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Add to favorite Se questo è un uomo – Primo Levi

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In questo modo discreto e composto, senza apparato e senza collera, per le baracche del Ka-Be si aggira ogni giorno la strage, e tocca questo o quello. Quando Schmulek è partito, mi ha lasciato cucchiaio e coltello; Walter e io abbiamo evitato di guardarci e siamo rimasti a lungo silenziosi. Poi Walter mi ha chiesto come posso conservare cosí a lungo la mia razione di pane, e mi ha spiegato che lui di solito taglia la sua per il lungo, in mo-do da avere fette piú larghe su cui è piú agevole spalma-re la margarina.

Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo Walter mi spiega molte cose: Schonungsblock vuol dire baracca di riposo, qui ci sono solo malati leggeri, o convalescenti, o non bisognosi di cure. Fra questi, almeno una cinquantina di dissenterici piú o meno gravi.

Costoro vengono controllati ogni terzo giorno. Si mettono in fila lungo il corridoio; all’estremità stanno due bacinelle di latta e l’infermiere, con registro, orologio e matita. A due per volta, i malati si presentano, e devono dimostrare, sul posto e subito, che la loro diarrea persiste; a tale scopo viene loro concesso un minuto esatto.

Dopo di che presentano il risultato all’infermiere, il quale osserva e giudica; lavano rapidamente le bacinelle in una apposita tinozza, e subentrano i due successivi.

Fra coloro che attendono, alcuni si torcono nello spasimo di trattenere la preziosa testimonianza ancora venti, ancora dieci minuti; altri, privi di risorse in quel momento, tendono vene e muscoli nello sforzo opposto.

L’infermiere assiste impassibile, mordicchiando la matita, uno sguardo all’orologio, uno sguardo ai campioni che gli vengono via via presentati. Nei casi dubbi, parte con la bacinella e va a sottoporla al medico.

...Ho ricevuto una visita: è Piero Sonnino, il romano.

– Hai visto come l’ho buscherato? –: Piero ha una ente-rite assai leggera, è qui da venti giorni, e ci sta bene, si riposa e ingrassa, se ne infischia delle selezioni e ha deciso di restare in Ka-Be fino alla fine dell’inverno, a ogni costo. Il suo metodo consiste nel mettersi in fila dietro a qualche dissenterico autentico, che offra garanzia di successo; quando viene il suo turno gli domanda la sua collaborazione (da rimunerarsi con zuppa o pane), e se quello ci sta, e l’infermiere ha un momento di disattenzione, scambia le bacinelle in mezzo alla ressa e il colpo è fatto. Piero sa quello che rischia, ma finora gli è sempre andata bene.

Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo Ma la vita del Ka-Be non è questa. Non sono gli atti-mi cruciali delle selezioni, non sono gli episodi grotte-schi dei controlli della diarrea e dei pidocchi, non sono neppure le malattie.

Il Ka-Be è il Lager a meno del disagio fisico. Perciò, chi ancora ha seme di coscienza, vi riprende coscienza; perciò, nelle lunghissime giornate vuote, vi si parla di altro che di fame e di lavoro, e ci accade di considerare che cosa ci hanno fatti diventare, quanto ci è stato tolto, che cosa è questa vita. In questo Ka-Be, parentesi di relativa pace, abbiamo imparato che la nostra personalità è fragile, è molto piú in pericolo che non la nostra vita; e i savi antichi, invece di ammonirci «ricordati che devi morire», meglio avrebbero fatto a ricordarci questo maggior pericolo che ci minaccia. Se dall’interno dei Lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui.

Quando si lavora, si soffre e non si ha tempo di pensare: le nostre case sono meno di un ricordo. Ma qui il tempo è per noi: da cuccetta a cuccetta, nonostante il divieto, ci scambiamo visite, e parliamo e parliamo. La baracca di legno, stipata di umanità dolente, è piena di parole, di ricordi e di un altro dolore. «Heimweh» si chiama in tedesco questo dolore; è una bella parola, vuol dire «dolore della casa».

Sappiamo donde veniamo: i ricordi del mondo di fuori popolano i nostri sonni e le nostre veglie, ci accor-giamo con stupore che nulla abbiamo dimenticato, ogni memoria evocata ci sorge davanti dolorosamente nitida.

Ma dove andiamo non sappiamo. Potremo forse sopravvivere alle malattie e sfuggire alle scelte, forse anche resistere al lavoro e alla fame che ci consumano: e dopo?

