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Add to favorite Se questo è un uomo – Primo Levi

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Primo Levi - Se questo è un uomo Una fanfara incomincia a suonare, accanto alla porta del campo: suona Rosamunda, la ben nota canzonetta sentimentale, e questo ci appare talmente strano che ci guardiamo l’un l’altro sogghignando; nasce in noi un’ombra di sollievo, forse tutte queste cerimonie non costituiscono che una colossale buffonata di gusto teutonico. Ma la fanfara, finita Rosamunda, continua a suonare altre marce, una dopo l’altra, ed ecco apparire i drappelli dei nostri compagni, che ritornano dal lavoro.

Camminano in colonna per cinque: camminano con un’andatura strana, innaturale, dura, come fantocci rigidi fatti solo di ossa: ma camminano seguendo scrupolo-samente il tempo della fanfara.

Anche loro si dispongono come noi, secondo un ordine minuzioso, nella vasta piazza; quando l’ultimo drap-pello è rientrato, ci contano e ci ricontano per piú di un’ora, avvengono lunghi controlli che sembrano tutti fare capo a un tale vestito a righe, il quale ne rende conto a un gruppetto di SS in pieno assetto di guerra.

Finalmente (è ormai buio, ma il campo è fortemente il-luminato da fanali e riflettori) si sente gridare «Absper-re!», al che tutte le squadre si disfano in un viavai confuso e turbolento. Adesso non camminano piú rigidi e impetti-ti come prima: ciascuno si trascina con sforzo evidente.

Noto che tutti portano in mano o appesa alla cintura una scodella di lamiera grande quasi come un catino.

Anche noi nuovi arrivati ci aggiriamo tra la folla, alla ricerca di una voce, di un viso amico, di una guida. Contro la parete di legno di una baracca stanno seduti a terra due ragazzi: sembrano giovanissimi, sui sedici anni al massimo, tutti e due hanno il viso e le mani sporche di fuliggine. Uno dei due, mentre passiamo, mi chiama, e mi pone in tedesco alcune domande che non capisco; poi mi chiede da dove veniamo. – Italien, – rispondo; vorrei domandargli molte cose, ma il mio frasario tedesco è limitatissimo.

Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo

– Sei ebreo? – gli chiedo.

– Sí, ebreo polacco.

– Da quanto sei in Lager?

– Tre anni, – e leva tre dita. Deve essere entrato bambino, penso con orrore; d’altronde, questo significa che almeno qualcuno qui può vivere.

– Qual è il tuo lavoro?

– Schlosser, – risponde. Non capisco: – Eisen; Feuer,

– (ferro, fuoco) insiste lui, e fa cenno colle mani come di chi batta col martello su di un’incudine. È un fabbro, dunque.

– Ich Chemiker, – dichiaro io; e lui accenna gravemente col capo, – Chemiker gut –. Ma tutto questo riguarda il futuro lontano: ciò che mi tormenta, in questo momento, è la sete.

– Bere, acqua. Noi niente acqua, – gli dico. Lui mi guarda con un viso serio, quasi severo, e scandisce: –

Non bere acqua, compagno, – e poi altre parole che non capisco

– Warum?

– Geschwollen, – risponde lui telegraficamente: io crollo il capo, non ho capito. – Gonfio, – mi fa capire, enfiando le gote e abbozzando colle mani una mostruo-sa tumescenza del viso e del ventre. – Warten bis heute abend –. «Aspettare fino oggi sera», traduco io parola per parola.

Poi mi dice: – Ich Schlome. Du? – Gli dico il mio no-me, e lui mi chiede: – Dove tua madre? – In Italia –.

Schlome si stupisce: – Ebrea in Italia? – Sí, – spiego io del mio meglio, – nascosta, nessuno conosce, scappare, non parlare, nessuno vedere –. Ha capito; ora si alza, mi si avvicina e mi abbraccia timidamente. L’avventura è finita, e mi sento pieno di una tristezza serena che è quasi gioia. Non ho piú rivisto Schlome, ma non ho dimenticato il suo volto grave e mite di fanciullo, che mi ha ac-colto sulla soglia della casa dei morti.

Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo Moltissime cose ci restano da imparare, ma molte le abbiamo già imparate. Già abbiamo una certa idea della topografia del Lager; questo nostro Lager è un quadrato di circa seicento metri di lato, circondato da due reticolati di filo spinato, il piú interno dei quali è percorso da corrente ad alta tensione. È costituito da sessanta baracche in legno, che qui si chiamano Blocks, di cui una decina in costruzione; a queste vanno aggiunti il corpo delle cucine, che è in muratura; una fattoria sperimentale, gestita da un distaccamento di Häftlinge privilegiati; le baracche delle docce e delle latrine, in numero di una per ogni gruppo di sei od otto Blocks. Di piú, alcuni Blocks sono adibiti a scopi particolari. Innanzitutto, un gruppo di otto, all’estremità est del campo, costituisce l’infermeria e l’ambulatorio; v’è poi il Block 24 che è il Krätzeblock, riservato agli scabbiosi; il Block 7, in cui nessun comune Häftling è mai entrato, riservato alla

«Prominenz», cioè all’aristocrazia, agli internati che ri-coprono le cariche supreme; il Block 47, riservato ai Reichsdeutsche (gli ariani tedeschi, politici o criminali); il Block 49, per soli Kapos; il Block 12, una metà del quale, ad uso dei Reichsdeutsche e Kapos, funge da Kantine, cioè da distributorio di tabacco, polvere insetticida, e occasionalmente altri articoli; il Block 37, che contiene la Fureria centrale e l’Ufficio del lavoro; e infine il Block 29, che ha le finestre sempre chiuse perché è il Frauenblock, il postribolo del campo, servito da ragazze Häftlinge polacche, e riservato ai Reichsdeutsche.

