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Add to favorite Se questo è un uomo – Primo Levi

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Primo Levi - Se questo è un uomo non abbiamo sapone, e durante la forzata assenza è facile essere derubati). Poiché la doccia è obbligatoria, occorre ai Blockälteste un sistema di controllo che permet-ta di applicare sanzioni a chi vi si sottrae: per lo piú, un fiduciario del Block si installa sulla porta, e tasta come Polifemo chi esce per sentire se è bagnato; chi lo è, riceve uno scontrino, chi è asciutto riceve cinque nerbate.

Solo presentando lo scontrino si può riscuotere il pane al mattino seguente.

L’attenzione di Alberto si è appuntata sugli scontrini.

In genere, non sono altro che miseri biglietti di carta, che vengono riconsegnati umidi, spiegazzati e irricono-scibili. Alberto conosce i tedeschi, e i Blockälteste sono tutti tedeschi o di scuola tedesca: amano l’ordine, il sistema, la burocrazia; inoltre, pur essendo dei tangheri maneschi e iracondi, nutrono un amore infantile per gli oggetti luccicanti e variopinti.

Cosí impostato il tema, eccone il brillante svolgimen-to. Alberto ha sottratto sistematicamente una serie di targhette dello stesso colore; da ognuna, ha ricavato tre dischetti (lo strumento necessario, un foratappi, l’ho organizzato io in Laboratorio): quando sono stati pronti duecento dischetti, sufficienti per un Block, si è presentato al Blockältester, e gli ha offerto la «Spezialität» per la folle quotazione di dieci razioni di pane, a consegna scalare. Il cliente ha accettato con entusiasmo, e ora Alberto dispone di un portentoso articolo di moda da offrire a colpo sicuro in tutte le baracche, un colore per baracca (nessun Blockältester vorrà passare per tacca-gno o misoneista), e, quel che piú conta, non ha da temere concorrenti, perché lui solo ha accesso alla materia prima. Non è ben studiato?

Di queste cose parliamo, incespicando da una pozzanghera all’altra, fra il nero del cielo e il fango della strada. Parliamo e camminiamo. Io porto le due gamelle Letteratura italiana Einaudi 157

Primo Levi - Se questo è un uomo vuote, Alberto il peso della menaschka dolcemente piena. Ancora una volta la musica della banda, la cerimonia del «Mützen ab», giú i berretti di scatto davanti alle SS; ancora una volta Arbeit Macht Frei, e l’annunzio del Kapo: – Kommando 98, zwei und sechzig Häftlinge, Starke stimmt, – sessantadue prigionieri, il conto torna.

Ma la colonna non si è sciolta, ci hanno fatto marciare fi-no in piazza dell’Appello. Ci sarà appello? Non è l’appello. Abbiamo visto la luce cruda del faro, e il profilo ben noto della forca.

Ancora per piú di un’ora le squadre hanno continua-to a rientrare, col trepestio duro delle suole di legno sulla neve gelata. Quando poi tutti i Kommandos sono ritornati, la banda ha taciuto a un tratto, e una rauca voce tedesca ha imposto il silenzio. Nell’improvvisa quiete, si è levata un’altra voce tedesca, e nell’aria buia e nemica ha parlato a lungo con collera. Infine il condannato è stato introdotto nel fascio di luce del faro.

Tutto questo apparato, e questo accanito cerimoniale, non sono nuovi per noi. Da quando io sono in campo, ho già dovuto assistere a tredici pubbliche impiccagioni; ma le altre volte si trattava di comuni reati, furti alla cucina, sabotaggi, tentativi di fuga. Oggi si tratta di altro.

Il mese scorso, uno dei crematori di Birkenau è stato fatto saltare. Nessuno di noi sa (e forse nessuno saprà mai) come esattamente l’impresa sia stata compiuta: si parla del Sonderkommando, del Kommando Speciale addetto alle camere a gas e ai forni, che viene esso stesso periodicamente sterminato, e che viene tenuto scrupolo-samente segregato dal resto del campo. Resta il fatto che a Birkenau qualche centinaio di uomini, di schiavi inermi e spossati come noi, hanno trovato in se stessi la forza di agire, di maturare i frutti del loro odio.

