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– Non una parola, mi raccomando – egli proseguì sottovoce; – lascia che tutta la responsabilità ricada su Dick...

su Dick lo sciocco... su Dick il matto. È da qualche tempo, Trot, che ci pensavo, e ora ci sono. Dopo ciò che m’hai detto, son certo d’esserci. Benissimo.

Il signor Dick non fiatò più su quell’argomento; ma per una mezz’ora continuò a telegrafarmi, facendo gravemente impensierire mia zia, di mantenere il più profondo segreto.

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Per due o tre settimane, con mia gran sorpresa, non ne seppi più nulla, benché fossi abbastanza interessato nell’esito dei suoi sforzi, perché scorgevo uno strano barlume di buon senso – non dico di generoso sentimento, che non gli aveva fatto mai difetto – nella conclusione alla quale egli era arrivato. Finalmente cominciai a pensare, che per la volubilità e l’infermità del suo spirito, avesse o dimenticato o lasciato cadere il progetto che gli stava a cuore.

Una bella sera che Dora non si sentiva disposta ad uscire, mia zia e io facemmo una passeggiatina fino al villino del dottore. S’era in autunno, e non v’erano le discussioni parlamentari ad amareggiarmi la dolcezza dell’aria della sera; e ricordo che le foglie che calpestavo odoravano come il nostro giardino di Blunderstone, e l’antica sensazione di tristezza sembrava che ritornasse sui sospiri del vento.

Giungemmo al villino con l’estremo crepuscolo. In quell’istante la signora Strong usciva nel giardino, dove il signor Dick s’era indugiato, con un coltello in mano, ad aiutare il giardiniere che piantava certi pioli. Il dottore aveva una visita nello studio; ma la signora Strong ci pregò d’attenderlo, ché sarebbe stato fra poco libero.

Entrammo nel salotto con lei, e ci sedemmo accanto alla finestra che s’abbuiava. Non si facevano cerimonie fra vicini e vecchi amici come eravamo noi.

Non eravamo lì che da qualche minuto, quando la si-1167

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gnora Markleham, che di solito trovava sempre da ridire su questo o su quello, entrò come una raffica, col giornale in mano, a dire, respirando a fatica:

– Buon Dio, Annie, perché non m’hai detto che c’e-ra gente nello studio?

– Mia cara mamma – ella rispose tranquillamente –

come potevo indovinare che lo volevi sapere?

– Che lo volevo sapere! – esclamò la signora Markleham, lasciandosi cadere sul divano. – Non ho avuto mai uno sconvolgimento simile in vita mia!

– Sei dunque entrata nello studio, mamma? – chiese Annie.

– Se sono entrata, mia cara! – ella rispose con energia. – Sì, che sono entrata. E ho sorpreso quel caro uomo... figuratevi la mia commozione, signora Trotwood e Davide... nell’atto di far testamento.

Sua figlia volse a un tratto la testa.

– Nell’atto, mia cara Annie – ripeté la signora Markleham, allargando il giornale sul suo grembo come una tovaglia, e battendolo con le mani – di dettare le sue ultime volontà. Che buon cuore e che previdenza! Ti debbo dire come ha fatto. Veramente debbo dirtelo, se non altro per far giustizia a quell’angelo. Forse sapete, signora Trotwood, che in questa casa non s’accende una candela, se prima uno non s’è cavato gli occhi, a furia di 1168

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sforzarsi a leggere il giornale. E che in questa casa, fuorché nello studio, non c’è una poltrona dove si possa leggere tranquillamente il giornale. Perciò sono andata nello studio, che m’era parso illuminato, Ho aperto la porta. Insieme col caro dottore ho visto due signori che mi son parsi avvocati o che so IO e tutti e tre al tavolino: il caro dottore aveva in mano la penna. «È semplicemente per esprimere... » sta’ attenta, Annie, amor mio, sta’ attenta alle mie parole, «è semplicemente per esprimere, signori, la fiducia che ho in mia moglie, che io le lascio incondizionatamente tutta la mia fortuna». Uno di quei signori ha ripetuto: «E le lasciate incondizionatamente tutta la vostra fortuna». A questo, col naturale sentimento d’una madre, ho esclamato: «Buon Dio, vi chiedo scusa», e inciampando sulla soglia, son corsa per il corridoio che dà in cucina.

