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Add to favorite Se questo è un uomo – Primo Levi

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Questa volta dentro siamo noi.

Tutti scoprono, piú o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i due stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito. Vi si oppone la nostra sempre insufficiente conoscenza del futuro; e que-Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo sto si chiama, in un caso, speranza, e nell’altro, incertezza del domani. Vi si oppone la sicurezza della morte, che impone un limite a ogni gioia, ma anche a ogni dolore.

Vi si oppongono le inevitabili cure materiali, che, come inquinano ogni felicità duratura, cosí distolgono assi-duamente la nostra attenzione dalla sventura che ci so-vrasta, e ne rendono frammentaria, e perciò sostenibile, la consapevolezza.

Sono stati proprio i disagi, le percosse, il freddo, la se-te, che ci hanno tenuti a galla sul vuoto di una disperazione senza fondo, durante il viaggio e dopo. Non già la volontà di vivere, né una cosciente rassegnazione: ché pochi sono gli uomini capaci di questo, e noi non eravamo che un comune campione di umanità.

Gli sportelli erano stati chiusi subito, ma il treno non si mosse che a sera. Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz: un nome privo di significato, allora e per noi; ma doveva pur corrispondere a un luogo di questa terra.

Il treno viaggiava lentamente, con lunghe soste sner-vanti. Dalla feritoia, vedemmo sfilare le alte rupi pallide della val d’Adige, gli ultimi nomi di città italiane. Pas-sammo il Brennero alle dodici del secondo giorno, e tutti si alzarono in piedi, ma nessuno disse parola. Mi stava nel cuore il pensiero del ritorno, e crudelmente mi rap-presentavo quale avrebbe potuto essere la inumana gioia di quell’altro passaggio, a portiere aperte, ché nessuno avrebbe desiderato fuggire, e i primi nomi italiani... e mi guardai intorno, e pensai quanti, fra quella povera polvere umana, sarebbero stati toccati dal destino.

Fra le quarantacinque persone del mio vagone, quattro soltanto hanno rivisto le loro case; e fu di gran lunga il vagone piú fortunato.

Soffrivamo per la sete e il freddo: a tutte le fermate chiedevamo acqua a gran voce, o almeno un pugno di neve, ma raramente fummo uditi; i soldati della scorta Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo allontanavano chi tentava di avvicinarsi al convoglio.

Due giovani madri, coi figli ancora al seno, gemevano notte e giorno implorando acqua. Meno tormentose erano per tutti la fame, la fatica e l’insonnia, rese meno pe-nose dalla tensione dei nervi: ma le notti erano incubi senza fine.

Pochi sono gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non quelli che ti aspetteresti. Pochi sanno tacere, e rispettare il silenzio altrui. Il nostro sonno inquieto era interrotto sovente da liti rumorose e fu-tili, da imprecazioni, da calci e pugni vibrati alla cieca come difesa contro qualche contatto molesto e inevita-bile. Allora qualcuno accendeva la lugubre fiammella di una candela, e rivelava, prono sul pavimento, un bruli-chio fosco, una materia umana confusa e continua, tor-pida e dolorosa, sollevata qua e là da convulsioni im-provvise subito spente dalla stanchezza.

Dalla feritoia, nomi noti e ignoti di città austriache, Salisburgo, Vienna; poi cèche, infine polacche. Alla sera del quarto giorno, il freddo si fece intenso: il treno per-correva interminabili pinete nere, salendo in modo per-cettibile. La neve era alta. Doveva essere una linea secondaria, le stazioni erano piccole e quasi deserte. Nessuno tentava piú, durante le soste, di comunicare col mondo esterno: ci sentivamo ormai «dall’altra parte». Vi fu una lunga sosta in aperta campagna, poi la marcia riprese con estrema lentezza, e il convoglio si arrestò definitivamente, a notte alta, in mezzo a una pianura buia e silenziosa.

Si vedevano, da entrambi i lati del binario, file di lumi bianchi e rossi, a perdita d’occhio; ma nulla di quel ru-morio confuso che denunzia di lontano i luoghi abitati.

Alla luce misera dell’ultima candela, spento il ritmo delle rotaie, spento ogni suono umano, attendemmo che qualcosa avvenisse.