L’uomo che morrà oggi davanti a noi ha preso parte in qualche modo alla rivolta. Si dice che avesse relazioni cogli insorti di Birkenau, che abbia portato armi nel no-Letteratura italiana Einaudi 158

Primo Levi - Se questo è un uomo stro campo, che stesse tramando un ammutinamento si-multaneo anche tra noi. Morrà oggi sotto i nostri occhi: e forse i tedeschi non comprenderanno che la morte so-litaria, la morte di uomo che gli è stata riservata, gli frut-terà gloria e non infamia.

Quando finí il discorso del tedesco, che nessuno poté intendere, di nuovo si levò la prima voce rauca: – Habt ihr verstanden? – (Avete capito?) Chi rispose «Jawohl»? Tutti e nessuno: fu come se la nostra maledetta rassegnazione prendesse corpo di per sé, si facesse voce collettivamente al di sopra dei nostri capi. Ma tutti udirono il grido del morente, esso penetrò le grosse antiche barriere di inerzia e di remissione, percosse il centro vivo dell’uomo in ciascuno di noi:

– Kameraden, ich bin der Letzte! – (Compagni, io so-no l’ultimo!)

Vorrei poter raccontare che di fra noi, gregge abietto, una voce si fosse levata, un mormorio, un segno di as-senso. Ma nulla è avvenuto. Siamo rimasti in piedi, curvi e grigi, a capo chino, e non ci siamo scoperta la testa che quando il tedesco ce l’ha ordinato. La botola si è aperta, il corpo ha guizzato atroce; la banda ha ripreso a suonare, e noi, nuovamente ordinati in colonna, abbiamo sfi-lato davanti agli ultimi fremiti del morente.

Ai piedi della forca, le SS ci guardano passare con occhi indifferenti: la loro opera è compiuta, e ben compiuta. I russi possono ormai venire: non vi sono piú uomini forti fra noi, l’ultimo pende ora sopra i nostri capi, e per gli altri, pochi capestri sono bastati. Possono venire i russi: non troveranno che noi domati, noi spenti, degni ormai della morte inerme che ci attende Distruggere l’uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla piú avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice.

Letteratura italiana Einaudi 159

Primo Levi - Se questo è un uomo Alberto ed io siamo rientrati in baracca, e non abbiamo potuto guardarci in viso. Quell’uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo del nostro, se questa condizione, da cui noi siamo stati rotti, non ha potuto piegarlo.

Perché, anche noi siamo rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e a reggere alla fatica e al freddo, anche se ritorneremo.

Abbiamo issato la menaschka sulla cuccetta, abbiamo fatto la ripartizione, abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana della fame, e ora ci opprime la vergogna.

Letteratura italiana Einaudi 160

Primo Levi - Se questo è un uomo STORIA DI DIECI GIORNI

Già da molti mesi ormai si sentiva a intervalli il rombo dei cannoni russi, quando, l’11 gennaio 1945, mi am-malai di scarlattina e fui nuovamente ricoverato in Ka-Be. «Infektionsabteilung»: vale a dire una cameretta, per verità assai pulita, con dieci cuccette su due piani; un armadio; tre sgabelli, e la seggetta col secchio per i bisogni corporali. Il tutto in tre metri per cinque.

Sulle cuccette superiori era disagevole salire, non c’era scala; perciò quando un malato si aggravava veniva trasferito alle cuccette inferiori.

Quando io entrai, fui il tredicesimo: degli altri dodici, quattro avevano la scarlattina, due francesi «politici» e due ragazzi ebrei ungheresi; c’erano poi tre difterici, due tifosi, e uno affetto da una ributtante risipola faccia-le. I due rimanenti avevano piú di una malattia ed erano incredibilmente deperiti.

Avevo febbre alta. Ebbi la fortuna di avere una cuccetta tutta per me; mi coricai con sollievo, sapevo di avere diritto a quaranta giorni di isolamento e quindi di riposo, e mi ritenevo abbastanza ben conservato da non dover temere le conseguenze della scarlattina da una parte, e le selezioni dall’altra.

Grazie alla mia ormai lunga esperienza delle cose del campo, ero riuscito a portare con me le mie cose personali: una cintura di fili elettrici intrecciati; il cucchiaio-coltello; un ago con tre gugliate; cinque bottoni; e infine, diciotto pietrine per acciarino che avevo rubato in Laboratorio. Da ognuna di queste, assottigliandola pazientemente col coltello, si potevano ricavare tre pietrine piú piccole, del calibro adatto a un normale accendi-sigaro. Erano state valutate sei o sette razioni di pane.

