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Add to favorite Se questo è un uomo – Primo Levi

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... e mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuol dire questo « acuti». Qui ancora una lacuna, questa volta irreparabile. « ... Lo lume era di sotto della luna» o qualcosa di simile; ma prima?... Nessuna idea, «keine Ahnung» come si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine.

– Ça ne fait rien, vas-y tout de même.

Letteratura italiana Einaudi 119

Primo Levi - Se questo è un uomo

... Quando mi apparve una montagna, bruna Per la distanza, e parvemi alta tanto Che mai veduta non ne avevo alcuna.

Sí, sí, «alta tanto», non «molto alta», proposizione consecutiva. E le montagne, quando si vedono di lontano... le montagne... oh Pikolo, Pikolo, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne, che compa-rivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino!

Basta, bisogna proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e mi guarda.

Darei la zuppa di oggi per saper saldare «non ne avevo alcuna» col finale. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, chiudo gli occhi, mi mordo le dita: ma non serve, il resto è silenzio. Mi danzano per il capo altri versi: « ... la terra lagrimosa diede vento...» no, è un’altra cosa. È tardi, è tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere: Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque, Alla quarta levar la poppa in suso E la prora ire in giú, come altrui piacque...

Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo «come altrui piacque», prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai piú, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del cosí umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui...

Siamo oramai nella fila per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Letteratura italiana Einaudi 120

Primo Levi - Se questo è un uomo Kommandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle. –

Kraut und Rüben? – Kraut und Rüben –. Si annunzia ufficialmente che oggi la zuppa è di cavoli e rape: –

Choux et navets. – Káposzta és répak.

Infin che ‘l mar fu sopra noi rinchiuso.

Letteratura italiana Einaudi 121

Primo Levi - Se questo è un uomo I FATTI DELL’ESTATE

Durante tutta la primavera erano arrivati trasporti dall’Ungheria; un prigioniero ogni due era ungherese, l’ungherese era diventato, dopo l’yiddisch, la seconda lingua del campo.

Nel mese di agosto 1944, noi, entrati cinque mesi prima, contavamo ormai fra gli anziani. Come tali, noi del Kommando 98 non ci eravamo stupiti che le promesse fatteci e l’esame di chimica superato non avessero portato a conseguenze: né stupiti, né rattristati oltre misura: in fondo, avevamo tutti un certo timore dei cambiamen-ti: «Quando si cambia, si cambia in peggio», diceva uno dei proverbi del campo. Piú in generale, l’esperienza ci aveva già dimostrato infinite volte la vanità di ogni pre-visione: a che scopo travagliarsi per prevedere l’avvenire, quando nessun nostro atto, nessuna nostra parola lo avrebbe potuto minimamente influenzare? Eravamo dei vecchi Häftlinge: la nostra saggezza era il «non cercar di capire», non rappresentarsi il futuro, non tormentarsi sul come e sul quando tutto sarebbe finito: non porre e non porsi domande.

Conservavamo i ricordi della nostra vita anteriore, ma velati e lontani, e perciò profondamente dolci e tristi, come sono per ognuno i ricordi della prima infanzia e di tutte le cose finite; mentre per ognuno il momento dell’ingresso al campo stava all’origine di una diversa se-quenza di ricordi, vicini e duri questi, continuamente confermati dalla esperienza presente, come ferite ogni giorno riaperte.

Le notizie, apprese in cantiere, dello sbarco alleato in Normandia, dell’offensiva russa e del fallito attentato a Hitler, avevano sollevato ondate di speranza violente ma effimere. Ognuno sentiva, giorno per giorno, le forze fuggire, la volontà di vivere sciogliersi, la mente ottenebrarsi; Letteratura italiana Einaudi 122

Primo Levi - Se questo è un uomo e la Normandia e la Russia erano cosí lontane, e l’inverno cosí vicino; cosí concrete la fame e la desolazione, e cosí irreale tutto il resto, che non pareva possibile che veramente esistesse un mondo e un tempo, se non il nostro mondo di fango, e il nostro tempo sterile e stagnante a cui eravamo oramai incapaci di immaginare una fine.

Per gli uomini vivi le unità del tempo hanno sempre un valore, il quale è tanto maggiore, quanto piú elevate sono le risorse interne di chi le percorre; ma per noi, ore, giorni e mesi si riversavano torpidi dal futuro nel passato, sempre troppo lenti, materia vile e superflua di cui cercavamo di disfarci al piú presto. Conchiuso il tempo in cui i giorni si inseguivano vivaci, preziosi e irreparabi-li, il futuro ci stava davanti grigio e inarticolato, come una barriera invincibile. Per noi, la storia si era fermata.

Ma nell’agosto ‘44 incominciarono i bombardamenti sull’Alta Slesia, e si prolungarono, con pause e riprese irregolari, per tutta l’estate e l’autunno fino alla crisi definitiva.

Il mostruoso concorde travaglio di gestazione della Buna si arrestò bruscamente, e subito degenerò in una attività slegata, frenetica e parossistica. Il giorno in cui la produzione della gomma sintetica avrebbe dovuto inco-minciare, che nell’agosto pareva imminente, fu via via ri-mandato, e i tedeschi finirono col non parlarne piú.

Il lavoro costruttivo cessò; la potenza dello sterminato gregge di schiavi fu rivolta altrove, e si fece di giorno in giorno piú riottosa e passivamente nemica. A ogni in-cursione, c’erano sempre nuovi guasti da riparare; smontare e smobilitare il delicato macchinario da pochi giorni messo faticosamente in opera; erigere frettolosa-mente rifugi e protezioni che alla prossima prova si rive-lavano ironicamente inconsistenti e vani.