Qui, lontani momentaneamente dalle bestemmie e dai colpi, possiamo rientrare in noi stessi e meditare, e allora diventa chiaro che non ritorneremo. Noi abbiamo viag-Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo giato fin qui nei vagoni piombati; noi abbiamo visto partire verso il niente le nostre donne e i nostri bambini; noi fatti schiavi abbiamo marciato cento volte avanti e indietro alla fatica muta, spenti nell’anima prima che dalla morte anonima. Noi non ritorneremo. Nessuno deve uscire di qui, che potrebbe portare al mondo, insieme col segno impresso nella carne, la mala novella di quanto, ad Auschwitz, è bastato animo all’uomo di fare dell’uomo.

Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo LE NOSTRE NOTTI

Dopo venti giorni di Ka-Be, essendosi la mia ferita praticamente rimarginata, con mio vivo dispiacere sono stato messo in uscita.

La cerimonia è semplice, ma comporta un doloroso e pericoloso periodo di riassestamento. Chi non dispone di particolari appoggi, all’uscita dal Ka-Be non viene restituito al suo Block e al suo Kommando di prima, ma è arruolato, in base a criteri a me sconosciuti, in una qualsiasi altra baracca e avviato a un qualsiasi altro lavoro.

Di piú, dal Ka-Be si esce nudi; si ricevono vestiti e scarpe «nuovi» (intendo dire, non quelli lasciati all’ingresso), intorno a cui bisogna adoperarsi con rapidità e diligenza per adattarli alla propria persona, il che comporta fatica e spese. Occorre procurarsi daccapo cucchiaio e coltello; infine, e questa è la circostanza piú grave, ci si trova intrusi in un ambiente sconosciuto, fra compagni mai visti e ostili, con capi di cui non si conosce il carattere e da cui quindi è difficile guardarsi.

La facoltà umana di scavarsi una nicchia, di secernere un guscio, di erigersi intorno una tenue barriera di difesa, anche in circostanze apparentemente disperate, è stupefacente, e meriterebbe uno studio approfondito. Si tratta di un prezioso lavorio di adattamento, in parte passivo e inconscio, e in parte attivo: di piantare un chiodo sopra la cuccetta per appendervi le scarpe di notte; di stipulare taciti patti di non aggressione coi vicini; di intuire e accettare le consuetudini e le leggi del singolo Kommando e del singolo Block. In virtú di questo lavoro, dopo qualche settimana si riesce a raggiungere un certo equilibrio, un certo grado di sicurezza di fronte agli imprevisti; ci si è fatto un nido, il trauma del travasamento è superato.

Ma l’uomo che esce dal Ka-Be, nudo e quasi sempre Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo insufficientemente ristabilito, si sente proiettato nel buio e nel gelo dello spazio siderale. I pantaloni gli ca-scano di dosso, le scarpe gli fanno male, la camicia non ha bottoni. Cerca un contatto umano, e non trova che schiene voltate. È inerme e vulnerabile come un neona-to, eppure al mattino dovrà marciare al lavoro.

In queste condizioni mi trovo io quando l’infermiere, dopo i vari riti amministrativi prescritti, mi ha affidato alle cure del Blockältester del Block 45. Ma subito un pensiero mi colma di gioia: ho avuto fortuna, questo è il Block di Alberto!

Alberto è il mio migliore amico. Non ha che ventidue anni, due meno di me, ma nessuno di noi italiani ha dimostrato capacità di adattamento simili alle sue. Alberto è entrato in Lager a testa alta, e vive in Lager illeso e in-corrotto. Ha capito prima di tutti che questa vita è guerra; non si è concesso indulgenze, non ha perso tempo a recriminare e a commiserare sé e gli altri, ma fin dal primo giorno è sceso in campo. Lo sostengono intelligenza e istinto: ragiona giusto, spesso non ragiona ed è ugual-mente nel giusto. Intende tutto a volo: non sa che poco francese, e capisce quanto gli dicono tedeschi e polacchi. Risponde in italiano e a gesti, si fa capire e subito riesce simpatico. Lotta per la sua vita, eppure è amico di tutti. «Sa» chi bisogna corrompere, chi bisogna evitare, chi si può impietosire, a chi si deve resistere.

Eppure (e per questa sua virtú oggi ancora la sua memoria mi è cara e vicina) non è diventato un tristo. Ho sempre visto, e ancora vedo in lui, la rara figura dell’uo-mo forte e mite, contro cui si spuntano le armi della notte.

Non sono però riuscito a ottenere di dormire in cuccetta con lui, e neppure Alberto ci è riuscito, quantunque nel Block 45 egli goda ormai di una certa popola-rità. È peccato, perché avere un compagno di letto di cui fidarsi, o con cui almeno ci si possa intendere, è un Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo inestimabile vantaggio; e inoltre, adesso è inverno, e le notti sono lunghe, e dal momento che siamo costretti a scambiare sudore, odore e calore con qualcuno, sotto la stessa coperta e in settanta centimetri di larghezza, è assai desiderabile che si tratti di un amico.