I comuni Blocks di abitazione sono divisi in due locali; in uno (Tagesraum) vive il capo-baracca con i suoi amici: v’è un lungo tavolo, sedie, panche; ovunque una quantità di strani oggetti dai colori vivaci, fotografie, ritagli di riviste, disegni, fiori finti, soprammobili; sulle pareti, grandi scritte, proverbi e poesiole inneggianti all’ordine, alla disciplina, all’igiene; in un angolo, una vetrina con gli attrezzi del Blockfrisör (barbiere autoriz-Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo zato), i mestoli per distribuire la zuppa e due nerbi di gomma, quello pieno e quello vuoto, per mantenere la disciplina medesima. L’altro locale è il dormitorio; non vi sono che centoquarantotto cuccette a tre piani, disposte fittamente, come celle di alveare, in modo da utiliz-zare senza residui tutta la cubatura del vano, fino al tetto, e divise da tre corridoi; qui vivono i comuni Häftlinge, in numero di duecento-duecentocinquanta per baracca, due quindi in buona parte delle cuccette, le quali sono di tavole di legno mobili, provviste di un sottile sacco a paglia e di due coperte ciascuna. I corridoi di disimpegno sono cosí stretti che a stento ci si passa in due; la superficie totale di pavimento è cosí poca che gli abitanti di uno stesso Block non vi possono soggiornare tutti contemporaneamente se almeno la metà non sono coricati nelle cuccette. Di qui il divieto di entrare in un Block a cui non si appartiene.

In mezzo al Lager è la piazza dell’Appello, vastissima, dove ci si raduna al mattino per costituire le squadre di lavoro, e alla sera per venire contati. Di fronte alla piazza dell’Appello c’è una aiuola dall’erba accuratamente rasa, dove si montano le forche quando occorre.

Abbiamo ben presto imparato che gli ospiti del Lager sono distinti in tre categorie: i criminali, i politici e gli ebrei. Tutti sono vestiti a righe, sono tutti Häftlinge, ma i criminali portano accanto al numero, cucito sulla giacca, un triangolo verde; i politici un triangolo rosso; gli ebrei, che costituiscono la grande maggioranza, portano la stella ebraica, rossa e gialla. Le SS ci sono sí, ma poche, e fuori del campo, e si vedono relativamente di ra-do: i nostri padroni effettivi sono i triangoli verdi, i quali hanno mano libera su di noi, e inoltre quelli fra le due altre categorie che si prestano ad assecondarli: i quali non sono pochi.

Ed altro ancora abbiamo imparato, piú o meno rapidamente, a seconda del carattere di ciascuno; a risponde-Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo re «Jawohl», a non fare mai domande, a fingere sempre di avere capito. Abbiamo appreso il valore degli alimenti; ora anche noi raschiamo diligentemente il fondo della gamella dopo il rancio, e la teniamo sotto il mento quando mangiamo il pane per non disperderne le briciole.

Anche noi adesso sappiamo che non è la stessa cosa ricevere il mestolo di zuppa prelevato dalla superficie o dal fondo del mastello, e siamo già in grado di calcolare, in base alla capacità dei vari mastelli, quale sia il posto piú conveniente a cui aspirare quando ci si mette in coda.

Abbiamo imparato che tutto serve; il fil di ferro, per legarsi le scarpe; gli stracci, per ricavarne pezze da piedi; la carta, per imbottirsi (abusivamente) la giacca contro il freddo. Abbiamo imparato che d’altronde tutto può venire rubato, anzi, viene automaticamente rubato non appena l’attenzione si rilassa; e per evitarlo abbiamo dovuto apprendere l’arte di dormire col capo su un fagotto fatto con la giacca, e contenente tutto il nostro avere, dalla gamella alle scarpe.

Conosciamo già in buona parte il regolamento del campo, che è favolosamente complicato. Innumerevoli sono le proibizioni: avvicinarsi a meno di due metri dal filo spinato; dormire con la giacca, o senza mutande, o col cappello in testa; servirsi di particolari lavatoi e latrine che sono «nur für Kapos» o «nur für Reichsdeutsche»; non andare alla doccia nei giorni prescritti, e an-darvi nei giorni non prescritti; uscire di baracca con la giacca sbottonata, o col bavero rialzato; portare sotto gli abiti carta o paglia contro il freddo; lavarsi altrimenti che a torso nudo.

Infiniti e insensati sono i riti da compiersi: ogni giorno al mattino bisogna fare «il letto», perfettamente piano e liscio; spalmarsi gli zoccoli fangosi e repellenti con l’apposito grasso da macchina, raschiare via dagli abiti le macchie di fango (le macchie di vernice, di grasso e di ruggine sono invece ammesse); alla sera, bisogna sottoporsi al Letteratura italiana Einaudi

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