Noi avevamo creduto che ogni cosa sarebbe stata prefe-Letteratura italiana Einaudi 123

Primo Levi - Se questo è un uomo ribile alla monotonia delle giornate uguali e accanitamente lunghe, allo squallore sistematico e ordinato della Buna in opera; ma abbiamo dovuto mutare pensiero quando la Buna ha cominciato a cadere a pezzi intorno a noi, come colpita da una maledizione in cui noi stessi ci sentivamo coinvolti. Abbiamo dovuto sudare fra la polvere e le mace-rie roventi, e tremare come bestie, schiacciati a terra sotto la rabbia degli aerei; tornavamo la sera in campo, rotti di fatica e asciugati dalla sete, nelle sere lunghissime e vento-se dell’estate polacca, e trovavamo il campo sconvolto, niente acqua per bere e lavarsi, niente zuppa per le vene vuote, niente luce per difendere il pezzo di pane l’uno dalla fame dell’altro, e per ritrovare, al mattino, le scarpe e gli abiti nella bolgia buia e urlante del Block.

Nella Buna imperversavano i civili tedeschi, nel furo-re dell’uomo sicuro che si desta da un lungo sogno di dominio, e vede la sua rovina e non la sa comprendere.

Anche i Reichsdeutsche del Lager, politici compresi, nell’ora del pericolo risentirono il legame del sangue e del suolo. Il fatto nuovo riportò l’intrico degli odii e delle incomprensioni ai suoi termini elementari, e ridivise i due campi: i politici, insieme con í triangoli verdi e le SS

vedevano, o credevano di vedere, in ognuno dei nostri visi lo scherno della rivincita e la trista gioia della vendetta. Essi trovarono concordia in questo, e la loro fero-cia raddoppiò.

Nessun tedesco poteva ormai dimenticare che noi eravamo dall’altra parte: dalla parte dei terribili semina-tori che solcavano il cielo tedesco da padroni, al di sopra di ogni sbarramento, e torcevano il ferro vivo delle loro opere, portando ogni giorno la strage fin dentro alle loro case, nelle case mai prima violate del popolo tedesco.

Quanto a noi, eravamo troppo distrutti per temere veramente. I pochi che ancora sapessero rettamente giudicare e sentire, trassero dai bombardamenti nuova forza e speranza; coloro che la fame non aveva ancora ri-Letteratura italiana Einaudi 124

Primo Levi - Se questo è un uomo dotto all’inerzia definitiva, profittarono spesso dei momenti di panico generale per intraprendere spedizioni doppiamente temerarie (poiché, oltre al rischio diretto delle incursioni, il furto consumato in condizioni di emergenza era punito con l’impiccagione) alla cucina di fabbrica e ai magazzini. Ma la maggior parte sopportò il nuovo pericolo e il nuovo disagio con immutata indifferenza: non era rassegnazione cosciente, ma il torpore opaco delle bestie domate con le percosse, a cui non dolgono piú le percosse.

A noi l’accesso ai rifugi corazzati era vietato. Quando la terra cominciava a tremare, ci trascinavamo, storditi e zoppicanti, attraverso i fumi corrosivi dei nebbiogeni, fi-no alle vaste aree incolte, sordide e sterili, racchiuse nel recinto della Buna; là giacevamo inerti, ammonticchiati gli uni sugli altri come morti, sensibili tuttavia alla momentanea dolcezza delle membra in riposo. Guardavamo con occhi atoni le colonne di fumo e di fuoco pro-rompere intorno a noi: nei momenti di tregua, pieni del lieve ronzio minaccioso che ogni europeo conosce, sce-glievamo dal suolo cento volte calpestato le cicorie e le camomille stente, e le masticavamo a lungo in silenzio.

Ad allarme finito, ritornavamo da ogni parte ai nostri posti, gregge muto innumerevole, assueto all’ira degli uomini e delle cose; e riprendevamo quel nostro lavoro di sempre, odiato come sempre, e inoltre ormai palesemente inutile e insensato.

In questo mondo scosso ogni giorno piú profondamente dai fremiti della fine vicina, fra nuovi terrori e speranze e intervalli di schiavitú esacerbata, mi accadde di incontrare Lorenzo.

La storia della mia relazione con Lorenzo è insieme lunga e breve, piana ed enigmatica; essa è una storia di un tempo e di una condizione ormai cancellati da ogni Letteratura italiana Einaudi 125

Primo Levi - Se questo è un uomo realtà presente, e perciò non credo che potrà essere compresa altrimenti di come si comprendono oggi i fatti della leggenda e della storia piú remota.

In termini concreti, essa si riduce a poca cosa: un operaio civile italiano mi portò un pezzo di pane e gli avanzi del suo rancio ogni giorno per sei mesi; mi donò una sua maglia piena di toppe; scrisse per me in Italia una cartolina, e mi fece avere la risposta. Per tutto questo, non chiese né accettò alcun compenso, perché era buono e semplice, e non pensava che si dovesse fare il bene per un compenso.

Tutto questo non deve sembrare poco. Il mio caso non è stato il solo; come già si è detto, altri fra noi avevano rapporti di vario genere con civili, e ne traevano di che sopravvivere: ma erano rapporti di diversa natura. I nostri compagni ne parlavano con lo stesso tono ambi-guo e pieno di sottintesi con cui gli uomini di mondo parlano delle loro relazioni femminili: e cioè come di avventure di cui si può a buon diritto andare orgogliosi e di cui si desidera essere invidiati, le quali però, anche per le coscienze piú pagane, rimangono pur sempre al margine del lecito e dell’onesto; per cui sarebbe scorret-to e sconveniente parlarne con troppa compiacenza.

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