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ro, Copperfield, è una cara ragazza...

– Ne sono certo – dissi.

– Sì, veramente! – soggiunse Traddles. – Ma temo di divagare. Ti dicevo del reverendo Orazio?

– Dicevi che parlasti sul fatto che...

– Appunto. Sul fatto che Sofia e io eravamo fidanzati da lungo tempo, e che Sofia, col permesso dei suoi genitori, era più che lieta di prendermi... insomma... – disse Traddles col suo solito onesto sorriso – nelle mie condizioni attuali, cioè col metallo inglese. Bene. Allora proposi al reverendo Orazio... che è un eccellente pastore, Copperfield, e dovrebbe essere vescovo, o almeno aver abbastanza da vivere senza disagio... che se fossi arrivato a guadagnare, mettiamo, duecentocinquanta sterline in un anno, potendo onestamente sperar la stessa somma per l’anno appresso e qualche cosa di più; e poi arredare modestamente un appartamentino come questo, in tal caso, allora, io e Sofia avremmo dovuto sposarci. Mi presi la libertà di fargli riflettere che avevamo atteso molti anni; e che la circostanza della grande utilità di Sofia in famiglia non doveva essere un motivo per i genitori che le volevano bene di non darle una situazione...

capisci?

Certo – dissi. – Son contento che tu sia del mio parere – soggiunse Traddles – perché senza fare la minima allusione al reverendo Orazio, io credo che i genito-1470

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ri e i fratelli e gli altri, a volte, in simili casi, si dimo-strino piuttosto egoisti. Bene! Accennai anche che se fossi riuscito a farmi largo, e qualche cosa gli fosse dovuto accadere... parlo del reverendo Orazio...

– Capisco – dissi.

– O alla signora Crewler... sarei stato troppo felice di servir da padre alle ragazze. Egli rispose in modo ammirabile e straordinariamente lusinghiero per me e s’assunse d’ottenere il consenso di sua moglie alle mie condizioni. E ce ne volle! Le salì dalle gambe al petto, e poi alla testa...

– Che cosa? – chiesi.

– Il suo dolore – rispose Traddles, con aspetto grave. – I suoi sentimenti in generale. Come ti dissi un’altra volta, ella è una donna veramente superiore, ma ha perduto l’uso delle membra. Quando qualche cosa la contraria., di solito ne risente alle gambe; ma quella volta il male le salì al petto, poi alla testa, e in breve le si sparse per tutto il corpo in modo da far paura. Però, con le continue e affettuose attenzioni, ella si poté rimettere, e fan sei settimane ieri che ci potemmo sposare. Tu non immagini, Copperfield., che mostro mi sembrò d’essere diventato il momento che vidi l’intera famiglia piangere e svenire da tutti i lati. La signora Crewler non volle vedermi prima che ce ne andassimo

– non poteva perdonarmi d’averle tolta la figlia – ma 1471

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ella è una santa donna, e m’ha perdonato poi. Stamattina ho ricevuto una sua lettera bellissima.

– In una parola, mio caro amico – io dissi – tu sei felice come meriti d’essere.

– Oh! Ti fa velo l’amicizia! – disse ridendo Traddles. – Ma, veramente, io sono da invidiare. Lavoro molto, e studio instancabilmente. M’alzo alle cinque tutte le mattine, e non ci penso neanche. Nascondo le ragazze di giorno, e mi diverto con loro la sera. E ti assicuro che mi dispiace molto che se ne tornino a casa martedì, che è la vigilia di San Michele. Ma ecco – disse Traddles lasciando il tono confidenziale e parlando a voce alta – ecco le ragazze! Il signor Copperfield, signorina Carolina... signorina Sara... signorina Luisa...

Margherita e Lucia!

