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Add to favorite Se questo è un uomo – Primo Levi

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Mentre, a mani vuote, ancora una volta torniamo strascicando i piedi dal magazzino, una locomotiva fischia breve e ci taglia la strada. Contenti della interruzione forzata, Null Achtzehn ed io ci fermiamo: curvi e laceri, aspettiamo che i vagoni abbiano finito di sfilarci lentamente davanti.

... Deutsche Reichsbahn. Deutsche Reichsbahn.

SNCF. Due giganteschi vagoni russi, con la falce e il martello mal cancellati. Deutsche Reichsbahn. Poi, Cavalli 8, Uomini 40, Tara, Portata: un vagone italiano. ....

Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo Salirvi dentro, in un angolo, ben nascosto sotto il carbone, e stare fermo e zitto, al buio, ad ascoltare senza fine il ritmo delle rotaie, piú forte della fame e della stanchezza; finché, a un certo momento, il treno si fermereb-be, e sentirei l’aria tiepida e odore di fieno, e potrei uscire fuori, nel sole: allora mi coricherei a terra, a baciare la terra, come si legge nei libri: col viso nell’erba. E passe-rebbe una donna, e mi chiederebbe «Chi sei?» in italiano, e io le racconterei, in italiano, e lei capirebbe, e mi darebbe da mangiare e da dormire. E non crederebbe alle cose che io dico, e io le farei vedere il numero che ho sul braccio, e allora crederebbe...

… È finito. L’ultimo vagone è passato, e, come al sol-levarsi di un sipario, ci sta davanti agli occhi la catasta dei supporti di ghisa, il Kapo in piedi sulla catasta con una verga in mano, i compagni sparuti, a coppie, che vengono e vanno.

Guai a sognare: il momento di coscienza che accompagna il risveglio è la sofferenza piú acuta. Ma non ci capita sovente, e non sono lunghi sogni: noi non siamo che bestie stanche.

Ancora una volta siamo ai piedi della catasta. Mischa e il Galiziano alzano un supporto e ce lo posano con malgarbo sulle spalle. Il loro posto è il meno faticoso, perciò essi fanno sfoggio di zelo per conservarlo: chiamano i compagni che indugiano, incitano, esortano, im-pongono al lavoro un ritmo insostenibile. Questo mi riempie di sdegno, pure già so ormai che è nel normale ordine delle cose che i privilegiati opprimano i non privilegiati: su questa legge umana si regge la struttura sociale del campo.

Questa volta tocca a me camminare davanti. Il supporto è pesante ma molto corto, per cui a ogni passo sento, dietro di me, i piedi di Null Achtzehn che ince-Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo spicano contro i miei, poiché egli non è capace, o non si cura, di seguire il mio passo.

Venti passi, siamo arrivati al binario, c’è un cavo da scavalcare. Il carico è mal messo, qualcosa non va, tende a scivolare dalla spalla. Cinquanta passi, sessanta. La porta del magazzino; ancora altrettanto cammino e lo deporremo. Basta, è impossibile andare oltre, il carico mi grava ormai interamente sul braccio; non posso sopportare piú a lungo il dolore e la fatica, grido, cerco di voltarmi: appena in tempo per vedere Null Achtzehn inciampare e buttare tutto.

Se avessi avuto la mia agilità di un tempo, avrei potuto balzare indietro: invece eccomi a terra, con tutti i muscoli contratti, il piede colpito stretto fra le mani, cieco di dolore. Lo spigolo di ghisa mi ha colpito di taglio il dorso del piede sinistro.

Per un minuto, tutto si annulla nella vertigine della sofferenza. Quando mi posso guardare attorno, Null Achtzehn è ancora là in piedi, non si è mosso, colle mani infilate nelle maniche, senza dire una parola, mi guarda senza espressione. Arrivano Mischa e il Galiziano, parlano fra di loro in yiddisch, mi dànno non so che consigli.

Arrivano Templer e David e tutti gli altri: approfittano del diversivo per sospendere il lavoro. Arriva il Kapo, distribuisce pedate, pugni e improperi, i compagni si di-sperdono come pula al vento; Null Achtzehn si porta una mano al naso e se la guarda àtono sporca di sangue.

A me non toccano che due schiaffi al capo, di quelli che non fanno male perché stordiscono.

