottite, una delle quali è oggi nella mia casa di Torino. Lieti e inco-scienti, riportammo nella casetta il frutto della sortita, affidandolo all’amministrazione di Arthur. Solo a sera si seppe quanto era successo forse mezz’ora piú tardi.

Alcune SS, forse disperse, ma armate, penetrarono nel campo abbandonato. Trovarono che diciotto francesi si erano stabiliti nel refettorio della SS-Waffe. Li ucci-sero tutti metodicamente, con un colpo alla nuca, alli-neando poi i corpi contorti sulla neve della strada; indi Letteratura italiana Einaudi 177

Primo Levi - Se questo è un uomo se ne andarono. I diciotto cadaveri restarono esposti fi-no all’arrivo dei russi; nessuno ebbe la forza di dar loro sepoltura.

D’altronde, in tutte le baracche v’erano ormai letti occupati da cadaveri, rigidi come legno, che nessuno si curava piú di rimuovere. La terra era troppo gelata perché vi si potessero scavare fosse; molti cadaveri furono accatastati in una trincea, ma già fin dai primi giorni il mucchio emergeva dallo scavo ed era turpemente visibile dalla nostra finestra.

Solo una parete di legno ci separava dal reparto dei dissenterici. Qui molti erano i moribondi, molti i morti. Il pavimento era ricoperto da uno strato di escrementi con-gelati. Nessuno aveva piú forza di uscire dalle coperte per cercare cibo, e chi prima lo aveva fatto non era ritornato a soccorrere i compagni. In uno stesso letto, avvinghiati per resistere meglio al freddo, proprio accanto alla parete di-visoria, stavano due italiani: li sentivo spesso parlare, ma poiché io invece non parlavo che francese, per molto tempo non si accorsero della mia presenza. Udirono quel giorno per caso il mio nome, pronunziato all’italiana da Charles, e da allora non smisero di gemere e di implorare.

Naturalmente avrei voluto aiutarli, avendone i mezzi e la forza; se non altro per far smettere l’ossessione delle loro grida. A sera, quando tutti i lavori furono finiti, vin-cendo la fatica e il ribrezzo, mi trascinai a tentoni per il corridoio lercio e buio, fino al loro reparto, con una gamella d’acqua e gli avanzi della nostra zuppa del giorno.

Il risultato fu che da allora, attraverso la sottile parete, l’intera sezione diarrea chiamò giorno e notte il mio no-me, con le inflessioni di tutte le lingue d’Europa, accompagnato da preghiere incomprensibili, senza che io potessi comunque porvi riparo. Mi sentivo prossimo a piangere, li avrei maledetti.

La notte riservò brutte sorprese.

Lakmaker, della cuccetta sotto la mia, era uno sciagura-Letteratura italiana Einaudi 178

Primo Levi - Se questo è un uomo to rottame umano. Era (od era stato) un ebreo olandese di diciassette anni, alto, magro e mite. Era in letto da tre me-si, non so come fosse sfuggito alle selezioni. Aveva avuto successivamente il tifo e la scarlattina; intanto gli si era pa-lesato un grave vizio cardiaco ed era brutto di piaghe da decubito, tanto che non poteva ormai giacere che sul ventre. Con tutto ciò, un appetito feroce; non parlava che olandese, nessuno di noi era in grado di comprenderlo Forse causa di tutto fu la minestra di cavoli e rape, di cui Lakmaker aveva voluto due razioni. A metà notte gemette, poi si buttò dal letto. Cercava di raggiungere la latrina, ma era troppo debole e cadde a terra, piangendo e gridando forte.

Charles accese la luce (l’accumulatore si dimostrò provvidenziale) e potemmo constatare la gravità dell’incidente. Il letto del ragazzo e il pavimento erano imbrat-tati. L’odore nel piccolo ambiente diventava rapidamente insopportabile. Non avevamo che una minima scorta d’acqua, e non coperte né pagliericci di ricambio. E il poveretto, tifoso, era un terribile focolaio di infezione; né si poteva certo lasciarlo tutta la notte sul pavimento a gemere e tremare di freddo in mezzo alla lordura.

Charles discese dal letto e si rivestí in silenzio. Mentre io reggevo il lume, ritagliò col coltello dal pagliericcio e dalle coperte tutti i punti sporchi; sollevò da terra Lakmaker colla delicatezza di una madre, lo ripulí alla meglio con paglia estratta dal saccone, e lo ripose di peso nel letto rifatto, nell’unica posizione in cui il disgraziato poteva giacere; raschiò il pavimento con un pezzo di lamiera; stemperò un po’ di cloramina, e infine cosparse di disinfettante ogni cosa e anche se stesso.

Io misuravo la sua abnegazione dalla stanchezza che avrei dovuto superare in me per fare quanto lui faceva.

Letteratura italiana Einaudi 179

Primo Levi - Se questo è un uomo23 gennaio.

Le nostre patate erano finite. Circolava da giorni per le baracche la voce che un enorme silo di patate fosse situato da qualche parte, fuori del filo spinato, non lontano dal campo.

Qualche pioniere ignorato deve aver fatto pazienti ri-cerche, o qualcuno doveva sapere con precisione il luogo: di fatto, il mattino del 23 un tratto di filo spinato era stato abbattuto, e una doppia processione di miserabili usciva ed entrava dall’apertura.

Charles ed io partimmo, nel vento della pianura livi-da. Fummo oltre la barriera abbattuta.

– Dis donc, Primo, on est dehors!

Era cosí: per la prima volta dal giorno del mio arresto, mi trovavo libero, senza custodi armati, senza reticolati fra me e la mia casa.

A forse quattrocento metri dal campo, giacevano le patate: un tesoro. Due fosse lunghissime, piene di patate, e ricoperte di terra alternata con paglia a difesa dal gelo. Nessuno sarebbe piú morto di fame.

Ma l’estrazione non era lavoro da nulla. A causa del gelo, la superficie del terreno era dura come marmo.

Con duro lavoro di piccone si riusciva a perforare la crosta e a mettere a nudo il deposito; ma i piú preferivano introdursi nei fori abbandonati da altri, spingendosi molto profondi e passando le patate ai compagni che stavano all’esterno.

Un vecchio ungherese era stato sorpreso colà dalla morte. Giaceva irrigidito nell’atto dell’affamato: capo e spalle sotto il cumulo di terra, il ventre nella neve, tendeva le ma-ni alle patate. Chi venne dopo spostò il cadavere di un metro, e riprese il lavoro attraverso l’apertura resasi libera.

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