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Add to favorite Se questo è un uomo – Primo Levi

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Primo Levi - Se questo è un uomo o quando c’è nebbia fitta, mentre si lavora regolarmente anche se piove o nevica o (caso assai frequente) soffia il vento feroce dei Carpazi; questo in relazione al fatto che il buio o la nebbia potrebbero dare occasione a tentativi di fuga.

Una domenica ogni due è regolare giorno lavorativo; nelle domeniche cosiddette festive, invece di lavorare in Buna si lavora di solito alla manutenzione del Lager, in mo-do che i giorni di effettivo riposo sono estremamente rari.

Tale sarà la nostra vita. Ogni giorno, secondo il ritmo prestabilito, Ausrücken ed Einrücken, uscire e rientrare; lavorare, dormire e mangiare; ammalarsi, guarire o morire.

... E fino a quando? Ma gli anziani ridono a questa domanda: a questa domanda si riconoscono i nuovi arrivati. Ridono e non rispondono: per loro, da mesi, da an-ni, il problema del futuro remoto è impallidito, ha perso ogni acutezza, di fronte ai ben piú urgenti e concreti problemi del futuro prossimo: quanto si mangerà oggi, se nevicherà, se ci sarà da scaricare carbone.

Se fossimo ragionevoli, dovremmo rassegnarci a questa evidenza, che il nostro destino è perfettamente inco-noscibile, che ogni congettura è arbitraria ed esattamente priva di fondamento reale. Ma ragionevoli gli uomini sono assai raramente, quando è in gioco il loro proprio destino: essi preferiscono in ogni caso le posizioni estreme; perciò, a seconda del loro carattere, fra di noi gli uni si sono convinti immediatamente che tutto è perduto, che qui non si può vivere e che la fine è certa e prossima; gli altri, che, per quanto dura sia la vita che ci attende, la salvezza è probabile e non lontana, e, se avremo fede e forza, rivedremo le nostre case e i nostri cari. Le due classi, dei pessimisti e degli ottimisti, non sono peraltro cosí ben distinte: non già perché gli agnostici siano mol-Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo ti, ma perché i piú, senza memoria né coerenza, oscilla-no fra le due posizioni-limite, a seconda dell’interlocu-tore e del momento.

Eccomi dunque sul fondo. A dare un colpo di spugna al passato e al futuro si impara assai presto, se il bisogno preme. Dopo quindici giorni dall’ingresso, già ho la fa-me regolamentare, la fame cronica sconosciuta agli uomini liberi, che fa sognare di notte e siede in tutte le membra dei nostri corpi; già ho imparato a non lasciarmi derubare, e se anzi trovo in giro un cucchiaio, uno spago, un bottone di cui mi possa appropriare senza pericolo di punizione, li intasco e li considero miei di pieno diritto. Già mi sono apparse, sul dorso dei piedi, le piaghe torpide che non guariranno. Spingo vagoni, lavoro di pala, mi fiacco alla pioggia, tremo al vento; già il mio stesso corpo non è piú mio: ho il ventre gonfio e le membra stecchite, il viso tumido al mattino e incavato a sera; qualcuno fra noi ha la pelle gialla, qualche altro grigia: quando non c! vediamo per tre o quattro giorni, stentiamo a riconoscerci l’un l’altro.

Avevamo deciso di trovarci, noi italiani, ogni domenica sera in un angolo del Lager; ma abbiamo subito smesso, perché era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta piú pochi, e piú deformi, e piú squallidi. Ed era cosí faticoso fare quei pochi passi: e poi, a ritrovarsi, accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non farlo.

Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo INIZIAZIONE

Dopo i primi giorni di capricciosi trasferimenti da blocco a blocco e da Kommando a Kommando, a sera tarda, sono stato assegnato al Block 30, e mi viene indi-cata una cuccetta in cui già dorme Diena. Diena si sveglia, e, benché esausto, mi fa posto e mi riceve amiche-volmente.

