– No – ella disse al dottore: – preferisco di rimanere 932
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a casa. Ho più piacere a rimanere a casa.
Senza guardare il cugino, ella si volse a me, e m’in-terrogò su Agnese, e se questa sarebbe andata a trovarla, e se non sarebbe andata probabilmente quel giorno stesso; e appariva così turbata, che mi domandavo come mai il dottore, che spalmava il burro su un crostino, non vedesse ciò che era così chiaro.
Ma egli non vedeva nulla. Le disse, benevolmente, che lei era giovine e doveva divertirsi e distrarsi, e non annoiarsi con un vecchio noioso come lui. Poi, egli desiderava di sentirla cantare le arie di quella celebre cantante; e non avrebbe potuto cantarle bene, se non ci fosse andata. Così il dottore insisté per farle promettere di andare; e Jack Maldon sarebbe ritornato all’ora del desinare. Stabilito questo, Jack Maldon se ne andò per andare ad occupare, immagino, il suo posticino; ma ad ogni modo se ne andò a cavallo, con aria molto languida.
Ero curioso di sapere, la mattina dopo, se ella fosse andata a teatro. Non c’era andata, e aveva fatto sapere a suo cugino a Londra che non ci sarebbe andata. S’era invece recata da Agnese, e aveva insistito col dottore perché egli l’accompagnasse; ed erano tornati a casa piedi, il dottore mi disse, con una serata deliziosa. Mi domandai allora se sarebbe mancata allo spettacolo se Agnese non fosse stata a Londra, e se Agnese non avesse esercitato anche su lei un influsso salutare.
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Ella veramente non appariva felice, mi sembrava, ma aveva un’espressione tranquilla, se non era simulata. La guardai spesso, perché si era seduta accanto alla finestra mentre noi lavoravamo, e preparava la colazione che mangiammo a morsi, senza interrompere la nostra occupazione. Alle nove, quando me ne andai, ella era ingi-nocchiata ai piedi del dottore, per mettergli le scarpe e abbottonargli le uose. Le foglie d’una pianta rampicante che pendeva fuori della finestra della stanza le ombreg-giavano il viso; e pensai per tutta la via, recandomi al Doctor’s Commons, a quella sera in cui l’avevo veduta con gli occhi fissi sul marito che leggeva.
Avevo molto da fare, ora: mi levavo alle cinque la mattina, e non rientravo che alle nove o le dieci di sera.
Ma sentivo una gran soddisfazione nell’essere così preso dal lavoro, e non camminavo mai lentamente per nessun motivo: pensavo con entusiasmo che più mi stancavo, e più mi sforzavo di meritar Dora. A lei non avevo ancora rivelato il mutamento delle mie condizioni, perché ella sarebbe venuta fra pochi giorni a fare una visita alla signorina Mills, e avevo rimandato fino a quel giorno ciò che m’ero riserbato di dirle. Frattanto, avevo notevolmente ridotto la mia razione di grasso d’orso, interamente abbandonato il sapone profumato e l’acqua di lavanda, e rivenduto, perdendoci molto, tre sottovesti troppo sontuose per una vita così austera come la mia.
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Non ancora soddisfatto di questi sacrifici, ma arden-do dell’impazienza di imprender qualche cosa di più, andai a trovar Traddles, che allora abitava dietro il ba-stione d’una casa di Castle Street, Holborn. Condussi con me il signor Dick, che già due volte era venuto con me a Highgate e ché aveva ripreso le sue abitudini d’intimità col dottore.
Condussi con me il signor Dick, perché egli, acutamente sensibile al rovescio finanziario di mia zia, e sinceramente convinto che nessuno schiavo di galera o forzato lavorasse quanto lavoravo io, aveva cominciato a perdere l’appetito e a consumarsi dalla voglia di far qualche cosa di utile. In queste condizioni, si sentiva più incapace che mai di finire il memoriale, e più s’accaniva a la-vorarvi, e più frequentemente la disgraziata cervice di Carlo I vi faceva capolino. Sinceramente convinti che la sua malattia si sarebbe aggravata, se non avessimo ordito qualche innocente inganno per fargli credere alla propria utilità, o se non l’avessimo messo in grado di rendersi effettivamente utile (che sarebbe stato meglio), pensai di tentare se Traddles non potesse aiutarci. Prima d’andarlo a trovare, gli scrissi un fedele resoconto di ciò che era accaduto, e Traddles mi fece una magnifica risposta, riboccante di simpatia e d’amicizia.
Lo trovammo occupato al lavoro, col calamaio e le carte, allietato dallo spettacolo della colonna per il vaso da fiori e del tavolino tondo col piano di marmo in un an-935
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golo della stanzetta. Ci ricevette con grande cordialità, e diventò in un momento amico del signor Dick. Il signor Dick disse d’essere assolutamente certo d’averlo incontrato prima, ed entrambi esclamammo: «Molto probabilmente».
La prima questione sulla quale dovevo consultare Traddles era questa. – Io avevo sentito dire che molti, i quali poi s’erano segnalati in varie professioni, avevano cominciato la vita col fare il resoconto delle discussioni parlamentari. Traddles m’aveva parlato dei giornali, come di una delle sue speranze, e io unendo le due cose, gli avevo detto nella lettera che desideravo saper da lui la maniera di conseguire i titoli adatti a quel mestiere.
Traddles allora m’informò, come risultato della sua in-chiesta, che la semplice condizione meccanica necessaria per la perfetta eccellenza del resoconto, vale a dire la perfetta e intera padronanza del mistero della stenografia, equivaleva in difficoltà, tranne che in rari casi, alla conoscenza di sei lingue; e che poteva forse essere raggiunta, a forza di tenacia, nel corso di parecchi anni.
Traddles ragionevolmente supponeva che questo avrebbe soffocato in me ogni velleità di quella specie; ma io, solo al sentire che v’era davvero un po’ di alberi grossi da abbattere, immediatamente decisi d’aprirmi la via fino a Dora a traverso quella selva, con la scure in mano.
– Ti sono molto obbligato, mio caro Traddles! – dissi. –
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Comincerò domani.
Traddles mi guardò attonito, più che mai attonito, perché, non aveva la minima idea del grado di fervore che m’aveva invaso.
– Comprerò un libro – dissi – un buon trattato di stenografia, e me lo studierò al Commons, ove non ho molto da fare; per esercitarmi trascriverò i discorsi forensi...
Traddles, amico caro, saprò riuscire.
– Santo Cielo – disse Traddles, spalancando gli occhi. –
Non credevo che tu avessi un carattere così risoluto, Copperfield.
E non avrebbe potuto saperlo, perché per me era una cosa nuova. Ma cambiai il discorso, per mettere il signor Dick sul tappeto.
– Vedete – disse il signor Dick risoluto – se io potessi far qualcosa, signor Traddles... se potessi battere il tam-buro... o soffiare in qualche cosa.
Poveretto! Io non ho dubbio che egli preferisse nell’imo del cuore un impiego di simil genere a tutti gli altri.
Traddles, che non avrebbe sorriso per nulla al mondo, rispose con compostezza:
– Ma voi siete un buon calligrafo, signore. Me l’ha detto Copperfield.