D’inverno le notti sono lunghe, e ci è concesso per il sonno un intervallo di tempo considerevole.

Si spegne a poco a poco il tumulto del Block; da piú di un’ora è terminata la distribuzione del rancio serale, e soltanto qualche ostinato persiste a grattare il fondo ormai lucido della gamella, rigirandola minuziosamente sotto la lampada, con la fronte corrugata per l’attenzione. L’ingegner Kardos gira per le cuccette a medicare i piedi feriti ed i calli suppurati, questa è la sua industria; non c’è chi non rinunzi volentieri ad una fetta di pane, pur che gli venga alleviato il tormento delle piaghe torpide, che sanguinano ad ogni passo per tutta la giornata, ed in questo modo, onestamente, l’ingegner Kardos ha risolto il problema di vivere.

Dalla porticina posteriore, di nascosto e guardandosi attorno con cautela, è entrato il cantastorie. Si è seduto sulla cuccetta di Wachsmann, e subito gli si è raccolta attorno una piccola folla attenta e silenziosa. Lui canta una interminabile rapsodia yiddisch, sempre la stessa, in quartine rimate, di una melanconia rassegnata e pene-trante (o forse tale la ricordo perché allora ed in quel luogo l’ho udita?); dalle poche parole che capisco, dev’essere una canzone da lui stesso composta, dove ha racchiuso tutta la vita del Lager, nei piú minuti particolari. Qualcuno è generoso, e rimunera il cantastorie con un pizzico di tabacco o una gugliata di filo; altri ascolta-no assorti, ma non dànno nulla.

Risuona ancora improvviso il richiamo per l’ultima funzione della giornata: – Wer hat kaputt die Schuhe? –

Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo (chi ha le scarpe rotte?) e subito si scatena il fragore dei quaranta o cinquanta pretendenti al cambio, i quali si precipitano verso il Tagesraum con furia disperata, ben sapendo che soltanto i dieci primi arrivati, nella migliore delle ipotesi, saranno soddisfatti.

Poi è la quiete. La luce si spegne una prima volta, per pochi secondi, per avvisare i sarti di riporre il preziosis-simo ago e il filo; poi suona lontano la campana, e allora si insedia la guardia di notte e tutte le luci si spengono definitivamente. Non ci resta che spogliarci e coricarci.

Non so chi sia il mio vicino; non sono neppure sicuro che sia sempre la stessa persona, perché non l’ho mai visto in viso se non per qualche attimo nel tumulto della sveglia, in modo che molto meglio del suo viso conosco il suo dorso e i suoi piedi. Non lavora nel mio Kommando e viene in cuccetta solo al momento del silenzio; si avvoltola nella coperta, mi spinge da parte con un colpo delle anche ossute, mi volge il dorso e comincia subito a russare. Schiena contro schiena, io mi adopero per con-quistarmi una superficie ragionevole di pagliericcio; esercito colle reni una pressione progressiva contro le sue reni, poi mi rigiro e provo a spingere colle ginocchia, gli prendo le caviglie e cerco di sistemarle un po’

piú in là in modo da non avere i suoi piedi accanto al vi-so: ma tutto è inutile, è molto piú pesante di me e sembra pietrificato dal sonno.

Allora io mi adatto a giacere cosí, costretto all’immo-bilità, per metà sulla sponda di legno. Tuttavia sono cosí stanco e stordito che in breve scivolo anch’io nel sonno e mi pare di dormire sui binari del treno.

Il treno sta per arrivare: si sente ansare la locomotiva, la quale è il mio vicino. Non sono ancora tanto addormentato da non accorgermi della duplice natura della locomotiva. Si tratta precisamente di quella locomotiva Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo che rimorchiava oggi in Buna i vagoni che ci hanno fatto scaricare: la riconosco dal fatto che anche ora, come quando è passata vicina a noi, si sente il calore che irra-dia dal suo fianco nero. Soffia, è sempre piú vicina, è sempre sul punto di essermi addosso, e invece non arriva mai. Il mio sonno è molto sottile, è un velo, se voglio lo lacero. Lo farò, voglio lacerarlo, cosí potrò togliermi dai binari. Ecco, ho voluto, e ora sono sveglio: ma non proprio sveglio, soltanto un po’ di piú, al gradino superiore della scala fra l’incoscienza e la coscienza. Ho gli occhi chiusi, e non li voglio aprire per non lasciar fuggire il sonno, ma posso percepire i rumori: questo fischio lontano sono sicuro che è vero, non viene dalla locomotiva sognata, è risuonato oggettivamente: è il fischio della Decauville, viene dal cantiere che lavora anche di notte. Una lunga nota ferma, poi un’altra piú bassa di un semitono, poi di nuovo la prima, ma breve e tronca.

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