Passai quattro giorni tranquilli. Fuori nevicava e faceva molto freddo, ma la baracca era riscaldata. Ricevevo Letteratura italiana Einaudi 161

Primo Levi - Se questo è un uomo forti dosi di sulfamidico, soffrivo di una nausea intensa e stentavo a mangiare; non avevo voglia di attaccare discorso.

I due francesi con la scarlattina erano simpatici. Erano due provinciali dei Vosgi, entrati in campo da pochi giorni con un grosso trasporto di civili rastrellati dai tedeschi in ritirata dalla Lorena. Il piú anziano si chiamava Arthur, era contadino, piccolo e magro. L’altro, suo compagno di cuccetta, si chiamava Charles, era maestro di scuola e aveva trentadue anni; invece della camicia gli era toccata una canottiera estiva comicamente corta.

Il quinto giorno venne il barbiere. Era un greco di Salonicco; solo il bello spagnolo della sua gente, ma capiva qualche parola di tutte le lingue che si parlavano in campo. Si chiamava Askenazi, ed era in campo da quasi tre anni; non so come avesse potuto ottenere la carica di

«Frisör» del Ka-Be: infatti non parlava tedesco né polacco e non era eccessivamente brutale. Prima che entrasse, lo avevo sentito parlare a lungo concitatamente nel corridoio col medico, che era suo compatriota. Mi parve che avesse una espressione insolita, ma poiché la mimica dei levantini non corrisponde alla nostra, non compren-devo se fosse spaventato, o lieto, o emozionato. Mi conosceva, o almeno sapeva che io ero italiano.

Quando fu il mio turno, scesi laboriosamente dalla cuccetta. Gli chiesi in italiano se c’era qualcosa di nuovo: egli interruppe rasatura, strizzò gli occhi in modo so-lenne e allusivo, indicò la finestra col mento, poi fece colla mano un gesto ampio verso ponente:

– Morgen, alle Kamarad weg.

Mi guardò un momento cogli occhi spalancati, come in attesa del mio stupore, poi aggiunse: – Todos todos, –

e riprese il lavoro. Sapeva delle mie pietrine, perciò mi rase con una certa delicatezza.

La notizia non provocò in me alcuna emozione diretta.

Da molti mesi non conoscevo piú il dolore, la gioia, il ti-Letteratura italiana Einaudi 162

Primo Levi - Se questo è un uomo more, se non in quel modo staccato e lontano che è caratteristico del Lager, e che si potrebbe chiamare condizio-nale: se avessi ora – pensavo – la mia sensibilità di prima, questo sarebbe un momento estremamente emozionante.

Avevo le idee perfettamente chiare; da molto tempo Alberto ed io avevamo previsto i pericoli che avrebbero accompagnato il momento della evacuazione del campo e della liberazione. Del resto la notizia portata da Askenazi non era che la conferma di una che circolava già da vari giorni: che i russi erano a Czenstochowa, cento chilometri a nord; che erano a Zakopane, cento chilometri a sud; che in Buna i tedeschi già preparavano le mine di sabotaggio.

Guardai uno per uno i visi dei miei compagni di camera: era chiaro che non metteva conto di parlarne con nessuno di loro. Mi avrebbero risposto: «Ebbene?» e tutto sarebbe finito lí. I francesi erano diversi, erano ancora freschi.

– Sapete? – dissi loro: – Domani si evacua il campo.

Mi coprirono di domande: – Verso dove? A piedi?...

e anche i malati? quelli che non possono camminare? –

Sapevano che ero un vecchio prigioniero e che capivo il tedesco: ne concludevano che sapessi sull’argomento molto piú di quanto non volessi ammettere.

Non sapevo altro: lo dissi, ma quelli continuarono colle domande. Che seccatura. Ma già, erano in Lager da qualche settimana, non avevano ancora imparato che in Lager non si fanno domande.

Nel pomeriggio venne il medico greco. Disse che, anche fra i malati, tutti quelli che potevano camminare sarebbero stati forniti di scarpe e di abiti, e sarebbero partiti il giorno dopo, con i sani, per una marcia di venti chilometri. Gli altri sarebbero rimasti in Ka-Be, con personale di assistenza scelto fra i malati meno gravi.

Letteratura italiana Einaudi 163

Primo Levi - Se questo è un uomo Il medico era insolitamente ilare, sembrava ubriaco.

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