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Add to favorite Se questo è un uomo – Primo Levi

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Lo conoscevo, era un uomo colto, intelligente, egoista e calcolatore. Disse ancora che tutti indistintamente avrebbero ricevuto tripla razione di pane, al che i malati si rallegrarono visibilmente. Gli facemmo qualche domanda su che cosa sarebbe stato di noi. Rispose che probabilmente i tedeschi ci avrebbero abbandonati al nostro destino: no, non credeva che ci avrebbero uccisi.

Non metteva molto impegno a nascondere che pensava il contrario, la sua stessa allegria era significativa.

Era già equipaggiato per la marcia; appena fu uscito, i due ragazzi ungheresi presero a parlare concitatamente fra di loro. Erano in avanzata convalescenza, ma molto deperiti. Si capiva che avevano paura di restare coi malati, deliberavano di partire coi sani. Non si trattava di un ragionamento: è probabile che anche io, se non mi fossi sentito cosí debole, avrei seguito l’istinto del gregge; il terrore è eminentemente contagioso, e l’individuo atterrito cerca in primo luogo la fuga.

Fuori della baracca si sentiva il campo in insolita agi-tazione. Uno dei due ungheresi si alzò, uscí e tornò do-po mezz’ora carico di stracci immondi. Doveva averli sottratti al magazzino degli effetti da passare alla disinfezione. Lui e il suo compagno si vestirono febbrilmente, indossando stracci su stracci. Si vedeva che avevano fretta di mettersi davanti al fatto compiuto, prima che la paura stessa li facesse recedere. Era insensato pensare di fare anche solo un’ora di cammino deboli come erano, e per di piú nella neve, e con quelle scarpe rotte trovate all’ultimo momento. Tentai di spiegarlo, ma mi guardarono senza rispondere. Avevano gli occhi come le bestie impaurite.

Solo per un attimo mi passò per il capo che potevano anche aver ragione loro. Uscirono maldestri dalla finestra, li vidi, fagotti informi, barcollare fuori nella notte.

Non sono tornati; ho saputo molto piú tardi che, non Letteratura italiana Einaudi 164

Primo Levi - Se questo è un uomo potendo proseguire, furono abbattuti dalle SS poche ore dopo l’inizio della marcia.

Anche per me ci voleva un paio di scarpe: era chiaro.

Pure ci volle forse un’ora perché riuscissi a vincere la nausea, la febbre e l’inerzia. Ne trovai un paio nel corridoio (i sani avevano saccheggiato il deposito delle scarpe dei ricoverati, e si erano prese le migliori: le piú scadenti, sfondate e spaiate, giacevano in tutti i canti). Proprio là incontrai Kosman, un alsaziano. Era, da civile corrispon-dente della «Reuter» a Clermont-Ferrand: anche lui ecci-tato ed euforico. Disse: – Se dovessi tu ritornare prima di me, scrivi al sindaco di Metz che io sto per rientrare.

Kosman aveva notoriamente conoscenze fra i Prominenti, perciò il suo ottimismo mi parve buon indizio e lo utilizzai per giustificare davanti a me stesso la mia inerzia. Nascosi le scarpe e ritornai a letto.

A tarda notte venne ancora il medico greco, con un sacco sulle spalle e un passamontagna. Gettò sulla mia cuccetta un romanzo francese: – Tieni, leggi, italiano. Me lo renderai quando ci rivedremo. – Ancora oggi lo odio per questa sua frase. Sapeva che noi eravamo condannati.

E venne finalmente Alberto, sfidando il divieto, a salu-tarmi dalla finestra. Era il mio indivisibile: noi eravamo «i due italiani» e per lo piú i compagni stranieri confondeva-no i nostri nomi. Da sei mesi dividevamo la cuccetta, e ogni grammo di cibo organizzato extra-razione; ma lui aveva superata la scarlattina da bambino, e io non avevo quindi potuto contagiarlo. Perciò lui partí e io rimasi. Ci salutammo, non occorrevano molte parole, ci eravamo dette tutte le nostre cose già infinite volte. Non credeva-mo che saremmo rimasti a lungo separati. Aveva trovato grosse scarpe di cuoio, in discreto stato: era uno di quelli che trovano subito tutto ciò di cui hanno bisogno.

