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Add to favorite Se questo è un uomo – Primo Levi

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Primo Levi - Se questo è un uomo di energia e di calore. Non sa Steinlauf che dopo mezz’ora ai sacchi di carbone ogni differenza fra lui e me sarà scomparsa? Piú ci penso, e piú mi pare che lavarsi la faccia nelle nostre condizioni sia una faccenda insulsa, addirittura frivola: un’abitudine meccanica, o peggio, una lugubre ripetizione di un rito estinto. Morremo tutti, stiamo per morire: se mi avanzano dieci minuti fra la sveglia e il lavoro, voglio dedicarli ad altro, a chiudermi in me stesso, a tirare le somme, o magari a guardare il cielo e a pensare che lo vedo forse per l’ultima volta; o anche solo a lasciarmi vivere, a concedermi il lusso di un minuscolo ozio.

Ma Steinlauf mi dà sulla voce. Ha terminato di lavarsi, ora si sta asciugando con la giacca di tela che prima teneva arrotolata fra le ginocchia e che poi infilerà, e senza interrompere l’operazione mi somministra una lezione in piena regola.

Ho scordato ormai, e me ne duole, le sue parole dirit-te e chiare, le parole del già sergente Steinlauf dell’esercito austro-ungarico, croce di ferro della guerra ‘14-18 .

Me ne duole, perché dovrò tradurre il suo italiano incerto e il suo discorso piano di buon soldato nel mio linguaggio di uomo incredulo. Ma questo ne era il senso, non dimenticato allora né poi: che appunto perché il Lager è una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo schele-tro, l’impalcatura, la forma della civiltà. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facoltà ci è rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l’ultima: la facoltà di negare il nostro consenso. Dobbiamo quindi, certamente, lavarci la faccia senza sapone, nell’acqua sporca, e asciugarci nella giacca. Dobbiamo dare il nero Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo alle scarpe, non perché cosí prescrive il regolamento, ma per dignità e per proprietà. Dobbiamo camminare dirit-ti, senza strascicare gli zoccoli, non già in omaggio alla disciplina prussiana, ma per restare vivi, per non cominciare a morire.

Queste cose mi disse Steinlauf, uomo di volontà buona: strane cose al mio orecchio dissueto, intese e accetta-te solo in parte, e mitigate in una piú facile, duttile e blanda dottrina, quella che da secoli si respira al di qua delle Alpi, e secondo la quale, fra l’altro non c’è maggior vanità che sforzarsi di inghiottire interi i sistemi morali elaborati da altri, sotto altro cielo. No, la saggezza e la virtú di Steinlauf, buone certamente per lui, a me non bastano. Di fronte a questo complicato mondo infero, le mie idee sono confuse; sarà proprio necessario elaborare un sistema e praticarlo? o non sarà piú salutare prendere coscienza di non avere sistema?

Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo KA-BE

I giorni si somigliano tutti, e non è facile contarli. Da non so quanti giorni facciamo la spola, a coppie, dalla ferrovia al magazzino: un centinaio di metri di suolo in disgelo. Avanti sotto il carico, indietro colle braccia pendenti lungo i fianchi, senza parlare.

Intorno, tutto ci è nemico. Sopra di noi, si rincorrono le nuvole maligne, per separarci dal sole; da ogni parte ci stringe lo squallore del ferro in travaglio. I suoi confi-ni non li abbiamo mai visti, ma sentiamo, tutto intorno, la presenza cattiva del filo spinato che ci segrega dal mondo. E sulle impalcature, sui treni in manovra, nelle strade, negli scavi, negli uffici, uomini e uomini, schiavi e padroni, i padroni schiavi essi stessi; la paura muove gli uni e l’odio gli altri, ogni altra forza tace. Tutti ci so-no nemici o rivali.

No, in verità, in questo mio compagno di oggi, aggio-gato oggi con me sotto lo stesso carico, non sento un nemico né un rivale.

È Null Achtzehn. Non si chiama altrimenti che cosí, Zero Diciotto, le ultime tre cifre del suo numero di matricola: come se ognuno si fosse reso conto che solo un uomo è degno di avere un nome, e che Null Achtzehn non è piú un uomo. Credo che lui stesso abbia dimenticato il suo nome, certo si comporta come se cosí fosse.

Quando parla, quando guarda, dà l’impressione di essere vuoto interiormente, nulla piú che un involucro, co-me certe spoglie di insetti che si trovano in riva agli sta-gni, attaccate con un filo ai sassi, e il vento le scuote.

Null Achtzehn è molto giovane, il che costituisce un pericolo grave. Non solo perché i ragazzi sopportano Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo peggio degli adulti le fatiche e il digiuno, ma soprattutto perché qui, per sopravvivere, occorre un lungo allena-mento alla lotta di ciascuno contro tutti, che i giovani raramente posseggono. Null Achtzehn non è neppure particolarmente indebolito, ma tutti rifuggono dal lavorare con lui. Tutto gli è a tal segno indifferente che non si cu-ra piú di evitare la fatica e le percosse e di cercare il ci-bo. Eseguisce tutti gli ordini che riceve, ed è prevedibile che, quando lo manderanno alla morte, ci andrà con questa stessa totale indifferenza.