Accanto a me, serrata come me fra corpo e corpo, era stata per tutto il viaggio una donna. Ci conoscevamo da Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo molti anni, e la sventura ci aveva colti insieme, ma poco sapevamo l’uno dell’altra. Ci dicemmo allora, nell’ora della decisione, cose che non si dicono fra i vivi. Ci salutammo, e fu breve; ciascuno salutò nell’altro la vita. Non avevamo piú paura.

Venne a un tratto lo scioglimento. La portiera fu aperta con fragore, il buio echeggiò di ordini stranieri, e di quei barbarici latrati dei tedeschi quando comandano, che sembrano dar vento a una rabbia vecchia di secoli. Ci apparve una vasta banchina illuminata da riflettori. Poco oltre, una fila di autocarri. Poi tutto tacque di nuovo. Qualcuno tradusse: bisognava scendere coi bagagli, e depositare questi lungo il treno. In un momento la banchina fu brulicante di ombre: ma avevamo paura di rompere quel silenzio, tutti si affaccendavano intorno ai bagagli, si cercavano, si chiamavan l’un l’altro, ma timidamente, a mezza voce.

Una decina di SS stavano in disparte, l’aria indifferente, piantati a gambe larghe. A un certo momento, penetrarono fra di noi, e, con voce sommessa, con visi di pietra, presero a interrogarci rapidamente, uno per uno, in cattivo italiano. Non interrogavano tutti, solo qualcuno.

«Quanti anni? Sano o malato?» e in base alla risposta ci indicavano due diverse direzioni.

Tutto era silenzioso come in un acquario, e come in certe scene di sogni. Ci saremmo attesi qualcosa di piú apocalittico: sembravano semplici agenti d’ordine. Era sconcertante e disarmante. Qualcuno osò chiedere dei bagagli: risposero «bagagli dopo»; qualche altro non voleva lasciare la moglie: dissero «dopo di nuovo insieme»; molte madri non volevano separarsi dai figli: dissero

«bene bene, stare con figlio». Sempre con la pacata sicurezza di chi non fa che il suo ufficio di ogni giorno; ma Renzo indugiò un istante di troppo a salutare Francesca, Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo che era la sua fidanzata, e allora con un solo colpo in pieno viso lo stesero a terra: era il loro ufficio di ogni giorno.

In meno di dieci minuti tutti noi uomini validi fummo radunati in un gruppo. Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire allora né dopo: la notte li inghiottí, puramente e semplicemente. Oggi però sappiamo che in quella scelta rapida e sommaria, di ognuno di noi era stato giudicato se potesse o no lavorare utilmente per il Reich; sappiamo che nei campi rispettivamente di Buna-Monowitz e Birkenau, non entrarono, del nostro convoglio, che novantasei uomini e ventinove donne, e che di tutti gli altri, in numero di piú di cinquecento, non uno era vivo due giorni piú tardi. Sappiamo anche, che non sempre questo pur tenue principio di discriminazione in abili e inabili fu seguito, e che successivamente fu adottato spesso il sistema piú semplice di aprire entrambe le portiere dei vagoni, senza avvertimenti né istruzioni ai nuovi arrivati.

Entravano in campo quelli che il caso faceva scendere da un lato del convoglio; andavano in gas gli altri.

Cosí morí Emilia, che aveva tre anni; poiché ai tedeschi appariva palese la necessità storica di mettere a morte i bambini degli ebrei. Emilia, figlia dell’ingegner Aldo Levi di Milano, che era una bambina curiosa, ambiziosa, allegra e intelligente; alla quale, durante il viaggio nel vagone gremito, il padre e la madre erano riusciti a fare il bagno in un mastello di zinco, in acqua tiepida che il de-genere macchinista tedesco aveva acconsentito a spillare dalla locomotiva che ci trascinava tutti alla morte.

Scomparvero cosí, in un istante, a tradimento, le nostre donne, i nostri genitori, i nostri figli. Quasi nessuno ebbe modo di salutarli. Li vedemmo un po’ di tempo come una massa oscura all’altra estremità della banchina, poi non vedemmo piú nulla.

Emersero invece nella luce dei fanali due drappelli di Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo strani individui. Camminavano inquadrati, per tre, con un curioso passo impacciato, il capo spenzolato in avanti e le braccia rigide. In capo avevano un buffo berrettino, ed erano vestiti di una lunga palandrana a righe, che anche di notte e di lontano si indovinava sudicia e stracciata.