Anche lui era allegro e fiducioso, come tutti quelli che partivano. Era comprensibile: stava per accadere qualcosa di grande e di nuovo: si sentiva finalmente intorno Letteratura italiana Einaudi 165

Primo Levi - Se questo è un uomo una forza che non era quella della Germania, si sentiva materialmente scricchiolare tutto quel nostro mondo maledetto. O almeno, questo sentivano i sani, che, per quanto stanchi e affamati, avevano modo di muoversi; ma è indiscutibile che chi è troppo debole, o nudo, o scalzo, pensa e sente in un altro modo, e ciò che dominava le nostre menti era la sensazione paralizzante di essere totalmente inermi e in mano alla sorte.

Tutti i sani (tranne qualche ben consigliato che all’ultimo istante si spogliò e si cacciò in qualche cuccetta di infermeria) partirono nella notte sul 18 gennaio 1945.

Dovevano essere circa ventimila, provenienti da vari campi. Nella quasi totalità, essi scomparvero durante la marcia di evacuazione: Alberto è fra questi. Qualcuno scriverà forse un giorno la loro storia.

Noi restammo dunque nei nostri giacigli, soli con le nostre malattie, e con la nostra inerzia piú forte della paura.

Nell’intero Ka-Be eravamo forse ottocento. Nella nostra camera eravamo rimasti undici, ciascuno in una cuccetta, tranne Charles e Arthur che dormivano insieme. Spento il ritmo della grande macchina del Lager, incominciarono per noi i dieci giorni fuori del mondo e del tempo.

18 gennaio.

Nella notte dell’evacuazione le cucine del campo avevano ancora funzionato, e il mattino seguente fu fatta nel l’infermeria l’ultima distribuzione di zuppa. L’impianto centrale di riscaldamento era stato abbandonato; nelle baracche ristagnava ancora un po’

di calore, ma a ogni ora che passava, la temperatura si andava abbassando, e si comprendeva che in breve avremmo sofferto il freddo. Fuori ci dovevano essere almeno 20° sotto lo zero; la maggior parte dei malati non aveva che la camicia, e alcuni nemmeno quella.

Nessuno sapeva quale fosse la nostra condizione. Al-Letteratura italiana Einaudi 166

Primo Levi - Se questo è un uomo cune SS erano rimaste, alcune torrette di guardia erano ancora occupate.

Verso mezzogiorno un maresciallo delle SS fece il gi-ro delle baracche. Nominò in ognuna un capo-baracca scegliendolo fra i non-ebrei rimasti, e dispose che fosse immediatamente fatto un elenco dei malati, distinti in ebrei e non-ebrei. La cosa pareva chiara. Nessuno si stupí che i tedeschi conservassero fino all’ultimo il loro amore nazionale per le classificazioni, e, nessun ebreo pensò seriamente di vivere fino al giorno successivo.

I due francesi non avevano capito ed erano spaventati. Tradussi loro di malavoglia il discorso della SS; trovavo irritante che avessero paura: non avevano ancora un mese di Lager, non avevano quasi ancora fame, non erano neppure ebrei, e avevano paura.

Fu fatta ancora una distribuzione di pane. Passai il pomeriggio a leggere il libro lasciato dal medico: era molto interessante e lo ricordo con bizzarra precisione. Feci anche una visita al reparto accanto, in cerca di coperte: di là molti malati erano stati messi in uscita, le loro coperte erano rimaste libere. Ne presi con me alcune abbastanza calde.

Quando seppe che venivano dal Reparto Dissenteria Arthur arricciò il naso: – Y-avait point besoin de le dire

–; infatti erano macchiate. Io pensavo che in ogni modo, dato ciò che ci aspettava, sarebbe stato meglio dormire ben coperti.

