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Add to favorite Se questo è un uomo – Primo Levi

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di calore, ma a ogni ora che passava, la temperatura si andava abbassando, e si comprendeva che in breve avremmo sofferto il freddo. Fuori ci dovevano essere almeno 20° sotto lo zero; la maggior parte dei malati non aveva che la camicia, e alcuni nemmeno quella.

Nessuno sapeva quale fosse la nostra condizione. Al-Letteratura italiana Einaudi 166

Primo Levi - Se questo è un uomo cune SS erano rimaste, alcune torrette di guardia erano ancora occupate.

Verso mezzogiorno un maresciallo delle SS fece il gi-ro delle baracche. Nominò in ognuna un capo-baracca scegliendolo fra i non-ebrei rimasti, e dispose che fosse immediatamente fatto un elenco dei malati, distinti in ebrei e non-ebrei. La cosa pareva chiara. Nessuno si stupí che i tedeschi conservassero fino all’ultimo il loro amore nazionale per le classificazioni, e, nessun ebreo pensò seriamente di vivere fino al giorno successivo.

I due francesi non avevano capito ed erano spaventati. Tradussi loro di malavoglia il discorso della SS; trovavo irritante che avessero paura: non avevano ancora un mese di Lager, non avevano quasi ancora fame, non erano neppure ebrei, e avevano paura.

Fu fatta ancora una distribuzione di pane. Passai il pomeriggio a leggere il libro lasciato dal medico: era molto interessante e lo ricordo con bizzarra precisione. Feci anche una visita al reparto accanto, in cerca di coperte: di là molti malati erano stati messi in uscita, le loro coperte erano rimaste libere. Ne presi con me alcune abbastanza calde.

Quando seppe che venivano dal Reparto Dissenteria Arthur arricciò il naso: – Y-avait point besoin de le dire

–; infatti erano macchiate. Io pensavo che in ogni modo, dato ciò che ci aspettava, sarebbe stato meglio dormire ben coperti.

Fu presto notte, ma la luce elettrica funzionava ancora.

Vedemmo con tranquillo spavento che all’angolo della baracca stava una SS armata. Non avevo voglia di parlare, e non provavo timore se non nel modo esterno e condi-zionale che ho detto. Continuai a leggere fino a tarda ora.

Non vi erano orologi, ma dovevano essere le ventitre quando tutte le luci si spensero, anche quelle dei riflettori sulle torrette di guardia. Si vedevano lontano i fasci dei fotoelettrici. Fiorí in cielo un grappolo di luci inten-Letteratura italiana Einaudi 167

Primo Levi - Se questo è un uomo se, che si mantennero immobili illuminando crudamente il terreno. Si sentiva il rombo degli apparecchi.

Poi cominciò il bombardamento. Non era cosa nuova, scesi a terra, infilai i piedi nudi nelle scarpe e attesi.

Sembrava lontano, forse su Auschwitz.

Ma ecco un’esplosione vicina, e, prima di poter formulare un pensiero, una seconda e una terza da sfonda-re le orecchie. Si sentirono vetri rovinare, la baracca oscillò, cadde a terra il cucchiaio che tenevo infisso in una commessura della parete di legno.

Poi parve finito. Cagnolati, un giovane contadino, egli pure dei Vosgi, non doveva aver mai visto una in-cursione: era uscito nudo dal letto, si era appiattato in un angolo e urlava.

Dopo pochi minuti fu evidente che il campo era stato colpito. Le baracche bruciavano con violenza, altre due erano state polverizzate, ma erano tutte baracche vuote.

Arrivarono decine di malati, nudi e miserabili, da una baracca minacciata dal fuoco: chiedevano ricovero. Impossibile accoglierli. Insistettero, supplicando e minac-ciando in molte lingue: dovemmo barricare la porta. Si trascinarono altrove, illuminati dalle fiamme, scalzi nella neve in fusione. A molti pendevano dietro i bendaggi disfatti. Per la nostra baracca non pareva ci fosse pericolo, a meno che il vento non girasse.

I tedeschi non c’erano piú. Le torrette erano vuote.

Oggi io penso che, se non altro per il fatto che un Auschwitz è esistito, nessuno dovrebbe ai nostri giorni parlare di Provvidenza: ma è certo che in quell’ora il ricordo dei salvamenti biblici nelle avversità estreme passò come un vento per tutti gli animi.

Non si poteva dormire; un vetro era rotto e faceva Letteratura italiana Einaudi 168

Primo Levi - Se questo è un uomo molto freddo. Pensavo che avremmo dovuto cercare una stufa da installare, e procurarci carbone, legna e viveri. Sapevo che tutto questo era necessario, ma senza l’appoggio di qualcuno non avrei mai avuto l’energia di metterlo in atto. Ne parlai coi due francesi.

