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Vidi le sue labbra sottili agitarsi mentre ella mi guardava, come se fossero pronte a coprire Emilia di rimproveri.

– Fuggita? – ripetei.

– Sì! Da lui – ella disse ridendo. – Se non e stata trovata, forse non sarà mai trovata. Forse è morta!

La crudeltà soddisfatta con cui ella sosteneva il mio sguardo, non ebbe mai simile espressione in nessun altro viso.

– Desiderarla morta – dissi – può essere il più pietoso augurio che possa farle una persona del suo stesso sesso.

Son lieto che il tempo v’abbia fatta più tenera, signorina Dartle.

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Non si degnò di rispondermi, ma volgendomisi con un riso di sprezzo, disse: – Gli amici di quella eccellente e disgraziatissima ragazza sono amici vostri. Voi siete il suo paladino, e difendete i loro diritti. Volete che vi dica tutto ciò che si sa di lei?

– Sì – dissi.

Si levò con un sorriso maligno, e dando pochi passi verso una siepe di bossi lì vicina, che separava il prato dall’orto, disse ad alta voce: «Venite qui!», come se chia-masse qualche animale immondo.

– Spero che qui non vi permetterete alcun atto di vendetta o di rappresaglia, signor Copperfield – disse, guardandomi con la stessa espressione.

Io m’inchinai senza comprendere che cosa volesse dire; ed ella disse: «Venite qui», di nuovo; e tornò seguita dal rispettabile Littimer, che con la sua solita rispettabilità, mi fece un inchino, e si piantò dietro di lei. L’espressione di grazia malvagia e di trionfo, nella quale, strano a dirsi, v’era ancora un che di femminile e d’attraente, l’aria con la quale ella era atteggiata sulla panca, fissandomi, era degna della crudele principessa d’una leggenda.

– Ora – ella disse, imperiosamente, senza guardarlo, e toccandosi la vecchia cicatrice che vibrava, forse in quell’istante, piuttosto di piacere che di dolore – narrate al signor Copperfield tutto ciò che sapete della fuga.

– Il signor Giacomo e io, signorina...

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– Non vi rivolgete a me! – ella interruppe, aggrottando le ciglia.

– Il signor Giacomo e io, signore...

– Neanche a me, vi prego – dissi.

Littimer, senza scomporsi minimamente, accennò un leggero inchino d’obbedienza, come per significare che il nostro era il suo piacere; e ricominciò:

– Il signor Giacomo e io ci recammo all’estero con la ragazza, da quando essa lasciò Yarmouth sotto la protezione del signor Giacomo. Siamo stati in molti luoghi e abbiamo veduto molti paesi stranieri. Siamo stati in Francia, in Isvizzera, in Italia... quasi da per tutto.

Egli fissava lo schienale della panca, come se parlasse direttamente ad esso; e vi agitava sopra le dita, come se toccasse i tasti d’un pianoforte senza corde.

– Il signor Giacomo era straordinariamente invaghito della ragazza; e per parecchio tempo si condusse con maggiore morigeratezza di quanto n’avesse mai avuta nel tempo del mio servizio. La ragazza faceva grandi progressi, e aveva imparato a parlare le lingue. Nessuno l’avrebbe detta la piccola operaia d’una volta. Vedevo che, dovunque s’andasse, ella era molto ammirata.

La signorina Dartle si mise una mano al fianco. Littimer le diede una fuggevole occhiata, e frenò un sorriso.

– La ragazza era proprio molto ammirata. Forse per la 1190

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sua acconciatura; forse per l’effetto dell’aria e del sole, forse per le cure di cui era oggetto. Fosse una ragione, o l’altra, il fatto sta ch’ella attirava l’attenzione generale.

Egli s’interruppe. La signorina Dartle, che vagava con gli occhi irrequieti da un punto all’altro dell’orizzonte, si morse il labbro inferiore, come per arrestarne il tremito.

Togliendo le mani dalla panca, e mettendole l’una nell’altra, Littimer si tenne in equilibrio su una gamba sola, abbassò gli occhi, sporse un po’ la testa rispettabile, e disse:

– La ragazza continuò così per qualche tempo, soggetta di tanto in tanto a degli abbattimenti che finirono con lo stancare il signor Giacomo, il quale cominciò a mostrarsi di nuovo irrequieto. Più irrequieto egli si mostrava, peggio ella diventava; e chi più soffriva fra loro due ero io. Le cose si raccomodavano di tanto in tanto, e si tornava a godere un po’ di tranquillità; e questo durò un bel po’, più di quanto si potesse sperare.