Fu presto notte, ma la luce elettrica funzionava ancora.

Vedemmo con tranquillo spavento che all’angolo della baracca stava una SS armata. Non avevo voglia di parlare, e non provavo timore se non nel modo esterno e condi-zionale che ho detto. Continuai a leggere fino a tarda ora.

Non vi erano orologi, ma dovevano essere le ventitre quando tutte le luci si spensero, anche quelle dei riflettori sulle torrette di guardia. Si vedevano lontano i fasci dei fotoelettrici. Fiorí in cielo un grappolo di luci inten-Letteratura italiana Einaudi 167

Primo Levi - Se questo è un uomo se, che si mantennero immobili illuminando crudamente il terreno. Si sentiva il rombo degli apparecchi.

Poi cominciò il bombardamento. Non era cosa nuova, scesi a terra, infilai i piedi nudi nelle scarpe e attesi.

Sembrava lontano, forse su Auschwitz.

Ma ecco un’esplosione vicina, e, prima di poter formulare un pensiero, una seconda e una terza da sfonda-re le orecchie. Si sentirono vetri rovinare, la baracca oscillò, cadde a terra il cucchiaio che tenevo infisso in una commessura della parete di legno.

Poi parve finito. Cagnolati, un giovane contadino, egli pure dei Vosgi, non doveva aver mai visto una in-cursione: era uscito nudo dal letto, si era appiattato in un angolo e urlava.

Dopo pochi minuti fu evidente che il campo era stato colpito. Le baracche bruciavano con violenza, altre due erano state polverizzate, ma erano tutte baracche vuote.

Arrivarono decine di malati, nudi e miserabili, da una baracca minacciata dal fuoco: chiedevano ricovero. Impossibile accoglierli. Insistettero, supplicando e minac-ciando in molte lingue: dovemmo barricare la porta. Si trascinarono altrove, illuminati dalle fiamme, scalzi nella neve in fusione. A molti pendevano dietro i bendaggi disfatti. Per la nostra baracca non pareva ci fosse pericolo, a meno che il vento non girasse.

I tedeschi non c’erano piú. Le torrette erano vuote.

Oggi io penso che, se non altro per il fatto che un Auschwitz è esistito, nessuno dovrebbe ai nostri giorni parlare di Provvidenza: ma è certo che in quell’ora il ricordo dei salvamenti biblici nelle avversità estreme passò come un vento per tutti gli animi.

Non si poteva dormire; un vetro era rotto e faceva Letteratura italiana Einaudi 168

Primo Levi - Se questo è un uomo molto freddo. Pensavo che avremmo dovuto cercare una stufa da installare, e procurarci carbone, legna e viveri. Sapevo che tutto questo era necessario, ma senza l’appoggio di qualcuno non avrei mai avuto l’energia di metterlo in atto. Ne parlai coi due francesi.

19 gennaio.

I francesi furono d’accordo. Ci alzam-mo all’alba, noi tre. Mi sentivo malato e inerme, avevo freddo e paura.

Gli altri malati ci guardarono con curiosità rispettosa: non sapevamo che ai malati non era permesso uscire dal Ka-Be? E se i tedeschi non erano ancora tutti partiti?

Ma non dissero nulla, erano contenti che ci fosse qualcuno per fare la prova.

I francesi non avevano alcuna idea della topografia del Lager, ma Charles era coraggioso e robusto, e Arthur era sagace e aveva un buon senso pratico di contadino. Uscimmo nel vento di una gelida giornata di nebbia, malamente avvolti in coperte.

Quello che vedemmo non assomiglia a nessuno spettacolo che io abbia mai visto né sentito descrivere.

Il Lager, appena morto, appariva già decomposto.

Niente piú acqua ed elettricità: finestre e porte sfondate sbattevano nel vento, stridevano le lamiere sconnesse dei tetti, e le ceneri dell’incendio volavano alto e lontano.

Are sens