La signora Strong aprì la finestra, e uscì sulla veran-da, dove si andò a poggiare contro un pilastro.

– Ma non è consolante, signora Trotwood, non è consolante, Davide – disse la signora Markleham, seguendola con gli occhi meccanicamente – trovare un uomo dell’e-tà del dottor Strong, con tanta forza di spirito da fare una cosa simile? Questo dimostra quello che ho sempre sostenuto. Io dissi ad Annie, dopo che il dottor Strong mi aveva fatto una visita molto lusinghiera e aveva parlato di lei con tanta tenerezza: «Mia cara, secondo me non v’è dubbio che il dottor Strong, quando si tratterà di 1169

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provvederti d’un assegno, manterrà molto di più di quanto promette».

A questo punto, si udì il tintinnìo del campanello, e il rumor dei passi dei visitatori che uscivano.

– Certo, è finito – disse il Vecchio Soldato, dopo aver origliato; – quel caro angelo ha firmato, suggellato, e consegnato tutto, ed ora si sente in pace. E così sia! Che gran cuore! Annie, amor mio, vado nello studio a leggermi il giornale, perché non resisto a stare senza notizie. Trotwood, Davide, venite a vedere il dottore.

Scorsi il signor Dick, che chiudeva il coltello, in piedi nell’ombra, nell’atto che accompagnavamo la signora Markleham nello studio; e mia zia che si stropicciava il naso, come una specie di sfogo della sua insofferenza del nostro amico il militare; ma non seppi mai chi fosse entrato prima nello studio, o come la signora Markleham si fosse a un tratto sdraiata nella poltrona, o come io e mia zia fossimo stati lasciati insieme accanto alla porta. Forse i suoi occhi furono più rapidi dei miei, ed ella mi tenne di proposito indietro. Ma questo io so –

che vedemmo il dottore prima che egli ci vedesse, occupato al tavolino fra i grossi volumi dei quali si compiaceva, la testa poggiata tranquillamente sulla mano. Che nello stesso istante vedemmo entrare la signora Strong pallida e tremante. Che si teneva al braccio del signor Dick. Che questi mise una mano sul braccio del dottore, il quale si riscosse e levò gli occhi con aria distratta.

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Che, come il dottore mosse la testa, sua moglie gli cadde su un ginocchio ai piedi, con le mani giunte in atto di preghiera e nel viso la stessa memorabile espressione di quella sera famosa. Che a quella vista la signora Markleham lasciò cadere il giornale, e assunse tale atteggiamento di meraviglia che avrebbe potuto servir da modello a una testa da mettere a prua d’un bastimento col nome Lo Stupore.

Ma la dolcezza e la sorpresa dimostrate dal dottore, la dignità e l’atteggiamento di preghiera della moglie, la serietà pensosa del signor Dick, e la gravità con la quale mia zia si diceva: «Quello lì, matto!» (che esprimeva il sentimento d’orgoglio per la condizione di miseria da cui ella lo aveva salvato), tutto questo non ricordo soltanto, mentre scrivo, ma vedo ancora e sento.

– Dottore! – disse il signor Dick. – Che andate cercando, guardate qui!

– Annie – esclamò il dottore – non ai miei piedi, cara!

– Sì – ella disse. – Vi supplico tutti di non andarvene.

Oh, marito e padre mio, rompi codesto lungo silenzio!

Cerchiamo finalmente di sapere ciò che ci separa.

La signora Markleham aveva ricuperato, in quel frattempo, la sua facoltà di loquela, e gonfia d’orgoglio familiare e di materna indignazione, esclamò:

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