L’incidente è chiuso. Constato che, bene o male, mi posso reggere in piedi, l’osso non deve essere rotto. Non oso togliere la scarpa per paura di risvegliare il dolore, e anche perché so che poi il piede gonfierà e non potrò piú rimetterla.

Il Kapo mi manda a sostituire il Galiziano alla catasta, e questi, guardandomi torvo, va a prendere il suo posto Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo accanto a Null Achtzehn; ma ormai già passano i prigionieri inglesi, sarà presto ora di rientrare al campo.

Durante la marcia faccio del mio meglio per camminare svelto, ma non riesco a tenere il passo; il Kapo designa Null Achtzehn e Finder perché mi sostengano fino al passaggio davanti alle SS, e finalmente (fortunatamen-te stasera non c’è appello) sono in baracca e mi posso buttare sulla cuccetta e respirare.

Forse è il calore, forse la fatica della marcia, ma il dolore si è risvegliato, assieme a una strana sensazione di umidità al piede ferito. Tolgo la scarpa: è piena di sangue, ormai rappreso e impastato con il fango e coi brandelli del cencio che ho trovato un mese fa e che adopero come pezza da piedi, un giorno a destra, un giorno a sinistra.

Stasera, subito dopo la zuppa, andrò in Ka-Be.

Ka-Be è abbreviazione di Krankenbau, l’infermeria.

Sono otto baracche, simili in tutto alle altre del campo, ma separate da un reticolato. Contengono permanente-mente un decimo della popolazione del campo, ma pochi vi soggiornano piú di due settimane e nessuno piú di due mesi: entro questi termini siamo tenuti a morire o a guarire. Chi ha tendenza alla guarigione, in Ka-Be viene curato; chi ha tendenza ad aggravarsi, dal Ka-Be viene mandato alle camere a gas.

Tutto questo perché noi, per nostra fortuna, apparte-niamo alla categoria degli «ebrei economicamente utili».

Al Ka-Be non sono mai stato, neppure all’Ambulatorio, e tutto qui è nuovo per me.

Gli ambulatori sono due, Medico e Chirurgico. Davanti alla porta, nella notte e nel vento, stanno due lunghe file di ombre. Alcuni hanno bisogno solo di un ben-daggio o di qualche pillola, altri chiedono visita; qualcuno ha la morte in viso. I primi delle due file già sono scalzi e pronti a entrare; gli altri, a mano a mano Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo che il loro turno di ingresso si avvicina, si ingegnano, in mezzo alla ressa, di sciogliere i legacci di fortuna e i fili di ferro delle calzature, e di svolgere, senza lacerarle, le preziose pezze da piedi; non troppo presto, per non stare inutilmente nel fango a piedi nudi; non troppo tardi, per non perdere il turno d’ingresso: poiché entrare in Ka-Be con le scarpe è rigorosamente proibito. Chi fa rispettare il divieto è un gigantesco Häftling francese, il quale risiede nella guardiola che sta fra le porte dei due ambulatori. È uno dei pochi funzionari francesi del campo: né si pensi che il passare la propria giornata fra le scarpe fangose e sbrindellate costituisca un piccolo privilegio. Basta pensare a quanti entrano in Ka-Be colle scarpe, e ne escono senza averne piú bisogno...

Quando arriva la mia volta, riesco miracolosamente a togliermi scarpe e stracci senza perdere gli uni né le altre, senza farmi rubare la gamella né i guanti, e senza perdere l’equilibrio, pur stringendo sempre in mano il berretto, che per nessuna ragione si può tenere in capo quando si entra nelle baracche.

Lascio le scarpe al deposito e ritiro lo scontrino relativo, dopo di che, scalzo e zoppicante, le mani impedite da tutte le povere mie cose che non posso lasciare da nessuna parte, sono ammesso all’interno e mi accodo a una nuova fila che fa capo alla sala delle visite.

In questa fila ci si spoglia progressivamente, e quando si arriva verso la testa, bisogna essere nudi perché un infermiere ci infila il termometro sotto l’ascella; se qualcuno è vestito, perde il turno e ritorna ad accodarsi. Tutti devono ricevere il termometro, anche se hanno soltanto la scabbia o il mal di denti.

In questo modo si è sicuri che chi non è seriamente malato non si sobbarcherà per capriccio a questo complicato rituale.