Descrissero un ampio cerchio attorno a noi, in modo da non avvicinarci, e, in silenzio, si diedero ad armeggiare coi nostri bagagli, e a salire e scendere dai vagoni vuoti.

Noi ci guardavamo senza parola. Tutto era incomprensibile e folle, ma una cosa avevamo capito. Questa era la metamorfosi che ci attendeva. Domani anche noi saremmo diventati cosí.

Senza sapere come, mi trovai caricato su di un autocarro con una trentina di altri; l’autocarro partí nella notte a tutta velocità; era coperto e non si poteva vedere fuori, ma dalle scosse si capiva che la strada aveva molte curve e cunette. Eravamo senza scorta? ...buttarsi giú?

Troppo tardi, troppo tardi, andiamo tutti «giú». D’altronde, ci siamo presto accorti che non siamo senza scorta: è una strana scorta. È un soldato tedesco, irto d’armi: non lo vediamo perché è buio fitto, ma ne sentiamo il contatto duro ogni volta che uno scossone del veicolo ci getta tutti in mucchio a destra o a sinistra. Accende una pila tascabile, e invece di gridare «Guai a voi, anime prave» ci domanda cortesemente ad uno ad uno, in tedesco e in lingua franca, se abbiamo danaro od orologi da cedergli: tanto dopo non ci servono piú. Non è un comando, non è regolamento questo: si vede bene che è una piccola iniziativa privata del nostro caronte.

La cosa suscita in noi collera e riso e uno strano sollievo.

Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo SUL FONDO

Il viaggio non durò che una ventina di minuti. Poi l’autocarro si è fermato, e si è vista una grande porta, e sopra una scritta vivamente illuminata (il suo ricordo ancora mi percuote nei sogni): arbeit macht frei, il lavoro rende liberi.

Siamo scesi, ci hanno fatti entrare in una camera vasta e nuda, debolmente riscaldata. Che sete abbiamo! Il debole fruscio dell’acqua nei radiatori ci rende feroci: sono quattro giorni che non beviamo. Eppure c’è un rubinetto: sopra un cartello, che dice che è proibito bere perché l’acqua è inquinata. Sciocchezze, a me pare ovvio che il cartello è una beffa, «essi» sanno che noi moriamo di sete, e ci mettono in una camera e c’è un rubinetto, e Wassertrinken verboten. Io bevo, e incito i compagni a farlo; ma devo sputare, l’acqua è tiepida e dolciastra, ha odore di palude.

Questo è l’inferno. Oggi, ai nostri giorni, l’inferno de-ve essere cosí, una camera grande e vuota, e noi stanchi stare in piedi, e c’è un rubinetto che gocciola e l’acqua non si può bere, e noi aspettiamo qualcosa di certamente terribile e non succede niente e continua a non succedere niente. Come pensare? Non si può piú pensare, è come essere già morti. Qualcuno si siede per terra. Il tempo passa goccia a goccia.

Non siamo morti; la porta si è aperta ed è entrata una SS, sta fumando. Ci guarda senza fretta, chiede: – Wer kann Deutsch? Si fa avanti uno fra noi che non ho mai visto, si chiama Flesch; sarà lui il nostro interprete. La SS fa un lungo discorso pacato: l’interprete traduce. Bisogna mettersi in fila per cinque, a intervalli di due metri fra uomo e uomo; poi bisogna spogliarsi e fare un fagotto degli abiti in un certo modo, gli indumenti di lana da una parte e tutto il resto dall’altra, togliersi le scarpe ma far molta attenzione di non farcele rubare.

Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo Rubare da chi? perché ci dovrebbero rubare le scarpe? e i nostri documenti, il poco che abbiamo in tasca, gli orologi? Tutti guardiamo l’interprete, e l’interprete interrogò il tedesco, e il tedesco fumava e lo guardò da parte a parte come se fosse stato trasparente, come se nessuno avesse parlato.

Non avevo mai visto uomini anziani nudi. Il signor Bergmann portava il cinto erniario, e chiese all’interprete se doveva posarlo, e l’interprete esitò. Ma il tedesco comprese, e parlò seriamente all’interprete indicando qualcuno; abbiamo visto l’interprete trangugiare, e poi ha detto: – Il maresciallo dice di deporre il cinto, e che le sarà dato quello del signor Coen –. Si vedevano le parole uscire amare dalla bocca di Flesch, quello era il mo-do di ridere del tedesco.

Are sens