19 gennaio.

I francesi furono d’accordo. Ci alzam-mo all’alba, noi tre. Mi sentivo malato e inerme, avevo freddo e paura.

Gli altri malati ci guardarono con curiosità rispettosa: non sapevamo che ai malati non era permesso uscire dal Ka-Be? E se i tedeschi non erano ancora tutti partiti?

Ma non dissero nulla, erano contenti che ci fosse qualcuno per fare la prova.

I francesi non avevano alcuna idea della topografia del Lager, ma Charles era coraggioso e robusto, e Arthur era sagace e aveva un buon senso pratico di contadino. Uscimmo nel vento di una gelida giornata di nebbia, malamente avvolti in coperte.

Quello che vedemmo non assomiglia a nessuno spettacolo che io abbia mai visto né sentito descrivere.

Il Lager, appena morto, appariva già decomposto.

Niente piú acqua ed elettricità: finestre e porte sfondate sbattevano nel vento, stridevano le lamiere sconnesse dei tetti, e le ceneri dell’incendio volavano alto e lontano.

All’opera delle bombe si aggiungeva l’opera degli uomini: cenciosi, cadenti, scheletrici, i malati in grado di muoversi si trascinavano per ogni dove, come una invasione di vermi, sul terreno indurito dal gelo. Avevano rovistato tutte le baracche vuote in cerca di alimenti e di legna; avevano vio-lato con furia insensata le camere degli odiati Blockälteste, grottescamente adorne, precluse fino al giorno prima ai comuni Häftlinge; non piú padroni dei propri visceri, avevano insozzato dovunque, inquinando la preziosa neve, unica sorgente d’acqua ormai per l’intero campo.

Letteratura italiana Einaudi 169

Primo Levi - Se questo è un uomo Attorno alle rovine fumanti delle baracche bruciate, gruppi di malati stavano applicati al suolo, per succhiar-ne l’ultimo calore. Altri avevano trovato patate da qualche parte, e le arrostivano sulle braci dell’incendio, guardandosi intorno con occhi feroci. Pochi avevano avuto la forza di accendersi un vero fuoco, e vi facevano fondere la neve in recipienti di fortuna.

Ci dirigemmo alle cucine piú in fretta che potemmo, ma le patate erano già quasi finite. Ne riempimmo due sacchi, e li lasciammo in custodia ad Arthur. Tra le ma-cerie del Prominenzblock, Charles ed io trovammo finalmente quanto cercavamo: una pesante stufa di ghisa, con tubi ancora utilizzabili: Charles accorse con una carriola e caricammo; poi lasciò a me l’incarico di por-tarla in baracca e corse ai sacchi. Là trovò Arthur svenu-to per il freddo; Charles si caricò entrambi i sacchi e li portò al sicuro, poi si occupò dell’amico.

Intanto io, reggendomi a stento, cercavo di manovrare del mio meglio la pesante carriola. Si udí un fremito di motore, ed ecco, una SS in motocicletta entrò nel campo.

Come sempre, quando vedevamo i loro visi duri, mi sentii sommergere di terrore e di odio. Era troppo tardi per scomparire, e non volevo abbandonare la stufa. Il regolamento del Lager prescriveva di mettersi sull’attenti e di scoprirsi il capo. Io non avevo cappello ed ero impacciato dalla coperta. Mi allontanai qualche passo dalla carriola e feci una specie di goffo inchino. Il tedesco passò oltre senza vedermi, svoltò attorno a una baracca e se ne andò. Seppi piú tardi quale pericolo avevo corso.

Raggiunsi finalmente la soglia della nostra baracca, e sbarcai la stufa nelle mani di Charles. Ero senza fiato per lo sforzo, vedevo danzare grandi macchie nere.

Si trattava di metterla in opera. Avevamo tutti e tre le mani paralizzate, e il metallo gelido si incollava alla pelle delle dita, ma era urgente che la stufa funzionasse, per scaldarci e per bollire le patate. Avevamo trovato legna e Letteratura italiana Einaudi 170

Primo Levi - Se questo è un uomo carbone, e anche brace proveniente dalle baracche bruciate.

Quando fu riparata la finestra sfondata, e la stufa cominciò a diffondere calore, parve che in ognuno qualcosa si distendesse, e allora avvenne che Towarowski (un franco-polacco di ventitre anni, tifoso) propose agli altri malati di offrire ciascuno una fetta di pane a noi tre che lavoravamo, e la cosa fu accettata.

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