Io non ho sonno, o per meglio dire il mio sonno è ma-scherato da uno stato di tensione e di ansia da cui non sono ancora riuscito a liberarmi, e perciò parlo e parlo.

Ho troppe cose da chiedere. Ho fame, e quando domani distribuiranno la zuppa, come farò a mangiarla senza cucchiaio? e come si può avere un cucchiaio? e dove mi manderanno a lavorare? Diena ne sa quanto me, naturalmente, e mi risponde con altre domande. Ma da sopra, da sotto, da vicino, da lontano, da tutti gli angoli della baracca ormai buia, voci assonnate e iraconde mi gridano: – Ruhe, Ruhe!

Capisco che mi si impone il silenzio, ma questa parola è per me nuova, e poiché non ne conosco il senso e le implicazioni, la mia inquietudine cresce. La confusione delle lingue è una componente fondamentale del modo di vivere di quaggiú; si è circondati da una perpetua Babele, in cui tutti urlano ordini e minacce in lingue mai prima udite, e guai a chi non afferra a volo. Qui nessuno ha tempo, nessuno ha pazienza, nessuno ti dà ascolto; noi ultimi venuti ci raduniamo istintivamente negli angoli, contro i muri, come fanno le pecore, per sentirci le spalle materialmente coperte.

Rinuncio dunque a fare domande, e in breve scivolo in un sonno amaro e teso. Ma non è riposo: mi sento minac-ciato, insidiato, ad ogni istante sono pronto a contrarmi in uno spasimo di difesa. Sogno, e mi pare di dormire su una strada, su un ponte, per traverso di una porta per cui Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo va e viene molta gente. Ed ecco giunge, ahi quanto presto, la sveglia. L’intera baracca si squassa dalle fondamenta, le luci si accendono, tutti intorno a me si agitano in una repentina attività frenetica: scuotono le coperte suscitando nembi di polvere fetida, si vestono con fretta febbrile, corrono fuori nel gelo dell’aria esterna vestiti a mezzo, si precipitano verso le latrine e il lavatoio; molti, bestialmente, orinano correndo per risparmiare tempo, perché entro cinque minuti inizia la distribuzione del pa-ne, del pane-Brot-Broit-chleb-pain-lechem-kenyér, del sacro blocchetto grigio che sembra gigantesco in mano del tuo vicino, e piccolo da piangere in mano tua. È una allucinazione quotidiana, a cui si finisce col fare l’abitudine: ma nei primi tempi è cosí irresistibile che molti fra noi, dopo lungo discutere a coppie sulla propria palese e costante sfortuna, e sfacciata fortuna altrui, si scambiano infine le razioni, al che l’illusione si ripristina invertita la-sciando tutti scontenti e frustrati.

Il pane è anche la nostra sola moneta: nei pochi minuti che intercorrono fra la distribuzione e la consumazio-ne, il Block risuona di richiami, di liti e di fughe. Sono i creditori di ieri che pretendono il pagamento, nei brevi istanti in cui il debitore è solvibile. Dopo di che, subentra una relativa quiete, e molti ne approfittano per recarsi nuovamente alle latrine a fumare mezza sigaretta, o al lavatoio per lavarsi veramente.

Il lavatoio è un locale poco invitante. È male illumina-to, pieno di correnti d’aria, e il pavimento di mattoni è coperto da uno strato di fanghiglia; l’acqua non è potabile, ha un odore disgustoso e spesso manca per molte ore. Le pareti sono decorate da curiosi affreschi didasca-lici: vi si vede ad esempio lo Häftling buono, effigiato nudo fino alla cintola, in atto di insaponarsi diligentemente il cranio ben tosato e roseo, e lo Häftling cattivo, dal naso fortemente semitico e dal colorito verdastro, il quale, tutto infagottato negli abiti vistosamente mac-Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo chiati, e col berretto in testa, immerge cautamente un dito nell’acqua del lavandino. Sotto al primo sta scritto:

«So bist du rein» (cosí sei pulito), e sotto al secondo:

«So gehst du ein» (cosí vai in rovina); e piú in basso, in dubbio francese ma in caratteri gotici: «La propreté, c’est la santé».