Esse erano un vero mazzolino di rose, fresche piene di salute. Erano tutte leggiadre, e la signorina Carolina era molto bella, ma v’era nei lucenti occhi di Sofia un non so che di amabile, sereno e casalingo che era più pregevole della bellezza, e che mi assicurava che il mio amico aveva scelto bene. Sedemmo tutti attorno al fuoco; mentre il ragazzetto sbarazzino, che ora era senza fiato per aver tirato dall’astuccio le carte che aveva messe in tavola, e poi portate via di nuovo, presentava le tazze per il tè. Dopo di che, per quella sera se ne andò, chiu-dendosi la porta dietro con un colpo forte. La signora Traddles, raggiando con perfetto piacere e compostezza 1472

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dai suoi occhi casalinghi, dopo aver fatto il tè, si mise in un cantuccio del focolare a tostare il pane. Mi disse, mentre tostava il pane, d’aver visto Agnese.

«Tommaso» l’aveva condotta nel Kent in viaggio di nozze, e colà aveva fatto una visita anche a mia zia; e mia zia e Agnese stavano bene, e non avevano parlato d’altro che di me. «Tommaso» era evidentemente il suo idolo, che nulla avrebbe potuto scuotere dal piedistallo ch’ella gli aveva eretto, l’idolo nel quale credeva cieca-mente, e al quale faceva omaggio con tutta la devozione del suo cuore, senza la minima riserva mai.

La deferenza mostrata tanto da lei, quanto da Traddles, verso la Bellezza mi piacque molto. Non so se la credessi perfettamente ragionevole, ma mi parve deliziosa e una parte essenziale del loro carattere. Se Traddles sentì mai la mancanza dei cucchiaini da tè d’argento che doveva ancora guadagnare, fu senza alcun dubbio nel momento che presentò la tazza di tè alla Bellezza. Se il mite carattere della moglie avesse mai potuto mostrare qualche alterezza contro qualcuno, sarebbe avvenuto soltanto in grazia del fatto che ella era sorella della Bellezza. Alcuni lievi indizi di maniere alquanto puerili e capricciose, che mi fu dato d’osservare nella Bellezza, erano manifestamente considerati, da Traddles e sua moglie, come ornamenti naturali piovutile dal Cielo per diritto ereditario. Se ella fosse nata ape regina ed essi due api operaie, non avrebbero potuto esserne più soddisfatti.

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Ma la loro abnegazione m’incantava. Il loro orgoglio per quelle fanciulle, e la loro sottomissione a tutti i loro capricci, era il più bel piccolo attestato di bontà che si potesse desiderare. Se mai Traddles fu chiamato «diletto» nel corso di quella sera, e richiesto di portar questo qua e quello là, o metter questo su o quello giù, o trovar quello o andar a pigliar quell’altro, avvenne, da parte dell’una o l’altra delle sorelle, almeno dodici volte in un’ora. Né l’una né l’altra, poi, poteva far nulla senza Sofia! Ad una cadeva la treccia, e Sofia doveva riasse-stargliela. Un’ altra dimenticava come cominciava una certa arietta, e soltanto Sofia poteva intonarla a modo.

Un’altra voleva ricordare il nome d’un luogo del Devonshire, e soltanto Sofia lo sapeva. Un’altra aveva bisogno di scrivere a casa, e solo Sofia poteva esserne incaricata per la mattina appresso prima di colazione.

Un’altra perdeva la maglia in un suo lavoro, e soltanto Sofia poteva rimetter la maglia all’inabile. Esse erano perfette padrone del luogo, e Sofia e Traddles le servivano. Non so immaginare a quanti bambini Sofia avesse accudito in passato, ma sembrava ch’ella sapesse a memoria le cantilene d’ogni sorta che si dicono ai bambini in Inghilterra, e ne ripeteva delle dozzine alla prima richiesta con la più chiara vocetta del mondo, l’una dopo l’altra (ciascuna sorella dava delle indicazioni per un’aria diversa, e la Bellezza quasi sempre si faceva sentire l’ultima), così che io fui assolutamente affascinato. E il più bello si era che, in mezzo a tutte le loro esigenze, 1474

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tutte le sorelle avevano un gran rispetto e una gran tenerezza per Sofia e Traddles. Quando mi congedai, e Traddles si levò per uscire con me e accompagnarmi fino al caffè, pensai di non aver mai visto una chioma così ispida, o un’altra chioma qualunque roteare come la sua in una simile grandinata di baci.