Ritraendo gli occhi dal lontano orizzonte, ella mi fissò con la stessa aria di prima. Littimer, schiarendosi la gola dietro la mano con una breve rispettabile tossettina ed equilibrandosi sull’altra gamba, continuò:

– Finalmente, una volta, dopo molti rimproveri e molte lagrime da parte della ragazza, il signor Giacomo una mattina se ne andò dai dintorni di Napoli dove aveva 1191

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una villa (alla ragazza piaceva molto di stare in riva al mare) e, con la promessa di tornare in un paio di giorni, mi lasciò l’incarico di annunziarle che per il bene di tutte le parti interessate, egli se n’era – qui l’interruzione d’un colpo di tossettina – andato. Ma il signor Giacomo, debbo dire, si condusse in modo veramente onorevole; perché proponeva alla ragazza di farle sposare una persona molto rispettabile, disposta a chiudere un occhio sul suo passato, e che valeva almeno quanto un altro al quale ella avesse potuto aspirare in generale, perché ella era d’una famiglia molto volgare.

Cambiò di nuovo di gamba, e s’inumidì le labbra. Ero convinto che il briccone parlasse di sé, e vidi la mia convinzione riflessa negli occhi della signorina Dartle.

– Ero incaricato anche di questa comunicazione. Ero disposto a tutto per liberar il signor Giacomo da ogni imbarazzo e ristabilire l’armonia fra lui e una madre affettuosa che ha sofferto tanto per cagion sua. Perciò avevo accettato l’incarico. Ma la violenza della ragazza, quando le annunziai la partenza del signor Giacomo, passò ogni misura. Ella diventò assolutamente pazza, e, se non fosse stata tenuta a viva forza, si sarebbe scannata, o gettata in mare, o spaccata la testa contro il muro.

La signorina Dartle, poggiata allo schienale della panca, con un raggio di trionfo in viso, sembrava assa-porasse a una a una le parole di quello sciagurato.

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– Ma quando passai alla seconda parte dell’incarico affidatomi – disse Littimer, stropicciandosi le mani con un certo impaccio – la ragazza si mostrò nella sua vera luce. Un’altra avrebbe compreso almeno la generosa bontà dell’intenzione; ma lei no. Non m’era mai avvenuto di assistere a un furore simile. Quello che ella fece non si può descrivere. Un masso di pietra, un pezzo di legno, avrebbe dimostrato più gratitudine, più sentimento, più ragione. Se non fossi stato svelto, m’avrebbe ucciso.

– Questo me la fa stimare di più – dissi, con indignazione.

Littimer chinò la testa, come per dire: «Veramente, signore? Ma voi siete giovane!», e riprese il racconto.

– Insomma, fu necessario, per qualche tempo, di toglierle ogni oggetto con cui potesse far male a sé o agli altri, e tenerla chiusa. Ma, nonostante tutto, la notte poté fuggire: ruppe l’impannata d’una finestra, che io avevo inchiodata; si lasciò scivolare lungo un ceppo di vite; e d’allora, a mia notizia, non se n’è saputo più nulla.

– È morta, forse, – disse la signorina Dartle con un sorriso, come per dare un calcio al cadavere della disgraziata.

– Forse s’è annegata, signorina, – rispose Littimer, cogliendo l’occasione per volgersi a qualcuno. – È

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probabilissimo. O può essere stata aiutata dai barcaiuoli, o dalle mogli e dai figli dei barcaiuoli. A lei piaceva molto la loro compagnia, e aveva l’abitudine di conversar con loro sulla spiaggia, signorina Dartle, e di starsene seduta accanto alle loro barche. Vi rimaneva le giornate intere, quando il signor Giacomo era assente. E un giorno il signor Giacomo si mostrò molto dolente apprendendo che essa aveva detto ai bambini dei marinai, che anche lei era figlia d’un marinaio, e che nel suo paese, tanti anni fa, andava scorrazzando come loro sulla spiaggia.

Oh, Emilia! Infelice fanciulla! Quale immagine mi si presentò alla mente in quell’istante. Io la vedevo seduta sulla riva lontana; fra i bambini che le ricordavano i giorni della sua infanzia, in ascolto di quelle vo-cette che avrebbero potuto chiamarla mamma, se ella fosse stata la moglie d’un povero marinaio, o intenta alla gran voce del mare, col suo eterno: «Mai più».

Are sens