Arriva finalmente la mia volta: sono ammesso davanti al medico, l’infermiere mi toglie il termometro e mi an-Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo nuncia: – Nummer 174 517, kein Fieber –. Per me non occorre una visita a fondo: sono immediatamente dichia-rato Arztvormelder, che cosa voglia dire non so, non è certo questo il posto di domandare spiegazioni. Mi trovo espulso, ricupero le scarpe e ritorno in baracca.

Chajim si felicita con me: ho una buona ferita, non pare pericolosa e mi garantisce un discreto periodo di riposo. Passerò la notte in baracca con gli altri, ma domani mattina, invece di andare al lavoro, mi debbo ripre-sentare ai medici per la visita definitiva: questo vuol dire Arztvormelder. Chajim è pratico di queste cose, e pensa che probabilmente domani verrò ammesso al Ka-Be.

Chajim è il mio compagno di letto, ed io ho in lui una fiducia cieca. È un polacco, ebreo pio, studioso della Legge. Ha press’a poco la mia età, è di mestiere orologiaio, e qui in Buna fa il meccanico di precisione; è perciò fra i pochi che conservino la dignità e la sicurezza di sé che nascono dall’esercitare un’arte per cui si è preparati.

Cosí è stato. Dopo la sveglia e il pane, mi hanno chia-mato fuori con altri tre della mia baracca. Ci hanno portati in un angolo della piazza dell’Appello, dove c’era una lunga fila, tutti gli Arztvormelder di oggi; è venuto un tale e mi ha portato via gamella cucchiaio berretto e guanti.

Gli altri hanno riso, non sapevo che dovevo nasconderli o affidarli a qualcuno, o meglio che tutto venderli, e che in Ka-Be non si possono portare? Poi guardano il mio numero e scuotono il capo: da uno che ha un numero cosí alto ci si può aspettare qualunque sciocchezza.

Poi ci hanno contati, ci hanno fatti spogliare fuori al freddo, ci hanno tolto le scarpe, ci hanno di nuovo contati, ci hanno rasa la barba i capelli e i peli, ci hanno contati ancora, e ci hanno fatto fare una doccia; poi è venuta una SS, ci ha guardati senza interesse, si è sofferma-ta davanti a uno che ha un grosso idrocele, e lo ha fatto mettere da parte. Dopo di che ci hanno contati ancora una volta e ci hanno fatto fare un’altra doccia, benché Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo fossimo ancora bagnati della prima e alcuni tremassero di febbre.

Ora siamo pronti per la visita definitiva. Fuori dalla finestra si vede il cielo bianco, e qualche volta il sole; in questo paese lo si può guardare fisso, attraverso le nuvole, co-me attraverso un vetro affumicato. A giudicare dalla sua posizione, debbono essere le quattordici passate: addio zuppa ormai, e siamo in piedi da dieci ore e nudi da sei.

Anche questa seconda visita medica è straordinaria-mente rapida: il medico (ha il vestito a righe come noi, ma sopra indossa un camice bianco, ed ha il numero cucito sul camice, ed è molto piú grasso di noi) guarda e palpa il mio piede gonfio e sanguinante, al che io grido di dolore, poi dice: – Aufgenommen, Block 23 –. Io resto lí a bocca aperta, in attesa di qualche altra indicazione, ma qualcuno mi tira brutalmente indietro, mi getta un mantello sulle spalle nude, mi porge un paio di sandali e mi caccia all’aperto.

A un centinaio di metri c’è il Block 23; sopra c’è scritto «Schonungsblock»: chissà cosa vorrà dire? Dentro, mi tolgono mantello e sandali, e io mi trovo ancora una volta nudo e ultimo di una fila di scheletri nudi: i ricoverati di oggi.

Da molto tempo ho smesso di cercare di capire. Per quanto mi riguarda, sono ormai cosí stanco di reggermi sul piede ferito e non ancora medicato, cosí affamato e pieno di freddo, che nulla piú mi interessa. Questo può benissimo essere l’ultimo dei miei giorni, e questa camera la camera dei gas di cui tutti parlano, che ci potrei fa-re? Tanto vale appoggiarsi al muro e chiudere gli occhi e aspettare.

Il mio vicino non deve essere ebreo. Non è circonci-so, e poi (questa è una delle poche cose che ho imparato finora) una pelle cosí bionda, un viso e una corporatura cosí massicci sono caratteristici dei polacchi non ebrei.

Are sens