Sulla parete opposta campeggia un enorme pidocchio bianco rosso e nero, con la scritta: «Eine Laus, dein Tod» (un pidocchio è la tua morte), e il distico ispirato: Nach dem Abort, vor dem Essen

Hände waschen, nicht vergessen (dopo la latrina, prima di mangiare, làvati le mani, non dimenticare).

Per molte settimane, ho considerato questi ammoni-menti all’igiene come puri tratti di spirito teutonico, nello stile del dialogo relativo al cinto erniario con cui eravamo stati accolti al nostro ingresso in Lager. Ma ho poi capito che i loro ignoti autori, forse inconsciamente, non erano lontani da alcune importanti verità. In questo luogo, lavarsi tutti i giorni nell’acqua torbida del lavandino immondo è praticamente inutile ai fini della pulizia e della salute; è invece importantissimo come sintomo di residua vitalità, e necessario come strumento di soprav-vivenza morale.

Devo confessarlo: dopo una sola settimana di prigio-nia, in me l’istinto della pulizia è sparito. Mi aggiro cion-dolando per il lavatoio, ed ecco Steinlauf, il mio amico quasi cinquantenne, a torso nudo, che si strofina collo e spalle con scarso esito (non ha sapone) ma con estrema energia. Steinlauf mi vede e mi saluta, e senza ambagi mi domanda severamente perché non mi lavo. Perché dovrei lavarmi? starei forse meglio di quanto sto? piacerei di piú a qualcuno? vivrei un giorno, un’ora di piú? Vivrei anzi di meno, perché lavarsi è un lavoro, uno spreco Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo di energia e di calore. Non sa Steinlauf che dopo mezz’ora ai sacchi di carbone ogni differenza fra lui e me sarà scomparsa? Piú ci penso, e piú mi pare che lavarsi la faccia nelle nostre condizioni sia una faccenda insulsa, addirittura frivola: un’abitudine meccanica, o peggio, una lugubre ripetizione di un rito estinto. Morremo tutti, stiamo per morire: se mi avanzano dieci minuti fra la sveglia e il lavoro, voglio dedicarli ad altro, a chiudermi in me stesso, a tirare le somme, o magari a guardare il cielo e a pensare che lo vedo forse per l’ultima volta; o anche solo a lasciarmi vivere, a concedermi il lusso di un minuscolo ozio.

Ma Steinlauf mi dà sulla voce. Ha terminato di lavarsi, ora si sta asciugando con la giacca di tela che prima teneva arrotolata fra le ginocchia e che poi infilerà, e senza interrompere l’operazione mi somministra una lezione in piena regola.

Ho scordato ormai, e me ne duole, le sue parole dirit-te e chiare, le parole del già sergente Steinlauf dell’esercito austro-ungarico, croce di ferro della guerra ‘14-18 .

Me ne duole, perché dovrò tradurre il suo italiano incerto e il suo discorso piano di buon soldato nel mio linguaggio di uomo incredulo. Ma questo ne era il senso, non dimenticato allora né poi: che appunto perché il Lager è una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo schele-tro, l’impalcatura, la forma della civiltà. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facoltà ci è rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l’ultima: la facoltà di negare il nostro consenso. Dobbiamo quindi, certamente, lavarci la faccia senza sapone, nell’acqua sporca, e asciugarci nella giacca. Dobbiamo dare il nero Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo alle scarpe, non perché cosí prescrive il regolamento, ma per dignità e per proprietà. Dobbiamo camminare dirit-ti, senza strascicare gli zoccoli, non già in omaggio alla disciplina prussiana, ma per restare vivi, per non cominciare a morire.