Insomma, fu una scena alla quale non potei non ripensare con piacere, dopo che ebbi riaccompagnato Traddles e gli ebbi dato la buona notte. Se avessi visto fiorire un migliaio di rose in un appartamento dell’ultimo piano di quel vecchio edificio di Gray’s Inn, lo spettacolo non mi sarebbe parso più splendido e lieto. La sola idea di tutte quelle signorine del Devonshire, in mezzo a tutti quegli uffici di avvocati e giureconsulti incartapecoriti; e del tè e dei crostini, e delle cantilene per i bimbi, in quella grave atmosfera di artigli e di pergamena, di spago rosso, di ostie polverose, di bottiglie d’inchiostro, di carta bollata, di processi verbali, di decreti, di dichiarazioni e di par-celle, mi sembrava quasi così piacevolmente fantasiosa come l’aver sognato che la famosa famiglia del Sultano fosse stata iscritta nella lista degli avvocati e procuratori, e avesse portato in Gray’s Inn Hall l’uccello parlante, l’albero armonioso e l’acqua d’oro. A ogni modo, m’accorsi che, congedatomi da Traddles per quella sera, e tornato al caffè, un gran mutamento era avvenuto in me e che non avevo più alcun timore per lui. Cominciai a pensare che; egli si sarebbe fatto strada, a marcio dispetto di tutti i vari ordini dei capi camerieri d’Inghilterra.

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Traendomi una sedia innanzi a uno dei caminetti del caffè per pensar di Traddles a mio agio, passai gradatamente dalla meditazione sulla sua felicità alla contemplazione delle figurazioni dei carboni accesi, e al ricordo, nell’atto che si rompevano e mutavano, delle vicende principali e dei distacchi che avevano contrassegnato la mia carriera. Non avevo veduto più un fuoco di carboni da quando avevo lasciato l’Inghilterra tre anni prima; ma avevo osservato molti fuochi di legna dissolversi in ceneri bianche, per mischiarsi al mucchio grigio del focolare, che non senza giustezza raffigurava, nella mia tristezza, tutte le speranze morte.

Ora invece potevo pensare al passato gravemente, ma senza amarezza. Il focolare, nel suo senso migliore, non lo avevo più. Quella, a cui avrei potuto ispirare un più forte amore, aveva appreso ad essermi sorella. Si sarebbe maritata, e avrebbe avuto nuovi pretendenti alla sua tenerezza, ignorando per sempre l’amore per lei che m’era cresciuto in cuore. Era giusto che io pagassi il fio della mia cieca passione. Raccoglievo ciò che avevo seminato.

Pensavo: «E ho veramente disciplinato il cuore a questo, e potrei coraggiosamente sopportarlo e tener tranquillamente in casa di lei il posto ch’ella tranquillamente ha tenuto nella mia?» – quando i miei occhi si posarono su una fisionomia che avrebbe potuto levarsi dal fuoco, come una delle mie memorie infantili intravedute nelle 1476

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sue figurazioni.

Il piccolo dottor Chillip, i cui buoni uffici mi avevano reso il servigio riportato nel primo capitolo di questa istoria, stava leggendo un giornale nell’ombra dell’angolo opposto. Gli anni avevano segnato la loro impronta su di lui; ma da ometto calmo, mite e dolce qual era, egli s’andava logorando con tanta lentezza, che potei pensare che avesse in quel momento lo stesso aspetto da lui presentato nel nostro salottino, nell’atto di attendere la mia nascita.

Il signor Chillip aveva lasciato Blunderstone sei o sette anni prima, e d’allora non lo avevo più visto. Leggeva placidamente il giornale, la testa inclinata da un lato e un bicchiere di vino caldo accanto al gomito. Aveva nei suoi modi un’aria così conciliante che pareva si stesse scusando col giornale per essersi presa la libertà di leggerlo.

Mi levai, e gli andai da presso, dicendogli:

– Come state, signor Chillip?

Egli apparve assai turbato da quella domanda da parte d’uno sconosciuto, e rispose lentamente, secondo il suo costume:

– Grazie, signore, siete molto gentile. Grazie, signore.

Anche voi, spero, state bene.

– Non mi riconoscete? – dissi.

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– Bene, signore – rispose il dottor Chillip, sorridendo con dolcezza, e scotendo il capo come per esaminarmi –

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