Non possiede la rudimentale astuzia dei cavalli da trai-no, che smettono di tirare un po’ prima di giungere all’esaurimento: ma tira o porta o spinge finché le forze glielo permettono, poi cede di schianto, senza una parola di avvertimento, senza sollevare dal suolo gli occhi tristi e opachi. Mi ricorda i cani da slitta dei libri di London, che faticano fino all’ultimo respiro e muoiono sulla pista.

Ora, poiché noi tutti cerchiamo invece con ogni mezzo di sottrarci alla fatica, Null Achtzehn è quello che lavora piú di tutti. Per questo, e perché è un compagno pericoloso, nessuno vuol lavorare con lui; e siccome d’altronde nessuno vuol lavorare con me, perché sono debole e maldestro, cosí spesso accade che ci troviamo accoppiati.

Mentre, a mani vuote, ancora una volta torniamo strascicando i piedi dal magazzino, una locomotiva fischia breve e ci taglia la strada. Contenti della interruzione forzata, Null Achtzehn ed io ci fermiamo: curvi e laceri, aspettiamo che i vagoni abbiano finito di sfilarci lentamente davanti.

... Deutsche Reichsbahn. Deutsche Reichsbahn.

SNCF. Due giganteschi vagoni russi, con la falce e il martello mal cancellati. Deutsche Reichsbahn. Poi, Cavalli 8, Uomini 40, Tara, Portata: un vagone italiano. ....

Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo Salirvi dentro, in un angolo, ben nascosto sotto il carbone, e stare fermo e zitto, al buio, ad ascoltare senza fine il ritmo delle rotaie, piú forte della fame e della stanchezza; finché, a un certo momento, il treno si fermereb-be, e sentirei l’aria tiepida e odore di fieno, e potrei uscire fuori, nel sole: allora mi coricherei a terra, a baciare la terra, come si legge nei libri: col viso nell’erba. E passe-rebbe una donna, e mi chiederebbe «Chi sei?» in italiano, e io le racconterei, in italiano, e lei capirebbe, e mi darebbe da mangiare e da dormire. E non crederebbe alle cose che io dico, e io le farei vedere il numero che ho sul braccio, e allora crederebbe...

… È finito. L’ultimo vagone è passato, e, come al sol-levarsi di un sipario, ci sta davanti agli occhi la catasta dei supporti di ghisa, il Kapo in piedi sulla catasta con una verga in mano, i compagni sparuti, a coppie, che vengono e vanno.

Guai a sognare: il momento di coscienza che accompagna il risveglio è la sofferenza piú acuta. Ma non ci capita sovente, e non sono lunghi sogni: noi non siamo che bestie stanche.

Ancora una volta siamo ai piedi della catasta. Mischa e il Galiziano alzano un supporto e ce lo posano con malgarbo sulle spalle. Il loro posto è il meno faticoso, perciò essi fanno sfoggio di zelo per conservarlo: chiamano i compagni che indugiano, incitano, esortano, im-pongono al lavoro un ritmo insostenibile. Questo mi riempie di sdegno, pure già so ormai che è nel normale ordine delle cose che i privilegiati opprimano i non privilegiati: su questa legge umana si regge la struttura sociale del campo.

Questa volta tocca a me camminare davanti. Il supporto è pesante ma molto corto, per cui a ogni passo sento, dietro di me, i piedi di Null Achtzehn che ince-Letteratura italiana Einaudi

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Primo Levi - Se questo è un uomo spicano contro i miei, poiché egli non è capace, o non si cura, di seguire il mio passo.

Venti passi, siamo arrivati al binario, c’è un cavo da scavalcare. Il carico è mal messo, qualcosa non va, tende a scivolare dalla spalla. Cinquanta passi, sessanta. La porta del magazzino; ancora altrettanto cammino e lo deporremo. Basta, è impossibile andare oltre, il carico mi grava ormai interamente sul braccio; non posso sopportare piú a lungo il dolore e la fatica, grido, cerco di voltarmi: appena in tempo per vedere Null Achtzehn inciampare e buttare tutto.

Se avessi avuto la mia agilità di un tempo, avrei potuto balzare indietro: invece eccomi a terra, con tutti i muscoli contratti, il piede colpito stretto fra le mani, cieco di dolore. Lo spigolo di ghisa mi ha colpito di taglio il dorso del piede sinistro.

Per un minuto, tutto si annulla nella vertigine della sofferenza. Quando mi posso guardare attorno, Null Achtzehn è ancora là in piedi, non si è mosso, colle mani infilate nelle maniche, senza dire una parola, mi guarda senza espressione. Arrivano Mischa e il Galiziano, parlano fra di loro in yiddisch, mi dànno non so che consigli.

Arrivano Templer e David e tutti gli altri: approfittano del diversivo per sospendere il lavoro. Arriva il Kapo, distribuisce pedate, pugni e improperi, i compagni si di-sperdono come pula al vento; Null Achtzehn si porta una mano al naso e se la guarda àtono sporca di sangue.

A me non toccano che due schiaffi al capo, di quelli che non fanno male perché stordiscono.

L’incidente è chiuso. Constato che, bene o male, mi posso reggere in piedi, l’osso non deve essere rotto. Non oso togliere la scarpa per paura di risvegliare il dolore, e anche perché so che poi il piede gonfierà e non potrò piú rimetterla.

Il Kapo mi manda a sostituire il Galiziano alla catasta, e questi, guardandomi torvo, va a prendere il suo posto Letteratura italiana Einaudi

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