Queste cose mi disse Steinlauf, uomo di volontà buona: strane cose al mio orecchio dissueto, intese e accetta-te solo in parte, e mitigate in una piú facile, duttile e blanda dottrina, quella che da secoli si respira al di qua delle Alpi, e secondo la quale, fra l’altro non c’è maggior vanità che sforzarsi di inghiottire interi i sistemi morali elaborati da altri, sotto altro cielo. No, la saggezza e la virtú di Steinlauf, buone certamente per lui, a me non bastano. Di fronte a questo complicato mondo infero, le mie idee sono confuse; sarà proprio necessario elaborare un sistema e praticarlo? o non sarà piú salutare prendere coscienza di non avere sistema?

Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo KA-BE

I giorni si somigliano tutti, e non è facile contarli. Da non so quanti giorni facciamo la spola, a coppie, dalla ferrovia al magazzino: un centinaio di metri di suolo in disgelo. Avanti sotto il carico, indietro colle braccia pendenti lungo i fianchi, senza parlare.

Intorno, tutto ci è nemico. Sopra di noi, si rincorrono le nuvole maligne, per separarci dal sole; da ogni parte ci stringe lo squallore del ferro in travaglio. I suoi confi-ni non li abbiamo mai visti, ma sentiamo, tutto intorno, la presenza cattiva del filo spinato che ci segrega dal mondo. E sulle impalcature, sui treni in manovra, nelle strade, negli scavi, negli uffici, uomini e uomini, schiavi e padroni, i padroni schiavi essi stessi; la paura muove gli uni e l’odio gli altri, ogni altra forza tace. Tutti ci so-no nemici o rivali.

No, in verità, in questo mio compagno di oggi, aggio-gato oggi con me sotto lo stesso carico, non sento un nemico né un rivale.

È Null Achtzehn. Non si chiama altrimenti che cosí, Zero Diciotto, le ultime tre cifre del suo numero di matricola: come se ognuno si fosse reso conto che solo un uomo è degno di avere un nome, e che Null Achtzehn non è piú un uomo. Credo che lui stesso abbia dimenticato il suo nome, certo si comporta come se cosí fosse.

Quando parla, quando guarda, dà l’impressione di essere vuoto interiormente, nulla piú che un involucro, co-me certe spoglie di insetti che si trovano in riva agli sta-gni, attaccate con un filo ai sassi, e il vento le scuote.

Null Achtzehn è molto giovane, il che costituisce un pericolo grave. Non solo perché i ragazzi sopportano Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo peggio degli adulti le fatiche e il digiuno, ma soprattutto perché qui, per sopravvivere, occorre un lungo allena-mento alla lotta di ciascuno contro tutti, che i giovani raramente posseggono. Null Achtzehn non è neppure particolarmente indebolito, ma tutti rifuggono dal lavorare con lui. Tutto gli è a tal segno indifferente che non si cu-ra piú di evitare la fatica e le percosse e di cercare il ci-bo. Eseguisce tutti gli ordini che riceve, ed è prevedibile che, quando lo manderanno alla morte, ci andrà con questa stessa totale indifferenza.

Non possiede la rudimentale astuzia dei cavalli da trai-no, che smettono di tirare un po’ prima di giungere all’esaurimento: ma tira o porta o spinge finché le forze glielo permettono, poi cede di schianto, senza una parola di avvertimento, senza sollevare dal suolo gli occhi tristi e opachi. Mi ricorda i cani da slitta dei libri di London, che faticano fino all’ultimo respiro e muoiono sulla pista.

Ora, poiché noi tutti cerchiamo invece con ogni mezzo di sottrarci alla fatica, Null Achtzehn è quello che lavora piú di tutti. Per questo, e perché è un compagno pericoloso, nessuno vuol lavorare con lui; e siccome d’altronde nessuno vuol lavorare con me, perché sono debole e maldestro, cosí spesso accade che ci troviamo accoppiati.

Are sens